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Mutismo selettivo, come intervenire in classe? Sportello Psicologia e Scuola
Risponde Paola A. Sacchetti, psicologa: “Prima ancora di ideare attività, dobbiamo lavorare per creare un clima inclusivo e non giudicante nel gruppo”

Lo Sportello Psicologia e Scuola di Giunti Scuola offre un aiuto ai docenti sui temi della psicologia scolastica e sulle problematiche quotidiane di bambini e ragazzi: difficoltà, relazioni, disabilità, BES, DSA...
Paola A. Sacchetti, psicologa, risponde privatamente a ogni domanda. Ecco una richiesta di consulenza su un tema specifico e la sua risposta.
Nel caso di bambino di 6 anni in prima primaria con probabile mutismo selettivo, le insegnanti come devono comportarsi?
Quali strategie adottare?
Risponde Paola A. Sacchetti:
“Leggendo la sua domanda, deduco che ne abbia già parlato con la famiglia e che stiano procedendo a una valutazione delle difficoltà del bambino: infatti, per parlare di mutismo selettivo è necessario che il bambino non comunichi a scuola da almeno un mese, tenendo conto che la difficoltà a parlare all’ingresso alla scuola primaria potrebbe essere legata alla timidezza o al doversi adattare a un contesto nuovo e che quindi potrebbe “rientrare” in modo spontaneo.
Detto questo, se di mutismo selettivo si tratta, come prima cosa è essenziale sapere che il bambino non sceglie di tacere: vorrebbe comunicare ma non ci riesce, è bloccato dall’ansia. Quindi si tratta di una reazione non intenzionale che si manifesta nei contesti non familiari o con persone sconosciute. Sono bambini particolarmente sensibili e attenti al giudizio altrui, abitudinari e perfezionisti, quindi anche la paura di sbagliare impedisce loro di parlare e mettersi in gioco in un nuovo ambiente. Uscire dal mutismo selettivo non avviene di colpo, è processo lungo fatto di piccoli passi; si deve quindi avere molta pazienza e stabilire un’alleanza solida con la famiglia, per lavorare tutti insieme trovando un percorso adatto per sostenerlo ad affrontare quest’ansia che lo blocca: solo tempo, pazienza e un percorso con uno specialista possono guidarlo ad affrontare la propria ansia e a imparare strategie per gestirla, facendo fronte alle diverse situazioni.
La collaborazione con la famiglia è essenziale: coinvolgiamo uno dei genitori o un altro partente con cui il bambino ha un buon rapporto: possiamo chiedere di far arrivare il bambino un po’ prima dei compagni, così che non si senta “costretto” a interagire con loro, e conversare con il genitore che lo ha accompagnato, lasciando che il bambino osservi/ascolti senza necessità di intervenire. In questo modo si abituerà gradualmente a noi e all’ambiente supportato da una presenza familiare. Possiamo anche chiedere al genitore di venire a scuola un paio di volte a settimana al termine delle lezioni e di fermarsi qualche minuto (bastano 10- 15 minuti) con il bambino, facendosi mostrare l’aula, i lavori fatti… Se il bambino ha difficoltà a entrare in aula, lasciamo che genitore e figlio stiano in un luogo esterno all’aula, da soli, a giocare, parlare o guardare i lavori svolti. Poi possiamo prevedere che in questi incontri post-lezione si unisca un compagno (dopo aver ottenuto la collaborazione della famiglia dell’altro bambino e senza la presenza di altri adulti), in cui il genitore giochi con il figlio e il compagno. In questo modo, il bambino inizia gradualmente a prendere confidenza con un compagno e, quando riuscirà a comunicare con lui, la presenza del genitore può essere via via ridotta fino a lasciare i bambini a giocare da soli.
