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I libri delle emozioni, scritti e illustrati dai bambini

Come parlare ai bambini delle emozioni e dei loro vissuti? Renata Balducci e i suoi alunni costruiscono libri per conoscersi, imparare a leggere e a scrivere, raccontare di “cose difficili” con parole semplici. 

di Redazione GiuntiScuola16 dicembre 20169 minuti di lettura
I libri delle emozioni, scritti e illustrati dai bambini | Giunti Scuola

La storia di A.

A. arriva a seconda elementare già iniziata. È alto il doppio dei compagni, è arrivato dall’Egitto con la mamma e il fratellino, per ricongiungersi con il papà da anni in Italia. Per quindici giorni non si toglie il giubbotto, sta seduto con lo sguardo serio, stretto nella sua giacca anche quando l’aula è calda; sposta i compagni con manate e gomitate. I bambini si lamentano ma sono anche abituati a capire gli altri e insieme capiamo che A. non ha molti mezzi per esprimersi e che, come abbiamo imparato ad avere pazienza se arriva un compagno con la “luna storta” e vuole essere lasciato in pace, possiamo stargli vicino con delicatezza, finché non capisce che anche se siamo diversi dalla classe che ha lasciato nel suo Paese, anche con noi può stare bene.

La mamma che lo viene a prendere all’uscita da scuola, ha lo sguardo smarrito e disorientato. Il papà è l’unico in famiglia a parlare italiano. Quando A. si è appena abituato ai nostri ritmi, a questo spostare i banchi, dipingere, ballare e cantare che si alterna allo scrivere e al contare; quando ha appena iniziato a dire a mezza voce le prime parole italiane e ha imparato a chiedere permesso invece di spostare i compagni come fossero fili d’erba, succede la tragedia. È l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale. Tutti i genitori sono invitati per augurarsi buon anno e cantare canzoni insieme. Arriva la notizia al mattino: è morto il papà di A. Con la rappresentante di classe andiamo a cercare la mamma, cercare di capire cos’è successo, se possiamo fare qualcosa. Scopriamo così che tutta la famiglia è stata ricoverata il giorno prima per una banale, sia pur forte, intossicazione alimentare. Madre e figli sono stati dimessi, il papà, più grave, avrebbe dovuto stare ancora in ospedale ma ha firmato per uscire: non vuole mancare al lavoro, ha paura di essere licenziato proprio ora che è riuscito a riunire la famiglia, ha paura di lasciare sola la moglie con due bambini “E se succede qualcosa? Lei non parla italiano…”. Così firma, esce, muore di notte, tra le braccia di A.

La festa diventa mesta, canteremo una sola canzone con le lacrime agli occhi poi tutti noi adulti ci facciamo coraggio e cerchiamo di spiegare ai bambini preoccupati cos’è successo. La voce è già rimbalzata dentro la scuola, ci sono articoli sul giornale, non si può tener nascosta questa notizia. Tutti i genitori si rendono disponibili nei confronti della famiglia di A. I bambini scrivono e disegnano cose bellissime che pensano possano consolare A. A gennaio A. non c’è più. È tornato in Egitto. Pensiamo che sia stata la scelta migliore, vista l’infelicità della mamma che pativa la lontananza da casa.

Una classe che è un po’ famiglia

È già primavera quando vedo fare capolino dalla porta A. e sua mamma, sorridenti tutti e due. Penso che siano dovuti tornare in Italia e ne abbiano approfittato per venire a trovarci. Invece la mamma mi spiega con le poche parole d’italiano che sa, che è stato A. a voler tornare, là piangeva sempre, dice la mamma, qui ci sono gli amici, la famiglia di A.
È così che li chiama i compagni di A.: amici, famiglia.
Nonostante i concorsi vinti e altre soddisfazioni che la classe avrà in cinque anni, questo resterà per tutti il complimento migliore che la classe avrà ricevuto. Essere considerati tanto amici da dover attraversare un mare, un dolore e la difficoltà dell’incomunicabilità, è un riconoscimento che ci inorgoglisce. A. non sta più seduto strizzato nel suo giubbotto, sorride e abbraccia o dà pacche sulle spalle a tutti.

Questa esperienza insegnerà ai bambini e agli adulti che ci sono emozioni, sentimenti e vissuti che sono identici in tutte le culture. Ma anche che ci sono modi diversi di affrontare e vivere le emozioni e che queste differenze sono soggettive e, a volte, anche un po’ “culturali”. Per alcuni, le lacrime di un maschio sono un segno di debolezza; per altri, si può manifestare il dolore in pubblico con gesti e parole.

Come parlare ai bambini del dolore e del lutto, delle emozioni e dei vissuti? La lettura delle fiabe sembra essere la strada più efficace, ma ci sono difficoltà linguistiche evidenti che possono impedire la comprensione dei racconti. Per questa ragione tutte le storie lette verranno riraccontate con disegni collettivi e poche necessarie parole.

