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L’educazione interculturale va oltre la scuola

La scuola da sola non basta: oggi è necessario assumere uno sguardo diverso, interpretando i cittadini di origine straniera non più come portatori di bisogni, ma come portatori di diritti. Di Massimiliano Fiorucci

di Redazione GiuntiScuola04 marzo 20199 minuti di lettura
L’educazione interculturale va oltre la scuola | Giunti Scuola

Immagine tratta da: In viaggio. Immagini  e storie di cieli, acque e terre…camminate , IBVA Milano

La scuola rappresenta e ha rappresentato il luogo privilegiato di costruzione del dialogo e interculturale e, tuttavia, da sola non è sufficiente . Lo straordinario lavoro svolto ormai da tempo da dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, operatori sociali, associazioni del terzo settore deve avere l’ambizione di costruire una nuova e più corretta narrazione che decostruisca quelle dominanti che hanno determinato un clima di paura e che hanno reso normale considerare gli altri meno umani e, quindi, con meno diritti.

Oggi la proposta interculturale deve aumentare il proprio raggio di azione, incidere nella società e nella politica attraverso un cambio di strategia. Non si possono gestire le questioni poste dalle migrazioni solo attraverso le politiche migratorie : sono le politiche sociali, le politiche educative, le politiche abitative tout court , l’accesso ai diritti per tutti e per tutte che sono chiamati in causa . È in gioco la stessa tenuta democratica dei Paesi europei. Non va dimenticato che molto spesso la questione dell’inferiorizzazione dell’altro è collegata alla dimensione sociale ed economica.

Oggi, a più di 40 anni dalla trasformazione dell’Italia in Paese di immigrazione, è necessario assumere uno sguardo diverso , interpretando i cittadini di origine straniera non più come portatori di bisogni, ma come portatori di diritti.

Tre linee di intervento

L’intercultura, se non vuole farsi retorica, è un compito essenzialmente politico, intrecciata com’è con i conflitti culturali, le differenze socio-economiche, la gestione della diversità, i diritti dei migranti, lo sviluppo democratico e la promozione dell’uguaglianza dei diritti tra tutti i cittadini . C’è dialogo interculturale se c’è una simmetria di fatto tra migranti e non. Oggi vi è una condizione di cittadinanza relativa dei soggetti della migrazione che vivono sulla loro pelle processi di “integrazione subalterna”. Questa condizione mina alla radice la nozione di dialogo, rendendo evidente che occorre superare, sia una visione “miserabilista”, sia una visione “utilitaristica” della migrazione, cioè due visioni riduzioniste che oscillano tra il paternalismo e il funzionalismo economicistico.

Deve essere superata una visione gerarchica, assimilazionista ed asimmetrica per assumere una prospettiva di co-educazione aperta alla presenza diretta delle culture migranti , inaugurando un percorso innovativo di “ educazione dialogica ” che si costruisce insieme, attraverso relazioni fondate su basi di uguaglianza, reciprocità e responsabilità. Ciò sarà possibile attraverso alcuni interventi finalizzati a:

valorizzare il patrimonio linguistico-culturale di cui i migranti sono portatori , dando cittadinanza al plurilinguismo come risorsa, sostenendo e facendo crescere l’associazionismo delle comunità migranti e superando una concezione che interpreta le culture e le identità come delle realtà statiche, da una parte, o folkloristiche, dall’altra. Troppo spesso, infatti, una malintesa educazione interculturale è condizionata da una visione folklorizzante, essenzialista e relativistica di esaltazione della differenza culturale in quanto tale, anziché da una visione costruttivista della diversità culturale – la diversità culturale può essere concepita solo in termini di identità (ibride e mutevoli) costruite socialmente attraverso l’interazione sociale e non in quanto naturalmente inerenti (inevitabili e immutabili) ad una persona o un gruppo – e dalla ricerca di cittadinanza e coesione sociale;

dare visibilità anche ai bisogni formativi e culturali dei migranti e non solo ai bisogni di primo livello , rimettendo al centro il tema della mediazione interculturale come prospettiva che tiene conto anche del ruolo delle cosiddette “seconde generazioni”.

