Donne nella scienza, ieri e oggi

Le donne che salvano l’ambiente

Butler, Judith. 1997. Excitable Speech. A Politics of the Performative, Routledge, London &amp; New York.

De Mauro, Tullio. 2016. &lsquo;Le parole per ferire&rsquo;, Internazionale 27.09.2016: 1-6.

Faloppa, Federico, 2011. Razzisti a parole (per tacer dei fatti), Laterza, Bari. 

Mastroianni Bruno, 2017. La disputa felice. Firenze, Cesati.

Perfetti, Simona. 2020. &lsquo;Il fenomeno dell&rsquo;hate speech e la cultura digitale.La scuola degli affetti come bene comune&rsquo;. Encyclopaideia &ndash; Journal of Phenomenology and Education, 24, 56: 110-131.

Petty, Richard E. e John T. Cacioppo. 1986,&nbsp; Communication and Persuasion. Central and Peripheral Routes to Attitude Change, Springer-Verlag, New York.

Tumminello, Fabio. 2021. &lsquo;Ai tempi dell&rsquo;odio: linguaggio, hate speech e diritti umani&rsquo;, Iusinitinere.it, 23.11.2021.

&nbsp;

Ti interessano i temi legati alla parit&agrave; di genere? Visita la nostra pagina&nbsp;<a href="https://www.giuntiscuola.it/giunti-alla-pari">GIUNTI ALLA PARI</a>

&nbsp;

Secondo la Commissione Europea contro il Razzismo e l&rsquo;Intolleranza (ECRI) il linguaggio dell&rsquo;odio, &ldquo;hate speech&rdquo;, comprende sia l&rsquo;incitamento alla degradazione, sia il ricorso a soprusi, offese, stereotipi negativi nei confronti di persone o gruppi in base a razza, origine etnica, genere, religione e disabilit&agrave;. Il linguaggio dell&rsquo;odio affonda le sue radici negli stereotipi e nelle culture che, inconsapevolmente o meno, esiliano le persone nel rifiuto e nell&rsquo;umiliazione. Esiste da quando esistono i rapporti di potere, e sfrutta la discriminazione evocata da parole usuali (come &ldquo;razza&rdquo;, &ldquo;scimmia&rdquo;, &ldquo;rom&rdquo;), da epiteti triviali o da espressioni sprezzanti, come quando negli stadi viene gridato &ldquo;mangia le banane&rdquo; a giocatori di colore. Le parole, quindi, sono sufficienti a creare l&rsquo;odio e l&rsquo;umiliazione del destinatario: il razzismo, la discriminazione di genere e altre forme di oltraggio delle persone si alimentano delle parole che usiamo. &Egrave; il linguaggio, quindi il nominarle, a renderli operanti nelle nostre menti (Butler 1997), e a suscitare gli stereotipi negativi associati a certi termini. Come ci ricorda De Mauro (2011), ad esempio, riferirsi a un omosessuale con uno dei tanti termini dialettali significa trascinare con s&eacute; i pregiudizi che spesso le culture tradizionali hanno nei confronti di chi non corrisponde a ci&ograve; che &egrave; considerato normale. Chiamare &ldquo;negro&rdquo; o &ldquo;zingaro&rdquo; una persona significa rendere vivi i retaggi di secoli di disprezzo e di odio. 

Oggi il linguaggio dell&rsquo;odio trova il suo ambiente ideale su Internet e sui social, dove la violenza verbale &egrave; l&rsquo;espressione di emozioni legate a disuguaglianze e insicurezze profonde nella coscienza delle persone. Il linguaggio d&rsquo;odio non emerge casualmente, ma rispecchia, in molti casi, universi cognitivi e sensibilit&agrave; comuni radicati in tutto il contesto sociale, inclusi i poteri che dovrebbero combatterli. Anzi, i fatti di cronaca recenti, negli USA come in Europa, ci ricordano come gli stessi pregiudizi che alimentano l&rsquo;odio possono essere condivisi dagli organi del potere e dagli stessi destinatari. Basti pensare alle posizioni&nbsp; di &ldquo;legge e ordine&rdquo; di Donald Trump in merito alle manifestazioni antirazziste del 2020, o al caso di Beizaras e Levickas, oggetto di attacchi omofobi per una foto su Facebook, che hanno trovato l&rsquo;ostilit&agrave; delle autorit&agrave; lituane (Tumminello 2021). 

&nbsp;

La violenza verbale

La violenza verbale, specialmente nei confronti delle donne, assume per esempio pesanti contenuti a sfondo sessuale, come nel caso delle ingiurie indirizzate al profilo Facebook della Presidente della Camera Laura Boldrini (anno 2018), in quanto sostenitrice dei diritti degli immigrati: &ldquo;Boldrini se ci fosse una rivoluzione saresti la prima a crepare... grandissima p******&rdquo;, &ldquo;Sei solo un p******&rdquo;. L&rsquo;altro grande spazio dell&rsquo;odio online &egrave; la discriminazione a sfondo razzista per cui, spesso, le parole e le azioni di cittadini e cittadine di origine africana sono oggetto di attacchi violenti, quali quelli contro Rama Malik, che dopo aver annunciato la sua adesione a un movimento politico, ha ricevuto una tempesta mediatica (shitstorm) di espressioni umilianti, come &ldquo;mi chiamo Rama e sono una scimmia&rdquo;, &ldquo;ma vai a battere nel tuo paese&hellip;&rdquo; eccetera. Messaggi nei quali emerge la deumanizzazione (scimmia) e la rappresentazione denigratoria che richiama disuguaglianza e sottomissione. La Corte Europea per i Diritti dell&rsquo;Uomo, nel contrastare le espressioni d&rsquo;odio, ha un compito particolarmente delicato e sfuggente, perch&eacute; spesso l&rsquo;offesa &egrave; evocata piuttosto che esplicita, ma, nello stesso tempo, non deve perdere di vista il diritto a una libera espressione del pensiero sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (Tumminello 2021). 