La paura non ci fa paura

Costruire i libri in classe , per me, è diventato per me lo strumento principale attraverso cui imparare a leggere e a scrivere. E diventerà via via anche un modo per conoscersi meglio e costruire il gruppo. Oltre alle storie fantastiche, individuali e collettive, infatti, fin dalla prima, abbiamo avviato due collane che raccoglievano diversi lavori, individuali, messi a punto in piccolo e grande gruppo.

La prima “collana” è quella dei LIBRI DELLE EMOZIONI.

Dopo un lavoro per lo più orale e grafico sulla rabbia (problema serio di alcuni bambini in prima!) a partire dal libro “Anna è furiosa; la seconda emozione ci ha regalato produzioni confluite nel libro gigante LA PAURA NON CI FA PAURA !

Novembre: la festa di Halloween ci induce a parlare di mostri e fantasmi. Ovviamente nessuno dei piccoli dichiara la sua paura, forse non si è ancora stabilita la fiducia necessaria nel gruppo. Di fatto siamo in prima e i bambini si conoscono ancora poco.
È facile lavorare sulle emozioni dei bambini e poi lasciarli da soli a gestirsele. Per evitare questo, dopo il libro della rabbia, in classe è apparsa la scatola della rabbia, dentro la quale lasciare fuori dalla porta le arrabbiature covate a casa, per poi discuterne insieme con calma e se si vuole.
Per la paura dobbiamo inventarci cose simili. Innanzi tutto i bambini si confrontano sulle loro strategie per non avere paura, poi inventiamo insieme una ricetta. In seguito si creeranno le scatole per acchiappare la paura, circondate da scritte che rappresentano ciò che ci salva dalla paura: la famiglia, gli amici…

Comunque, per non mettere in imbarazzo quelli che volevano dare l’immagine dei coraggiosi, ho deciso di dare a ogni bambino tre foglietti di colore diverso. Sul primo dovevano scrivere cosa li spaventava, sul secondo come si sentivano fisicamente quando avevano paura, sul terzo quale soluzione adottavano per non avere più paura. I biglietti potevano essere anonimi (soluzione scelta dalla maggioranza). Prima di leggere il contenuto dei biglietti, sono state svolte attività motorie e grafiche.

Dopo la lettura dei biglietti si è scelto di fare degli elenchi. I bambini sono stati fotografati con l’espressione più impaurita che riuscivano a fare, mentre guardavano lo spazio vuoto del banco. Su quello spazio vuoto in seguito hanno incollato i disegni del loro oggetto del terrore.

Ho paura …

Mi sento così…

I bambini sono stati invitati a chiudere gli occhi e a pensare ai colori e alle forme della paura, poi si è proposto di rappresentarli con gli acquarelli.
Durante queste attività (che sono continuate in momenti diversi per circa due mesi) si è scritto un testo collettivo: “La ricetta per non avere più paura” (primo approccio al testo regolativo) e si è iniziata la lettura del libro di Jill Tomlinson “Il gufo che aveva paura del buio”. Le diverse attività e il commento della lettura hanno permesso ai bambini di arrivare a parlare delle loro paure liberamente e di consigliarsi i metodi migliori per superarle.

Tutta questa produzione è confluita in un libro in cui sono state particolarmente curate le parti extratestuali in modo da costituire un modello sul quale i bambini avrebbero lavorato autonomamente negli anni successivi.

Il libro sull’amicizia

L’altro libro della collana delle emozioni è AMICI!
Un libro collettivo sull’amicizia: dalle foto tra amici, ai testi e alle poesie; dai “disegni lunghi lunghi” (li abbiamo chiamati così perché sono dipinti lunghi alcuni metri!) fatti da gruppi di amici e che raccontano storie grafiche di amicizia, ai primi tentativi di pop-up dei bambini che rappresentano i loro amici a scuola. Tutte le attività sono state svolte in piccoli gruppi i cui componenti cambiavano. L’osservazione delle differenti aggregazioni mi ha permesso anche di osservare la qualità del livello di socializzazione del gruppo.
Livello altissimo che ha permesso la creazione di gruppi via via diversi che cercavano (spontaneamente!) di non escludere nessuno. Quando la richiesta linguistica era troppo alta, i bambini non ancora in grado di scrivere autonomamente, potevano trovare un loro spazio nei momenti dell’illustrazione.

Non essere attivi, non ancora attivi, nella scrittura o nel parlato, non esclude nessuno. Mentre si disegna, o si cerca di spiegare il proprio pensiero alla maestra-prestamano, si imparano parole, ma soprattutto si impara a stare bene insieme.

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