L’attenzione alle seconde generazioni

Occuparsi di “seconde generazioni” vuol dire interrogarsi a fondo su come si stia riconfigurando la composizione sociale di un Paese, come l’Italia, da sempre caratterizzato da una profonda eterogeneità, all’interno della quale le identificazioni regionali, cittadine e locali hanno avuto un ruolo molto importante. È con le “seconde generazioni” che vengono alla ribalta alcuni nodi fondamentali per l’integrazione sociale che venivano occultati o posposti finché si trattava di immigrati di prima generazione, di cui si poteva immaginare un rientro in patria. Proprio la nascita e la socializzazione delle “seconde generazioni” rappresenta un momento decisivo per la presa di coscienza del proprio status di minoranze ormai insediate in un contesto diverso da quello della società d’origine. Con esse, sorgono esigenze di definizione, rielaborazione e trasmissione del patrimonio culturale, nonché dei modelli di educazione familiare. Pertanto, questi giovani vivono una condizione di “doppia identità” o di “doppia appartenenza” ed occorre evitare che questa si trasformi in una “doppia assenza” (Sayad). I giovani delle “seconde generazioni” sono dei “mediatori culturali naturali”, ma occorre che vi siano le condizioni per un loro sostegno ed empowerment nella scuola, nell’associazionismo e nella società partire dal riconoscimento giuridico della cittadinanza italiana superando l’obsoleta legislazione fondata sul diritto di sangue;

incrementare le reti tra scuole, centri di educazione degli adulti, centri educativi ed associazioni che non si rivolgono solo ai migranti e alle “seconde generazioni”, ma a tutta la popolazione in una vera e propria prospettiva interculturale. La scuola è uno degli elementi chiave di un processo di inte(g)razione che passa attraverso il successo scolastico dei figli degli immigrati, l’inserimento lavorativo e sociale delle famiglie, nonché il “posto” dato alla differenza culturale nella nostra società. L’approccio interculturale è un modo indispensabile per rispettare e valorizzare la diversità alla ricerca di valori comuni che permettano di vivere insieme. Tale visione nuova delle relazioni tra le persone che fanno riferimento a diverse culture dovrebbe modificare e trasformare la struttura stessa dell’organizzazione scolastica e didattica, i metodi di insegnamento e di formazione, i metodi di valutazione, le relazioni tra insegnanti, alunni e famiglie nella scuola e nell’extrascuola, la prospettiva con cui guardare ai saperi e alle discipline.

Una normale intercultura

L’educazione interculturale richiede un impegno costante che ha luogo nella scuola e nella società a tutti i livelli nel quadro di processi di lifelong learning dei soggetti e delle comunità. Tale approccio non è né naturale né scontato e, al contrario, rappresenta un progetto educativo intenzionale che deve essere consapevolmente portato avanti giorno dopo giorno e che richiede attenzione e competenza da parte di tutti i protagonisti dell’incontro.

“L’educazione interculturale si inscrive nel solco della grande tradizione della  pedagogia democratica italiana ed ha tra i suoi principali obiettivi la giustizia sociale e l’uguaglianza delle opportunità indipendentemente dalle storie e dalle origini di ognuno. Le strategie interculturali evitano di separare gli individui in mondi culturali autonomi ed impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare, con gli strumenti della pedagogia, i conflitti che ne possono derivare” (Fiorucci, Pinto Minerva, Portera, 2017: 618).

Riferimenti bibliografici

Enzensberger H. M. (1993), La grande migrazione , Torino: Einaudi.

Fiorucci M., Pinto Minerva F., Portera A. (a cura di) (2017), Gli alfabeti dell’intercultura , Pisa: ETS.

Nanni A., Fucecchi A. (2018), Dove va l’intercultura? Oltre la scuola… la città , Brescia: Morcelliana

Sayad A. (2002). La doppia assenza . Milano: Raffaello Cortina.

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