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Un bambino dentro una valigia

L’immagine del bambino ivoriano rannicchiato dentro il trolley, scoperto al confine tra il Marocco e la Spagna, è una di quelle che si imprimono nella mente e nel cuore. E là devono restare a testimoniare vite d’infanzia prive dei diritti elementari. Di Graziella Favaro.

di Redazione GiuntiScuola09 maggio 20154 minuti di lettura
Un bambino dentro una valigia | Giunti Scuola

“Trattare i bambino come un pacco”: è un modo di dire metaforico che rimanda a spostamenti non pensati, improvvisi, disorientanti.
Ma mai avremmo pensato che la metafora diventasse realtà e che davvero un bambino di 8 anni potesse essere sistemato dentro una valigia di 69 cm di altezza per 45 di larghezza e 25 di profondità.

In questo modo Abu – questo è il suo nome – avrebbe dovuto ricongiungersi al padre immigrato regolare nelle Canarie al quale era stato rifiutato il ricongiungimento del figlio .  L’immagine del bambino ivoriano rannicchiato dentro il trolley, scoperto al confine tra il Marocco e la Spagna mezzo morto di paura, è una di quelle che si imprimono nella mente e nel cuore.
E là devono restare a testimoniare vite d’infanzia prive dei diritti elementari.

Vengono in mente altre storie di bambini, invisibili e nascosti, con la cittadinanza italiana e non così lontane nel tempo. Sono le storie raccontate nel libro Bambini proibiti da Marina Frigerio (2012).

“Per passare il confine tra Italia e Svizzera da Marchirolo si scende verso il valico di Ponte Tresa. Un’Alfa rosso bordò si arresta ai margini del bosco. L’uomo al volante scende guardingo e apre il cofano. La moglie spinge una ragazzina di dodici anni che scivola nel bagagliaio con la paura scritta in faccia . I due adulti risalgono in auto . Con volti impietriti che ostentano normalità passano il controllo”. La bambina è Catia Porri di Soffiano (Firenze) che oggi ha 64 anni e lavora come fotografa in Svizzera.
Nel 1962, dopo aver passato la frontiera, comincia a Zurigo la sua “ vita nell’armadio ”: nascosta, immobile, silenziosa, invisibile.
Catia è una delle migliaia di bambine e bambini italiani che per decenni hanno vissuto nascosti in Svizzera con la paura di essere espulsi.

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