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"Via dalla pazza classe": educare per vivere

Un libro invita a non restare indifferenti di fronte a quanto sta accadendo oggi e pone una riflessione su una serie di interrogativi cruciali intorno ai quali va formandosi una nuova coscienza europea. Di Eraldo Affinati

di Redazione GiuntiScuola23 aprile 20193 minuti di lettura
"Via dalla pazza classe": educare per vivere | Giunti Scuola

Da undici anni parlo e scrivo della scuola Penny Wirton per l’insegnamento della lingua italiana ai migranti che vede coinvolte a vario titolo migliaia di persone in numerose zone del Paese. Con il mio nuovo libro, Via dalla pazza classe , ho sentito l’esigenza di riflettere, a partire dalla nostra piccola ma preziosa esperienza, su certi interrogativi cruciali intorno ai quali, pur fra entusiasmi, lacerazioni e resistenze, sembra si stia formando una nuova coscienza europea .

Tale risoluzione mi ha portato a rovistare in un pentolone allo stesso tempo autobiografico e collettivo. Come nasce e si sviluppa l’idea di fondare una comunità didattica? Cosa significa voler raccogliere il testimone dalla generazione precedente per consegnarlo a quella che segue? Chi sono i ragazzi senza famiglia provenienti dal Terzo Mondo che, dopo aver attraversato mari e monti, arrivano in Europa? Perché, sostengono alcuni, dovremmo provare a uscire dal sistema retributivo che ci governa nel tentativo di affermare – a volte contro tutto e tutti, compresi noi stessi – un altro modo di vivere? In quale senso oggi stiamo conoscendo una crisi etica di forma nuova , singolarmente associata all’innegabile progresso tecnologico indotto dalla rivoluzione digitale? Cosa potrebbe voler dire “andare bene” o “andare male”, a scuola, sì, ma in fondo anche nella vita quotidiana di ognuno?

I sei poli tematici di Via dalla pazza classe rappresentano delle possibili risposte , consapevolmente rischiose, a tali domande. “I muri che dividono il mondo”, per dirla con Tim Marshall, continuano a crescere, gli steccati invisibili più in fretta di quelli geografici: in Italia ne sappiamo qualcosa. Un giorno, pensando alle morti dei migranti nel deserto del Sahara e nel vecchio “lago arabo”, secondo la proverbiale definizione che Henri Pirenne diede del mar Mediterraneo, alcuni ci potranno chiedere dove fossimo quando ciò accadeva , così come noi abbiamo fatto con chi negli anni Quaranta del secolo scorso abitava nei pressi dei lager nazisti. Nelle terribili torture e nei continui naufragi che vedono coinvolti i nuovi dannati della Terra sembrano tornare come spettri le “eliminazioni caotiche” di cui hanno parlato gli storici della Shoah. Di fronte a queste tragiche vicende, sebbene consapevoli della nostra insufficienza e inadeguatezza, non possiamo restare indifferenti .

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