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Quando la disabilità intellettiva è grave
Anche se il bambino potrà non imparare a leggere o fare semplici calcoli a mente le attività in classe lo aiuteranno a migliorare le sue prestazioni

Consideriamo in questo contributo gli alunni che nella scuola primaria hanno una dotazione intellettiva inferiore a 3-4 anni di età mentale.
Tra questi possiamo trovare per esempio i bambini con la sindrome di Angelman o di Rett, ma anche, in comorbilità, bambini con disturbi dello spettro dell’autismo a basso funzionamento o paralisi cerebrale infantile.
L’importanza di una classe inclusiva
Nell’articolo Caratteristiche della classe inclusiva, pubblicato su questa rivista nel mese di ottobre 2021, abbiamo avuto l’opportunità di constatare che, secondo la ricerca internazionale, molteplici sono i vantaggi di una classe inclusiva rispetto a una speciale.
Questo vale anche per gli alunni con disabilità intellettiva grave: certo, con risultati condizionati dalla loro dotazione biologica.
Spesso, il peggior ostacolo per un’adeguata inclusione-integrazione è costituito, in Italia, da aspettative troppo alte. Sì, lo so, a volte sono presenti anche aspettative troppo basse. In ambedue i casi esse sono dovute a una scarsa conoscenza del singolo alunno con disabilità (vedi l’approfondimento a pagina seguente).
A titolo esemplificativo riporto i risultati di un’interessante indagine (Vianello, 2015): secondo la ricerca internazionale gli individui con la sindrome di Angelman anche in età adulta non acquisiscono il pensiero simbolico (di norma presente dai 18 mesi di vita) limitandosi a prestazioni di intelligenza senso-motoria e, nella maggioranza dei casi, hanno 8-12 mesi di età mentale. Invece, il 30% dei bambini-ragazzi italiani esaminati nell’indagine citata ha manifestato comportamenti simbolici, quindi una età mentale superiore a quella riportata dalla letteratura internazionale. A mio parere la spiegazione è semplice: erano inseriti in classe “normale” e hanno quindi usufruito di un ambiente migliore.
Vantaggi diretti e indiretti
Per un bambino con disabilità grave, una classe “normale” non comporta solo vantaggi diretti dovuti al contat- to con compagni con sviluppo tipico, all’aiuto di un insegnante di sostegno e di insegnanti curricolari sempre più sensibili alle problematiche dell’inclusione-integrazione, ma anche vantaggi indiretti.
Innanzitutto per i genitori, che non si sentono esclusi, o almeno si sentono meno penalizzati, e che nella realtà familiare sono ulteriormente stimolati a valorizzare ciò che il bambino sa fare. Poi, per la sensibilizzazione a cascata che si produce nella realtà extra-scolastica.
Diciamolo chiaro: nel resto del mondo, a parte interessanti eccezioni, bambini e ragazzi con disabilità intellettiva grave sono meno inseriti anche nelle attività extra-scolastiche: sportive, musicali, gite, gruppi adolescenziali spontanei o organizzati (per esempio parrocchiali o scautistici oppure gestiti dall’ente locale).
Andiamo incontro al bambino
Come abbiamo detto vi sono alunni con disabilità intellettiva grave che hanno basi cognitive paragonabili a quelle di bambini del nido o dell’inizio della scuola dell’infanzia. Valorizziamo in ogni caso queste capacità.
Non ne siete convinti? Andate a fare una visita in un nido e osservate attentamente quanto i bambini che lo frequentano siano ricchi e, in ogni caso, queste capacità con l’esercizio permettono prestazioni sociali supe- riori a quelle emerse a livello cognitivo (effetto surplus).
E se ci sembra che la situazione sia veramente grave? Potenziamo al massimo la nostra capacità di andare incontro ai bisogni primari dell’alunno: sentirsi accolto, vedere serenità nei volti degli adulti, trovare un ambiente familiare e quindi prevedibile, realizzare ciò che le potenzialità permettono. Se ci riusciremo, avremo imparato qualcosa che ci sarà utile con tutti i nostri alunni e non solo con quelli con disabilità.
Due obiettivi prioritari da perseguire
Conoscere il livello di sviluppo
Il primo obiettivo è cercare di capire quali sono le capacità dell’alunno, in particolare se confrontate con i livelli dello sviluppo tipico. Partite dalle informazioni che ricevete dagli operatori socio-sanitari, poi realizzate osservazioni sistematiche nell’ambiente scolastico. Sono avvantaggiati gli insegnanti che hanno un’ottima conoscenza dello sviluppo tipico nei primi 3 o 4 anni di vita.
Suggerisco in particolare di iniziare cercando le risposte alle seguenti domande:
“Quante parole singole usa?”;
“Usa anche frasi di due parole? E di tre o più?”;
“Fa giochi simbolici?”;
“Esegue, ricordandosi mentre agisce, consegne che richiedono di fare due cose una dopo l’altra? E tre?”.
Stabiliti i suoi livelli linguistici, cognitivi e sociali, espressi in cose in cui riesce, proponiamo attività che aiutino a portare a piena padronanza ciò che sa già fare. Se ci riusciamo, emergeranno altre capacità su cui lavorare.
Proporre attività simili a quelle dei compagni
Il secondo obiettivo, ancor più impegnativo del primo, è proporre attività che siano, nei contenuti generali, affini a quelle dei compagni. I volumi citati nel Per saperne di più presentano molti esempi al riguardo. Ciò che conta è che i nostri alunni con disabi- lità intellettiva grave “vivano” ciò che fanno come uguale a ciò che fanno gli altri, anche se al proprio livello; si tratta di proporre un insegnamento differenziato, su cui ci soffermeremo in un futuro contributo.
- Vianello, R. (2015). Disabilità intellettive. Bergamo: edizioni Junior.
- Vianello, R. (2018). Disabilità intellettive. Come e cosa fare. Firenze: Giunti EDU.