Un aspetto da curare con particolare attenzione, trasversale a qualsiasi attività o strategia che possiamo usare con il bambino, riguarda proprio la relazione con i compagni. Prima ancora dell’attenzione a ideare attività che lo possano mettere nella condizione di sperimentare una relazione positiva con gli altri e di non sentirsi inadeguato o giudicato, dobbiamo lavorare per creare un clima inclusivo e non giudicante in classe. Il bambino con mutismo selettivo sa di essere diverso dai compagni, vuole parlare ma non ce la fa e si rende conto che i compagni lo vedono come “quello che non parla”. Evitiamo che venga preso in giro o etichettato: in accordo con la famiglia e con il bambino, spieghiamo ai compagni, in presenza del bambino, che ci sono persone per cui è più difficile parlare, che ci sono altri bambini che fanno fatica a parlare, ma che con il tempo si supera, e che tutti abbiamo qualche difficoltà e paura di qualcosa. Possiamo usare questa occasione per far raccontare ai compagni, in modo volontario, le proprie paure ed eventualmente quali strategie mettono in atto per affrontarle. Dopo averne parlato in classe, non torniamo sull’argomento a meno che non sia il bambino a volerne parlare e guidiamo, sosteniamo e monitoriamo le relazioni che si creano tra lui e compagni, cercando di accompagnarlo a vivere nel modo più sereno possibile le interazioni con i pari.
Creiamo quindi un clima di classe il più rilassato possibile, che aiuti il bambino gradualmente a sentirsi a suo agio. Rispettiamo i suoi tempi, evitiamo di forzarlo a parlare, per esempio promettendogli premi in caso lo facesse o punendolo se non lo fa, e adeguiamo le nostre richieste alle sue necessità: se il mutismo non è assoluto, lasciamo che comunichi in modo non verbale, con lo sguardo, un cenno del capo o indicando con il dito. Dato che spesso non emettono alcun suono nemmeno per comunicare i propri bisogni primari o un malessere, è importante dedicargli un’attenzione particolare, osservandolo, proprio per riuscire a coglierli.
Stimoliamo perciò la comunicazione non verbale, che può essere estesa anche a tutto il gruppo classe, per attività pensate appositamente o per comunicare le proprie necessità, per esempio, possiamo stabilire che per chiedere di andare in bagno i bambini debbano mostrarci un cartellino con il simbolo del bagno.
Non forziamolo a rispondere verbalmente alle domande nostre o dei compagni, ma consentiamogli di comunicare non verbale, evitiamo quindi anche di farlo leggere ad alta voce di fronte a tutti. In questo caso, per valutare l’andamento dell’apprendimento della lettura, possiamo chiedere alla famiglia di registrare il bambino mentre legge a casa e poi di farci avere la registrazione.
Quando ricomincerà a comunicare, è probabile che lo faccia in qualche forma prima con un compagno invece che con gli adulti; evitiamo di gratificarlo eccessivamente o di gioire in maniera esplicita perché ha parlato, né verbalizziamolo: potrebbe chiudersi di nuovo, spaventato dalla troppa attenzione. Le gratificazioni devono essere contingenti e commisurate. Inoltre, per il bambino iniziare a parlare sarà comunque difficile; anche se lo farà con un compagno con cui si sente a suo agio, è probabile che sussurri e bisbigli: non diciamogli di parlare più forte né forziamolo a comunicare anche con altri compagni. Come abbiamo già detto, è essenziale rispettare i suoi tempi.
Nelle normali attività didattiche prevediamo alcuni adattamenti in modo che possa partecipare alle attività con i compagni senza proferire parola ma fornendo comunque il proprio contributo “facendo”, per esempio ritagliando e incollando, colorando… e che quindi contribuisca attraverso disegni, immagini, musica e, quando saprà farlo, la scrittura.
Non forziamolo a condividere con la classe i propri lavori se non è lui a volerlo fare o se è intimorito dall’essere al centro dell’attenzione, se c’è qualcosa in cui il bambino riesce bene, per esempio il disegno, solo se il bambino gradisce, mostriamolo ai compagni per gratificarlo (ma eccessiva enfasi!). Sosteniamolo ad abituarsi gradualmente ad essere al centro dell’attenzione dei compagni, per esempio possiamo prevedere attività in piccoli gruppi in cui, per esempio, fare il mimo. Anche in queste attività monitoriamo le reazioni del bambino e proponiamole solo quando è in grado di affrontarle, quindi chiediamogli se ha voglia di partecipare e, se non se la sente, lasciamo che osservi o affidiamogli un compito diverso, come prender nota di chi mima o di quale azione è stata mimata ecc.
Possiamo anche affidargli semplici incarichi utili a tutti, coinvolgendolo così nella vita di classe, come prendere il materiale per la lezione, se è possibile svolgendoli con un compagno con cui ha maggiore familiarità e/o con si sente a suo agio”.
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