&nbsp;

Mass media e social: comunicazione emotiva e non argomentata 

I nuovi mezzi di comunicazione hanno un effetto importante nel rafforzare le componenti emotive e irrazionali delle narrazioni online. Il linguaggio dell&rsquo;odio li utilizza come luogo di forme di comunicazione emotiva e non argomentata, nel quale le differenze socio-culturali trovano un&rsquo;efficace cassa di risonanza. Il &ldquo;Barometro dell&rsquo;odio&rdquo; (Amnesty International, online) evidenzia che nella distribuzione dei tweet negativi totali, nel 2020, occupano il primo posto le donne (49,91%), seguite da ebrei (18,45%), migranti (14,40%), islamici (12,01%), persone omosessuali (3,28%) e persone con disabilit&agrave; (1,95%). La misoginia risulta ancora preponderante: &ldquo;Oltre agli onnipresenti atteggiamenti di body shaming (deridere qualcuno per il suo aspetto fisico), molti attacchi hanno avuto come contenuto la competenza e la professionalit&agrave; delle donne stesse&rdquo; (p. 48). Questo riguarda anche e soprattutto le nuove generazioni, se &egrave; vero che il 79% dei giovani tra gli 11 e i 18 anni passa pi&ugrave; di 4 ore al giorno sui social. I pi&ugrave; giovani, quindi, entrano nel linguaggio di Internet e dei social come nativi fin dall&rsquo;inizio delle loro esperienze di socializzazione, di crescita e di formazione cognitiva. La familiarit&agrave; precoce con lo smartphone o le piattaforme social si rispecchia nella specifica organizzazione dei messaggi, dei contenuti e del linguaggio che il mezzo fornisce.&nbsp; 

&nbsp;

La scuola e l&rsquo;educazione alla comprensione e alla riflessione inclusiva 

L&rsquo;aspetto pi&ugrave; immediato &egrave; che i social network permettono di creare un&rsquo;identit&agrave; di rete personale manipolabile dall&rsquo;utente in modo da presentarsi come preferisce. L&rsquo;assenza di mediazione indebolisce la capacit&agrave; di distinguere la realt&agrave; dalla finzione, rendendo meno riconoscibile il vero dal verosimile e sovrapponendo il vissuto alla verit&agrave;. Questo potere rende irresponsabili gli emittenti come i riceventi, in un processo nel quale cyberbullismo e sexting, tra gli altri esiti, si accompagnano alle diverse forme di linguaggio dell&rsquo;odio. Irresponsabili, perch&eacute; questo &egrave; il linguaggio acquisito in questa dimensione del comunicare dove i messaggi sono rapidi, immediati e istintivi, e tutto &egrave; individualizzato (Faloppa 2018), ma, sottolineo, proprio per questo non individuale. I messaggi non ragionati sono specchio di una riflessione parziale, frutto di pregiudizi e scorciatoie fornite dagli stereotipi culturali (Petty e Cacioppo 1986). &Egrave; qui che oggi si inserisce con particolare virulenza la questione del discorso che ferisce, delle parole dell&rsquo;odio. Non a caso possiamo caratterizzare l&rsquo;uso manipolativo e misinformativo prodotto dai social, e pi&ugrave; in generale sul web, come il risultato di disuguaglianze cognitive radicate nel corpo sociale. Dove gli attacchi verbali violenti alle &eacute;lites e all&rsquo;establishment e l&rsquo;odio sessista o razzista sono manifestazione di profonde insicurezze e di squilibri, legati alla ricerca di culture alternative da parte delle classi giovanili e delle subculture orientate al rifiuto e polarizzate. Il richiamo a un&rsquo;Educazione equa e sostenibile dell&rsquo;Agenda 2030 affida alla scuola un compito centrale a favore di un&rsquo;educazione alla comprensione reciproca, senza discriminazioni (cf. Perfetti 2020). Fin dalla scuola primaria, e in base ovviamente alle esigenze, alle peculiarit&agrave; e alle richieste della classe, possiamo immaginare percorsi in direzione di una comunicazione fondata sulla riflessione inclusiva e sull&rsquo;attenzione critica, nei quali ad esempio il mondo reale &egrave; messo in relazione con le narrazioni e i messaggi sui social: 

<ol>
	<li style="text-align:justify">creare sui social forme di &ldquo;disputa felice&rdquo; (Mastroianni) o narrazioni riflessive, in cui i giudizi e le proposte sono frutto di un&rsquo;argomentazione fondata su premesse e motivazioni chiare e su conclusioni a loro volta confutabili; </li>
	<li style="text-align:justify">individuare e commentare le parole e le espressioni di disprezzo contenute nei messaggi, leggendole criticamente e scoprirne i presupposti non detti e le scorciatoie cognitive adottate; </li>
	<li style="text-align:justify">e soprattutto, cooperare all&rsquo;interno delle classi per favorire la comunicazione condivisa e comprensiva di punti di vista e di culture diverse, l&rsquo;inclusione e la consapevolezza. </li>
</ol>

Il linguaggio dell'odio