Come valutare? 

Sarà l’anno della (auto)valutazione?

Arrivano i nostri (valutatori)

Spesso chi sta in classe, chi vive la scuola, chi la progetta, chi ci lavora, chi fa l’insegnante come chi studia, dà per scontato che ci siano certi elementi del sistema dell’istruzione che sono tanto indiscutibili da sembrare naturali. Il primo di questi è sicuramente il voto. È come se senza voti non potessimo chiamarla scuola. Riusciamo a ripensare una didattica tutta rimodulata attraverso uno schermo, la trasformazione degli spazi dove collocare le classi, ma l’idea che la valutazione passi attraverso il voto ci appare inamovibile.&nbsp;Eppure è esistita una storia scolastica in cui il voto non c’era. Prima dell’Ottocento abbiamo davvero pochissime attestazioni, all’inizio del Novecento si comincia a dibattere come questione pedagogica (è quello che in genere, lo sappiamo, si dice l’inizio della docimologia, ossia la scienza della valutazione), nel dopoguerra italiano ci sono i primi studiosi che affrontano in modo sistematico la questione.&nbsp;Di tutto questo dibattito una parte troppo ampia della classe docente non sa nulla purtroppo. Sicuramente lo ignorano del tutto gli studenti, che accettano / subiscono la valutazione attraverso quattro, otto, sei meno meno, fin da piccoli; studenti che a loro volta riproducono in modo automatico questo assunto, per cui l’apprendimento non può fare a meno dei voti, fino alla fine del loro percorso scolastico.&nbsp;Che cosa succederebbe se facessimo a meno del voto? Sprofonderemmo in un’anarchia dominata solo da inettitudine e arbitrio? Spazzeremo via quel poco di autorevolezza che ancora resta alla classe docente? Molti maestri, insegnanti oggi chiedono di depotenziare il valore eccessivo che le famiglie o gli studenti stessi danno al voto (l’ultima uscita dei quaderni della ricerca di Loescher, La classe senza voto, è piena di riferimenti interessanti sul portato psichico del voto).&nbsp;Vai allo speciale valutazione di Giunti Scuola:<a data-cke-saved-href="https://www.giuntiscuola.it/speciale-valutiamo" target="_blank" href="https://www.giuntiscuola.it/speciale-valutiamo"><img filer_id="228518" src="/media/filer_public_thumbnails/filer_public/16/f3/16f36d4a-1256-416f-a96a-dba96cab18e3/valutiamo_speciale.jpg__500x282_q85_subsampling-2.jpg" title="" align="" thumb_option="" original_image="false" width="500" height="282"></a> Ma questo non basta. Occorre immaginazione. Si dovrebbero riscoprire quelle importanti sperimentazioni che, alla critica del voto o al suo superamento, hanno affiancato una riflessione pedagogica e politica, come quelle legate alla rivista «L’erba voglio» di Lea Melandri e Elvio Fachinelli o quelle di cui parla in un paio di saggi importanti recenti Matteo Morandi dell’università di Pavia: uno è nel libro La valutazione scolastica. Il concetto, la storia, la norma scritto con Monica Ferrari e Mario Falanga; l’altro sul Giornale di pedagogia critica che mostra come già nel Sessantotto si fosse capito come una valutazione seminariale fosse molto più efficace anche per lo stesso apprendimento.&nbsp;Una scuola senza voti è possibile. Eliminare i voti porta a un modello di comunità educante più consapevole.

Spesso chi sta in classe, chi vive la scuola, chi la progetta, chi ci lavora, chi fa l’insegnante come chi studia, dà per scontato che ci siano certi elementi del sistema dell’istruzione che sono tanto indiscutibili da sembrare naturali. Il primo di questi è sicuramente il voto.
 
 È come se senza voti non potessimo chiamarla scuola
 
 . Riusciamo a ripensare una didattica tutta rimodulata attraverso uno schermo, la trasformazione degli spazi dove collocare le classi, ma l’idea che la valutazione passi attraverso il voto ci appare inamovibile.


 
 Eppure è esistita una storia scolastica in cui il voto non c’era
 
 . Prima dell’Ottocento abbiamo davvero

Spesso chi sta in classe, chi vive la scuola, chi la progetta, chi ci lavora, chi fa l’insegnante come chi studia, dà per scontato che ci siano certi elementi del sistema dell’istruzione che sono tanto indiscutibili da sembrare naturali. Il primo di questi è sicuramente il voto. È come se senza voti non potessimo chiamarla scuola. Riusciamo a ripensare una didattica tutta rimodulata attraverso uno schermo, la trasformazione degli spazi dove collocare le classi, ma l’idea che la valutazione passi attraverso il voto ci appare inamovibile. Eppure è esistita una storia scolastica in cui il voto non c’era. Prima dell’Ottocento abbiamo davvero pochissime attestazioni, all’inizio del Novecento si comincia a dibattere come questione pedagogica (è quello che in genere, lo sappiamo, si dice l’inizio della docimologia, ossia la scienza della valutazione), nel dopoguerra italiano ci sono i primi studiosi che affrontano in modo sistematico la questione. Di tutto questo dibattito una parte troppo ampia della classe docente non sa nulla purtroppo. Sicuramente lo ignorano del tutto gli studenti, che accettano / subiscono la valutazione attraverso quattro, otto, sei meno meno, fin da piccoli; studenti che a loro volta riproducono in modo automatico questo assunto, per cui l’apprendimento non può fare a meno dei voti, fino alla fine del loro percorso scolastico. Che cosa succederebbe se facessimo a meno del voto? Sprofonderemmo in un’anarchia dominata solo da inettitudine e arbitrio? Spazzeremo via quel poco di autorevolezza che ancora resta alla classe docente? Molti maestri, insegnanti oggi chiedono di depotenziare il valore eccessivo che le famiglie o gli studenti stessi danno al voto (l’ultima uscita dei quaderni della ricerca di Loescher, La classe senza voto, è piena di riferimenti interessanti sul portato psichico del voto). Vai allo speciale valutazione di Giunti Scuola:Ma questo non basta. Occorre immaginazione. Si dovrebbero riscoprire quelle importanti sperimentazioni che, alla critica del voto o al suo superamento, hanno affiancato una riflessione pedagogica e politica, come quelle legate alla rivista «L’erba voglio» di Lea Melandri e Elvio Fachinelli o quelle di cui parla in un paio di saggi importanti recenti Matteo Morandi dell’università di Pavia: uno è nel libro La valutazione scolastica. Il concetto, la storia, la norma scritto con Monica Ferrari e Mario Falanga; l’altro sul Giornale di pedagogia critica che mostra come già nel Sessantotto si fosse capito come una valutazione seminariale fosse molto più efficace anche per lo stesso apprendimento. Una scuola senza voti è possibile. Eliminare i voti porta a un modello di comunità educante più consapevole.

FAQ 18. Si possono somministrare prove di valutazione diverse da quelle dei compagni (facilitate, semplificate, abbreviate...) nelle normali prove di verifica durante l'anno e nelle prove INVALSI? (ed. PLUS)

Il dibattito sui voti

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