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Questi pochi esempi permettono di evidenziare come la principale via per l&rsquo;inclusione si basi su un&rsquo;attenta analisi di facilitatori e barriere, per almeno due vantaggi: in primo luogo, consente di spostare il focus dell&rsquo;intervento educativo dal singolo alunno, all&rsquo;intero contesto fisico e relazionale in cui &egrave; inserito; in secondo luogo, in base al modello ICF, &egrave; trasversale a tutti gli alunni, con e senza bisogni educativi speciali, risultando cos&igrave; pienamente inclusiva.

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Negli ultimi anni, la parola inclusione &egrave; diventata un principio, quasi irrinunciabile, e un riferimento di senso fondamentale per qualsiasi discorso, teorico o pratico, sulla scuola. Il docente deve essere inclusivo, l&rsquo;ambiente scolastico deve essere inclusivo, la programmazione deve essere inclusiva, il territorio di riferimento deve essere inclusivo e cos&igrave; via.

Tuttavia, come talvolta accade quando un termine viene usato ampiamente, si rischia di perdere il principale riferimento concettuale; in altre parole: che cosa significa realmente &ldquo;includere&rdquo; un/a bambino/a a scuola?

E ancora: quali sono le metodologie fondamentali per promuovere e monitorare questo processo? E soprattutto, &egrave; possibile parlare di inclusione anche nelle prime classi della scuola primaria?

Proviamo a rispondere a queste domande in tre punti fondamentali.

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Il terzo punto di riflessione da considerare ai fini dell&rsquo;inclusione &egrave; relativo all&rsquo;attenta analisi dei facilitatori e delle barriere che possono presentarsi in ambito scolastico e/o familiare.

Al fine di favorire l&rsquo;inclusione di tutti e di tutte, infatti, &egrave; fondamentale che si riescano a individuare gli elementi la cui presenza (o assenza) possa facilitare oppure ostacolare il bambino, nell&rsquo;emissione di comportamenti desiderati o nell&rsquo;acquisizione di nuove abilit&agrave;.

Basandosi sul modello ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilit&agrave; e della Salute), &egrave; opportuno ricordare che qualsiasi elemento pu&ograve; diventare un facilitatore o una barriera, in base alle peculiarit&agrave; del singolo, al suo momento evolutivo. Per esempio, la presenza di una famiglia molto attenta e attiva pu&ograve; essere un facilitatore dei processi inclusivi durante l&rsquo;inserimento del bambino a scuola; tuttavia, nel tempo, questa presenza, se non opportunamente modulata, potrebbe diventare un ostacolo alla progressiva conquista dell&rsquo;autonomia da parte dell&rsquo;alunno. In maniera simile, la disponibilit&agrave; di ampi spazi a scuola pu&ograve; risultare un facilitatore, consentendo lo svolgimento di numerose attivit&agrave; di tipo ludico e motorio; allo stesso tempo, per&ograve;, se il gruppo di compagni &egrave; eccessivamente numeroso e/o rumoroso, si potrebbe creare una situazione disturbante e ostacolante, per esempio, nel caso di un alunno con particolare sensibilit&agrave; agli stimoli sensoriali (come avviene nel caso dei disturbi dello spettro autistico).

&Egrave; opportuno ricordare che tra i facilitatori e le barriere possono rientrare anche le caratteristiche personali, gli stili relazionali e le scelte metodologiche dell&rsquo;insegnante. Per esempio, un elevato livello di creativit&agrave; e di capacit&agrave; di improvvisazione da parte del docente pu&ograve; rappresentare un facilitatore, consentendo di adattare flessibilmente e in itinere qualsiasi programmazione all&rsquo;andamento del gruppo e dei singoli.

Allo stesso tempo, per&ograve;, c&rsquo;&egrave; sempre il rischio di un&rsquo;eccessiva destrutturazione e imprevedibilit&agrave; delle attivit&agrave;, che potrebbero risultare difficilmente gestibili per alcuni bambini con maggiori difficolt&agrave; di adattamento.

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3. Barriere e facilitatori

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Un approccio inclusivo considera le caratteristiche di tutti gli alunni (compresi quelli con disabilit&agrave; e/o con bisogni educativi speciali) come la base da cui partire per progettare obiettivi personalizzati
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2. Punto di partenza o di arrivo?

Partiamo dall&rsquo;ultimo punto. Qualcuno potrebbe obiettare che spesso, nei primi anni della scuola primaria, non abbiamo ancora diagnosi certe per molti disturbi, per i quali si preferisce attendere in via prudenziale che il bambino raggiunga un&rsquo;et&agrave; maggiore. Come possiamo, quindi, parlare di inclusione?

In realt&agrave;, proprio in questa fascia d&rsquo;et&agrave;, si assiste a un&rsquo;elevata variabilit&agrave; interindividuale nel ritmo di crescita nel periodo in cui vengono raggiunte le varie tappe di sviluppo, in particolare nei punti di forza e di criticit&agrave;. Se per inclusione intendiamo l&rsquo;organizzazione flessibile delle lezioni e delle relazioni, cos&igrave; da poter rispondere ai bisogni educativi di ciascuna bambina e di ciascun bambino, &egrave; evidente che l&rsquo;inclusione diventa rilevante proprio in questa fase evolutiva, quando la variabilit&agrave; individuale &egrave; particolarmente accentuata per fattori neurobiologici, familiari e sociali.

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Spesso il processo di inclusione viene letto come la capacit&agrave; di riconoscere e accogliere, nel contesto scolastico, qualsiasi differenza nel comportamento, negli stili cognitivi, nei tratti temperamentali e nei repertori di abilit&agrave; socio-emozionali di bambine e bambini. Questo &egrave; senza dubbio un aspetto rilevante, ma l&rsquo;inclusione deve essere considerata non solo un punto di partenza, ma anche e soprattutto di arrivo.

Il rischio, infatti, &egrave; quello di considerare queste differenze come elementi da contenere, limitare, compensare e infine superare, piuttosto che come aspetti da cui partire, per sviluppare stili relazionali e di apprendimento personali, punti di forza, interessi e soprattutto talenti individuali.

Per esempio, l&rsquo;irrequietezza di un bambino potrebbe essere la base da cui partire per promuovere un approccio esplorativo all&rsquo;ambiente, durante un&rsquo;attivit&agrave; ludica. E ancora, la carenza di abilit&agrave; verbali pu&ograve; diventare l&rsquo;occasione per promuovere, sia nell&rsquo;alunno sia nei compagni, altri canali comunicativi legati al linguaggio non verbale, una maggiore attenzione visiva e/o la capacit&agrave; di osservazione del linguaggio corporeo altrui.

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1. L&#39;inclusione della scuola primaria

I potenziali individuali di apprendimento

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