L&rsquo;ozio attivo della riflessivit&agrave;

Indizi, dettagli, tracce, segni, sintomi

Cozolino, L. (2008). Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane. Milano: Raffaello Cortina.

Falaschi, E. (2016). Epistemologia del benessere e professionalit&agrave; educative. Modelli teorici, interpretazioni pedagogiche, dispositivi metodologici. Roma: Aracne.

Foucault, M. (1992). Tecnologie del s&eacute;. (p. 23). Torino: Bollati Boringhieri.

Ginzburg, C. (1986). Miti, emblemi, spie: morfologia e storia. Torino: Einaudi.

Mortari, L. (2006). La pratica dell&rsquo;aver cura. Milano: Mondadori.

Superando la staticit&agrave; del dibattito che oppone rigidamente natura e cultura, Louis Cozolino (2008) avanza l&rsquo;ipotesi che le funzioni della mente vengano plasmate costantemente dall&rsquo;interazione fra processi neurofisiologici interni e relazioni interpersonali. Come evidenziato su pi&ugrave; fronti dalla ricerca empirica, il cervello sarebbe caratterizzato da un&rsquo;ampia plasticit&agrave; &ldquo;esperienza-dipendente&rdquo; che gli permetterebbe di ristrutturare nel tempo le attivit&agrave; della mente sulla base dei nostri vissuti e apprendimenti. La neuroscienza, attraverso le immagini ottenute con le nuove tecniche di visualizzazione cerebrale, ha reso noto che la struttura stessa del nostro cervello lo rende socievole, inevitabilmente soggetto a un profondo legame cervello-cervello ogniqualvolta entriamo in contatto con un&rsquo;altra persona. Ne consegue che le relazioni plasmano non solo l&rsquo;esperienza ma anche le funzioni biologiche, a livello di circuiti e centri cerebrali.

Sulla base di questi studi, gli aspetti relazionali che chiamano in causa la trasmissione &ldquo;per contagio&rdquo; di azioni, emozioni, stati d&rsquo;animo, sono stati studiati con l&rsquo;obiettivo di indagare l&rsquo;esistenza di un network del benessere (o del malessere). Gli stati emotivi si trasferirebbero da un individuo all&rsquo;altro attraverso la mimica &ndash; specie quella facciale &ndash; grazie ai neuroni specchio, non a caso coinvolti nelle percezioni delle emozioni degli altri e veicolate attraverso il movimento. Le persone felici tendono a essere naturalmente il centro del loro cluster relazionale, e questo, dicono gli autori, confermerebbe il ruolo dell&rsquo;evoluzione: dato che siamo animali sociali, mettiamo al centro della nostra rete chi ci pu&ograve; apportare benessere, funzionale alla sopravvivenza e allo sviluppo.

Le conclusioni sono importanti dal punto di vista sociale ed educativo, perch&eacute; affermano che la felicit&agrave; &egrave; un&rsquo;emozione che si distribuisce secondo la logica del network, quindi un determinante chiave della nostra felicit&agrave; (indizio di benessere) &egrave; la felicit&agrave; di chi ci sta vicino. Da qui, la necessit&agrave; di un impegno pedagogico, quale obiettivo fondante, di costruire, coltivare, curare contesti educativi di benessere.

Nell&rsquo;ambito dello studio del benessere, una metodologia &egrave; quella di utilizzare le strategie indiziarie, andando a ricercare quelle &ldquo;tracce&rdquo; che ne rappresentano le componenti (Falaschi, 2016). Cos&igrave;, il benessere all&rsquo;interno dei propri contesti esistenziali e professionali (amore, amicizie, lavoro ecc.) pu&ograve; emergere analizzando i &ldquo;segni&rdquo; della soddisfazione e della gratificazione.

L&rsquo;affetto piacevole pu&ograve; scaturire dai &ldquo;particolari&rdquo; delle emozioni che lo compongono (gioia, orgoglio, ecc.) cos&igrave; come l&rsquo;affetto spiacevole si pu&ograve; indagare dal punto di vista di ogni singola &ldquo;traccia&rdquo; di emozione negativa (vergogna, colpa, tristezza). Questo permetter&agrave; di comprendere la presenza di sentimenti di benessere o di malessere e i fattori responsabili della loro stabilit&agrave; o della loro variabilit&agrave; nel tempo.

