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La lettura e la scrittura come gioco

100 anni di mario lodi

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Nella mia esperienza scolastica ho trovato pi&ugrave; di una volta, all&rsquo;inizio di un ciclo, tale curiosit&agrave; dei bambini nei confronti di ci&ograve; che, durante le conversazioni, annotavo sul mio quaderno-agenda: a un certo punto mi si facevano intorno e mi chiedevano cosa facevo e perch&eacute;. Quando gli leggevo quel che avevo scritto poco prima o i giorni precedenti, cio&egrave; le parole che ognuno di loro aveva detto, rimanevano meravigliati, quasi increduli. Me le facevano ripetere pi&ugrave; volte, scegliendole loro fra le pagine, avanti e indietro, come un gioco &ldquo;magico&rdquo;. E io ne approfittavo per dirgli che io, maestro, ero l&igrave; per insegnare anche a loro quella &ldquo;magia&rdquo;. E gli presentavo i libri, pieni di segni misteriosi da decifrare per capire che cosa nascondevano. Una &ldquo;magia&rdquo; che a poco a poco documentava nei brevi testi individuali e collettivi, frammenti della loro vita: la lettura e la scrittura come gioco. Cominciava da l&igrave; l&rsquo;esplorazione del mondo della cultura attraverso il giornalino o i piccoli libri scritti insieme, che portava poi alla lettura dei giornali e dei libri scritti da altri bambini e dagli adulti.

Il Bettelheim sottolinea la grande importanza dell&rsquo;educatore: in quel primo momento della vita scolastica quando la maestra insegna a decifrare e a combinare quella manciata di segni con i quali si possono scrivere e leggere tutte le parole del mondo, offre ai bambini la chiave che apre i cancelli della cultura, dove si trova la meravigliosa storia dell&rsquo;uomo in tutti i suoi aspetti, reali e fantastici, conservata nei libri.

In quel momento affascinante e delicato, si chiede lo studioso americano, che cosa in realt&agrave; avviene? Quali libri si offrono ai bambini?

L&rsquo;analisi che Bettelheim fa dei primi libri offerti ai bambini nelle scuole di tutto il mondo, come prima lettura, &egrave; impietosa e drammatica: nella quasi totalit&agrave; essi non rispondono al bisogno dei bambini di entrare nei &ldquo;giardini&rdquo; della cultura col piacere della scoperta. Il linguaggio formalmente e concettualmente inadatto, i contenuti banali e insignificanti, i personaggi inverosimili o bamboleggianti, l&rsquo;assenza di situazioni stimolanti, le illustrazioni che sostituiscono il testo e rendono quindi inutile la lettura, sono i pi&ugrave; evidenti difetti dei libri scolastici: i libri sui quali inoltre, si fanno verifiche ed esercizi grammaticali e che il bambino, presto o tardi rifiuter&agrave;, associando la lettura alla noia. Meglio sedersi in poltrona alla TV a premere i pulsanti per cogliere dai vari programmi qualcosa di pi&ugrave; interessante. 

La prima maestra e i primi libri scolastici sono quindi, secondo il Bettelheim, i primi responsabili del rifiuto della lettura.

La maestra, con competenza professionale, dovrebbe invece conoscere e avere disponibili tanti libri belli e facili, di argomento diverso (fantasia, avventure, ecc.) adatti all&rsquo;et&agrave; dei suoi scolari e metterli a disposizione dei bambini, suggerendo eventualmente quelli che potrebbero rispondere agli interessi in atto. E soprattutto lasciare ai bambini il piacere di leggere in pace, specialmente quando il libro interessa, invece di approfittarne per fini didattici. L&rsquo;esercitazione, necessaria, deve essere fatta su testi appositi non sulle letture scelte. Che cosa accadrebbe se anche noi adulti, per ogni libro che acquistiamo o leggiamo, fossimo obbligati a compilare schede di verifica e relazioni? Le vendite dei libri avrebbero certamente un calo. 

Ma la prima maestra potrebbe obiettare come attenuante che i libri adatti come prime letture sono pochi. &Egrave; vero?

Se lo chiediamo ai librai, avremo fitti elenchi e cataloghi pieni di illustrazioni colorate: per loro, il cui fine &egrave; vendere, selezionare non &egrave; facile.

Se lo chiediamo ai maestri, che hanno lunga esperienza, ci diranno che, in realt&agrave;, libri che &ldquo;funzionano&rdquo;, che tengono cio&egrave; vivo l&rsquo;interesse dei bambini sino alla fine, sono relativamente pochi. C&rsquo;&egrave; quindi un altro responsabile: la produzione editoriale. Alla Fiera del libro di Bologna, ogni anno, non &egrave; facile trovare, nel mare dei libri coloratissimi in mostra, quelli che veramente risponderebbero alle esigenze dei bambini che imparano a leggere e alle esigenze di quelli che, gi&agrave; abili, chiedono libri stimolanti, divertenti, belli. Non &egrave; con i libri-giocattolo e col libro cuscino che si ricompone il giusto rapporto tra il bambino e il libro. Occorre studiare seriamente il problema, incoraggiare gli studi in tal senso, per realizzare insieme (educatori, autori e editori) i libri nuovi per il bambino di oggi, senza buttare a mare la tradizione. 

