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Competenze interculturali: una necessità per tutti

In un mondo globalizzato e interdipendente acquisire competenze interculturali è una necessità per tutti. Il modello fornito dall’insegnante costituisce di per sé un antidoto agli atteggiamenti di esclusione e chiusura. Di Maria Frigo

di Maria Frigo06 maggio 20195 minuti di lettura
Competenze interculturali: una necessità per tutti | Giunti Scuola

Nel gergo implicito condiviso dalle scuole italiane, spesso sotto la parola “intercultura” si raccolgono due gruppi di attività: da una parte l’attuazione degli interventi compensativi per gli alunni di madre lingua differente dall’italiano, dall’altra la presentazione in classe di elementi di cultura tradizionale di altri paesi (cibo, feste, racconti, ecc.). Queste attività non sono però la misura della competenza interculturale di una classe o di una istituzione scolastica.

La competenza interculturale ha un significato diverso, trattandosi piuttosto della capacità di comunicare, in modo adeguato alle circostanze, tra persone che hanno un bagaglio culturale differente. Per parlare di intercultura a scuola non è necessario perciò che ci siano alunni di altra lingua; in un mondo globalizzato e interdipendente acquisire competenze interculturali è una necessità per tutti, una competenza chiave della cittadinanza come del resto sottolineato nei documenti del Consiglio d’Europa e OCSE PISA.

Ma come si sviluppa la competenza interculturale di tutti gli alunni e cosa possono fare gli insegnanti per favorirla?

Apertura, curiosità, rispetto

Prendiamo come riferimento il modello di sviluppo della competenza interculturale proposto dalla studiosa americana Darla Deardorff , non tradotto in italiano, ma già citato su questa rivista nell’articolo di Mattia Baiutti . Secondo Deardorff “la competenza interculturale è la capacità di comunicare e comportarsi in modo efficace e appropriato durante un incontro interculturale. Per poter far ciò è necessario sviluppare delle attitudini (ad esempio, rispetto, curiosità, apertura mentale), delle conoscenze (ad esempio, autoconsapevolezza, consapevolezza sociolinguistica, informazioni culturali specifiche) e delle abilità (ad esempio il pensiero critico). Mobilitate e armonizzate assieme queste componenti dovrebbero produrre degli effetti interiori (ad esempio sviluppo di flessibilità, capacità di adattamento, visione relativa ed empatia) e degli effetti esteriori ovverosia il comunicare in modo appropriato ed efficace con persone percepite aventi background culturali diversi".

Fonte: http://www.dsu.univr.it/documenti/Avviso/all/all117084.pdf

Nello schema di Deardorff, alla base della competenza interculturale ci sono le attitudini, non come tratti permanenti di personalità, quanto piuttosto come atteggiamenti che i singoli assumono nell’incontro con l’altro. Un atteggiamento di base curioso e non giudicante è diffuso tra gli alunni, ma può essere rafforzato – oppure limitato –, dall’osservazione dei comportamenti che hanno gli adulti intorno a loro. Un clima generale che tende a presentare chi è straniero come pericoloso e problematico non facilita certamente il compito, ma nella scuola si può anche andare nella direzione contraria. Le due parole chiave possono essere esempio e permesso . È più efficace mostrarsi rispettosi, curiosi e aperti piuttosto che indicare questi come regole o comportamenti desiderati. In altre parole, il modello e l’esempio che l’insegnante offre in classe sono un ottimo antidoto agli atteggiamenti di esclusione, separazione, chiusura.

Ben vengano allora le attività di conoscenza di altre tradizioni culturali, ma ancora più importante cerchiamo, con l’esempio, di dare un permesso ai nostri alunni: quello di attrezzarsi non allo scontro con gli altri, ma all’incontro. Diventeranno cittadini del mondo.

Per approfondire:

Esercizi di mondo: competenza interculturale e mobilità studentesca (per scelta), di Mattia Baiutti (su Sesamo)

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