Il benessere contagioso

L&rsquo;esercizio di riflessivit&agrave; &egrave; da sempre riconosciuto come l&rsquo;espressione di una virt&ugrave;. Michel Foucault lo definisce come un ozio attivo poich&eacute; si tratta &ldquo;di studiare, di leggere, di prepararsi alla sventura o alla morte. &Egrave; una meditazione e una preparazione&rdquo; (Foucault, 1993, p. 23). Nel pensiero foucaultiano la riflessivit&agrave; legata all&rsquo;interiorit&agrave; e al &ldquo;conosci te stesso&rdquo; (gnothi seauton) &egrave; una formulazione che connette la cura di s&eacute; con la formazione di s&eacute;, intesa come apprendimento e come formazione integrale dell&rsquo;essere umano (paideia). La formula del &ldquo;prendersi cura di s&eacute;&rdquo; esprime qualcosa di molto pi&ugrave; serio del semplice &ldquo;fare attenzione a s&eacute; stessi&rdquo;, poich&eacute; si tratta sempre di un&rsquo;attivit&agrave; reale e costante e non di un atteggiamento astratto e sporadico ma di un esercizio di s&eacute; attraverso cui il soggetto elabora e trasforma se stesso.

Dal momento che una buona cura tiene l&rsquo;essere immerso nel buono attraverso l&rsquo;essenza della relazionalit&agrave; (Mortari, 2006), &egrave; importante ribadire il necessario impegno da parte di ognuno nel cercare di individuare quelle diverse manifestazioni che rendono fecondi i legami umani. Questo significa che se abbiamo cura di certe relazioni, il nostro essere sar&agrave; costruito dalle cose e dalle situazioni che prenderanno forma in queste relazioni. Se ci prendiamo cura di certe persone quello che accade nello scambio relazionale con l&rsquo;altro diventer&agrave; parte di noi. Della cura, afferma Luigina Mortari, si pu&ograve; pertanto parlare in termini di una fabbrica dell&rsquo;essere: ogni cura &egrave; cura pedagogica, in quanto sostiene i soggetti (bambini, insegnanti, genitori, ecc.) attraverso&nbsp; legami fatti di attenzione, sostegno, dialogo, ascolto. 
Dunque ogni professione educativa &ndash; che implica una pratica educativa e azioni formative indirizzate al benessere dei soggetti &ndash; &egrave; sempre una professione di cura. Solo avendo cura di noi stessi saremo in grado di avere cura degli altri e solo all&rsquo;interno di questa dimensione di scambio reciproco tra soggettivit&agrave; plurime potremo individuare e alimentare gli indizi del nostro e altrui benessere.

A questo scopo il &ldquo;paradigma indiziario&rdquo; pu&ograve; essere di aiuto nell&rsquo;interpretare la complessit&agrave; ricercando correlazioni e accostamenti. Utilizzare il &ldquo;paradigma indiziario&rdquo; significa riflettere su quella particolare modalit&agrave; conoscitiva e interpretativa, definita come arte della decifrazione, che a partire da dati marginali, da dettagli rivelatori, permette di conquistare una nuova leggibilit&agrave; degli eventi. A seconda del contesto, alcuni dettagli, indizi, tracce, segni, sintomi, particolari di un tutto pi&ugrave; grande, si definiscono diversamente e connotano diversamente una situazione o un processo.

Carlo Ginzburg (1986), alla fine dell&rsquo;Ottocento, proponeva un metodo innovativo per attribuire le riproduzioni di alcuni quadri ai veri autori. Egli suggeriva di non soffermarsi sulle caratteristiche salienti di un&rsquo;opera o di una scuola (tipo il sorriso della Gioconda di Leonardo) ma di analizzare i particolari pi&ugrave; trascurabili tipo i lobi delle orecchie, le unghie, la forma delle dita delle mani e dei piedi. Ginzburg riteneva che i copisti si sarebbero &ldquo;impegnati&rdquo; nella riproduzione fedele dei tratti salienti ma che avrebbero mantenuto il loro modo di dipingere i particolari, dal momento che nessuno si sarebbe tanto soffermato sul dettaglio del lobo di un orecchio. Quest&rsquo;ultimo veniva cos&igrave; a rappresentare un &ldquo;indizio&rdquo;, un&rsquo;intuizione razionalizzata che poteva generare una diversa interpretazione. I particolari osservati metodicamente hanno permesso, secondo Ginzburg, di configurare una nuova metodologia, quella del &ldquo;paradigma indiziario&rdquo;.

Questa modalit&agrave; interpretativa &egrave; efficacemente utilizzabile anche nelle materie umanistiche, nell&rsquo;analisi dei comportamenti umani, restituendo la legittimit&agrave; all&rsquo;intuizione e all&rsquo;istinto, proprio partendo dai dettagli, dai particolari, importanti per capire le cose, le situazioni e le persone. &Egrave; necessario precisare che il paradigma indiziario non va assunto con leggerezza estemporanea e casuale ma, in quanto tecnica ermeneutica della decifrazione, richiede un notevole investimento di tempo, di energia e di cura, attraverso l&rsquo;esercizio costante della riflessivit&agrave;.

Obiettivo benessere