Lo sforzo che il ministero dovrebbe sostenere moralmente e finanziariamente, dovrebbe essere accompagnato dalla informazione della stampa, che oggi ignora la letteratura per l&rsquo;infanzia, nonostante essa rappresenti una notevole percentuale delle vendite. Nelle tabelle dei libri pi&ugrave; venduti, segnalati dai quotidiani, non ci sono mai i libri per ragazzi, tranne a Natale, quando escono i libri-oggetto come strenne. Nessun quotidiano pubblica recensioni di libri per l&rsquo;infanzia in modo continuativo e imparziale. Si parla dei bambini solo quando sono violentati o rapiti o si uccidono per l&rsquo;insuccesso scolastico. 

Eppure i bambini sono il futuro della societ&agrave; e per diventare protagonisti hanno bisogno di far ordine nel mare delle informazioni caotiche che la TV riversa su tutti senza un programma mirato, per selezionare e costruire un minimo ordine logico entro cui collocare le esperienze essenziali che li porteranno a responsabili scelte di vita. Il libro, per favorire questo inserimento nel processo evolutivo della societ&agrave;, &egrave; ancora uno strumento insostituibile.

Uno dei problemi conseguenti alla diffusione della tecnologia nella nostra societ&agrave; &egrave; la crisi della lettura, sia per i bambini che per gli adulti. Il suo abbandono, o rifiuto, &egrave; un fenomeno generalizzato a cui dedicano attenzione da qualche tempo educatori, psicologi, studiosi. 

Riguardo ai bambini, si sostiene che la scelta della TV come strumento sostitutivo del libro sia motivata dal fatto che il piccolo schermo offre continuamente, in ogni ora del giorno, suggestioni che lo coinvolgono fortemente: il movimento, i colori, le immagini, la musica, la parola lo incantano come nessun altro mezzo e nessuna persona saprebbe fare, lasciandogli sempre meno spazio per le esperienze personali dirette nell&rsquo;ambiente, che sono essenziali per la sua formazione.

Dunque la grande responsabile &egrave; la televisione, si &egrave; detto e si sente ripetere: sedersi davanti allo schermo non richiede nessuno sforzo, &egrave; comodo, &egrave; facile, &egrave; bello. 

Eppure noi sappiamo che il bambino, nei suoi giochi, non sceglie attivit&agrave; senza sforzo, comode e facili: curioso di tutto, tocca, smonta, esplora, a volte rischiando di farsi male. Quando un gioco gli interessa pu&ograve; saltare persino la merenda. &Egrave; con questa curiosit&agrave; che prima della scuola il bambino, da solo, riesce a carpire ai grandi il segreto dei suoni vocali e a impossessarsi del linguaggio orale, e se trova a sua disposizione matite o altri materiali che lasciano traccia, scarabocchia e disegna sviluppando il suo linguaggio grafico parallelamente alle sue conquiste motorie, intellettuali e affettive. 

In questi ultimi anni &egrave; stato scoperto che negli scarabocchi di bambini dai due ai quattro-cinque anni, si trovano lettere alfabetiche inserite con criteri personali ma con il preciso fine di &ldquo;raccontare&rdquo;, proprio come gli adulti, con la scrittura, comunicando con i propri simili. Insomma i bambini, a modo loro, prima di andare a scuola tentano di scrivere. Gli studi compiuti da Emilia Ferreiro e Teberosky (La costruzione della lingua scritta nel bambino. Giunti-Barbera, Firenze. 1985) dimostrano che il mondo degli adulti, con i suoi linguaggi, influenza e interessa i bambini. Notevole deve essere lo sforzo del bambino per crearsi, da solo, un alfabeto personale che funzioni (per lui) da scrittura. Eppure lo fa.

Nascono quindi dei dubbi sulla ipotesi che il bambino, per comodit&agrave; e pigrizia preferisca la TV al gioco o alla lettura. Con questo dubbio in testa, lo psicologo americano Bruno Bettelheim, con la sua &eacute;quipe, ha recentemente affrontato il problema dell&rsquo;abbandono della lettura da parte dei bambini americani e i risultati della sua indagine, pubblicati nel libro Imparare a leggere (Feltrinelli), dovrebbero farci riflettere. 

Egli parte dall&rsquo;osservazione che i bambini si interessano e sono attratti, nei loro giochi, da tutto ci&ograve; che ha in s&eacute; qualcosa di misterioso, di &ldquo;magico&rdquo;. E il fatto che le parole pronunciate possano essere &ldquo;pietrificate&rdquo; in segni e durare nel tempo, ed essere lette da altri, potrebbe essere a scuola uno stimolo alla loro naturale curiosit&agrave; di esplorare ed entrare nei segreti del mondo.

Il bambino e i libri