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Mappe di parole. Laboratorio di esplorazione attiva e autonarrazione
Un’esperienza di viaggio dentro il proprio quartiere e dentro le possibilità del racconto attraverso la fotografia, la scrittura, la voce.
“Noi parliamo la nostra città [...] semplicemente abitandola, percorrendola, guardandola”
(R. Barthes, in “Architecture d’aujourd’hui”, n. 153, 1970-71, pp. 11-13)
“L’arte di «elaborare» frasi ha come equivalente un’arte di inventare percorsi”
(M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2010, p. 154)
Il laboratorio, realizzato nel quartiere Materdei di Napoli, è partito dall’analogia tra esplorazione spaziale e racconto di parole ben descritto da queste due citazioni. Obiettivo era di accompagnare la duplice esperienza di “esplorazione” dei luoghi del quartiere e dei luoghi interiori delle emozioni e delle memorie soggettive. L’intento era di aumentare negli allievi la consapevolezza delle pluralità dei linguaggi e degli strumenti di rappresentazione della realtà, già in loro possesso, permettendone un uso più ricco. Si è scoperto, così, che percorrere le strade del proprio quartiere, usare le parole per raccontare un’esperienza, inquadrare con la fotocamera del cellulare una persona o un elemento architettonico non sono atti automatici ma sono pratiche che riguardano noi stessi nel profondo e, per questo, meritano di essere scelte con consapevolezza.
Il quartiere è stato il filo conduttore del laboratorio e ha permesso di attivare un lavoro su corpo, immagini e parole - attraverso diverse attività creative, motorie, relazionali - stimolando forme di autoespressione e la produzione di diversi materiali fotografici, testuali e audio.
Nel primo incontro si è partiti dal sé: a ogni alliev* è stato chiesto di ritrarsi su un foglio, aggiungendo poi delle preferenze personali: colore, numero, ecc. Queste specie di “carte d’identità” sono state poi appallottolate e usate per giocare (questa attività si richiama a una pratica ideata da Ariel Castelo, fondatore della ludopedagogia). La “dissacrazione” di tali oggetti e il rischio della loro perdita è servita a elaborare l’esperienza della costruzione e della messa in discussione dell’Io e dell’importanza delle relazioni interpersonali.
Negli incontri successivi si è introdotto il rapporto tra il sé e lo spazio geografico e sociale del quotidiano, attraverso l’elaborazione di “mappe soggettive”. Ogni alliev* ha disegnato su un foglio trasparente una mappa molto personale del percorso compiuto ogni giorno da casa a scuola, aggiungendo con estrema libertà dettagli sul proprio vissuto. Oltre che rappresentare i luoghi e i percorsi della città, lo spazio-mappa è stato, infatti, concepito come una sorta di muro della propria cameretta. In seguito, sono state formate delle coppie casuali e le mappe sono state sovrapposte, dando luogo a uno scambio di racconti sul vissuto personale del quartiere e dei suoi luoghi.
Si è ripartiti, poi, dalla mappa “oggettivante” del quartiere – tratta da Google maps – e dopo averla letta insieme, il gruppo ha interpretato, con i propri corpi nello spazio dell’aula, le strade e i luoghi di Materdei. È stata poi avviata una riflessione (arricchita praticamente con esempi di inquadratura e composizione) sul linguaggio fotografico, iniziando a prendere coscienza del mezzo: “mentre ci scattiamo un selfie osserviamo cosa c’è dietro di noi?”.
Nell’incontro successivo si è passati finalmente alla esplorazione concreta del quartiere, con un piccolo “tour” per le strade circostanti la scuola. Gli allievi, gli insegnanti e gli operatori hanno condotto un’esplorazione di alcune aree del quartiere Materdei con l’obiettivo di coglierne gli aspetti meno visibili e raccontarli con le immagini fotografiche. A ciascun* è stato affidato il compito di scattare non più di tre fotografie, in modo da dover scegliere con cura cosa rappresentare e come inquadrarlo. Da questa esperienza è scaturita una riflessione sul significato della esplorazione creativa di un ambiente consueto e sul potere di una osservazione attiva.
Dopo la passeggiata nel quartiere è stato introdotto il tema della scrittura e del racconto: la scrittrice Djarah Akan ha letto in classe un suo racconto – scritto per l’occasione - sull’esplorazione del quartiere di Materdei e ha discusso con gli allievi sul significato “magico” delle parole: “La parola segreta è: SCRUTARE. A volte le parole possono cambiare, sono magiche proprio per la loro capacità di trasformarsi. Scrutare significa cercare tra gli stracci. Così una volta fuori dalla stazione ho cominciato a rovistare nella piazza, sperando di trovare altri mari come quello del murales blu e oro”.
Con Djarah si è così proceduto nella esplorazione del mondo delle parole. Si è lavorato sugli effetti di senso derivanti dalla giustapposizione di una parola “scelta” e di una parola “trovata” casualmente sul vocabolario. Poi a ognun* è stato chiesto, sulla base di alcune domande - “un luogo”, “un tempo”, “una paura”, “un personaggio conosciuto”, ecc. - di individuare sette termini a partire dai quali ha scritto una breve storia.
“C’era una volta un cane di nome Jimmy, che aveva paura dei lampi. Guarda caso, quella sera a mezzanotte venne a piovere, con lampi e tuoni. Si alzò dal letto e si sedette sulla sedia viola, però aveva ancora paura perché si sentiva solo. Allora andò dalla nonna ma aveva ancora paura, allora decise di camminare un po’. Mentre camminava incontrò un leone, anche lui molto solo e impaurito. Si conobbero meglio e divennero grandi amici”. (Angelica, V E).
“Nel cielo azzurro c’era un pallone che stava lì, sempre, a mezzogiorno; e poi scendeva sulla piazzetta, il clown prendeva il pallone e ci giocava. Dopo un po’ di tempo venne mio fratello e giocò col clown a pallone, poi venne Neymar che gli regalò le sue scarpette da calcio”. (Antonio, I A).
Dalla parola scritta si è poi passati alla materialità della voce: a coppie di due sono state realizzate delle audioregistrazioni delle storie scritte nell’incontro precedente, alternando reciprocamente il ruolo di narratore e di auditore/raccoglitore di storie.
La volta successiva le registrazioni sono state ascoltate in gruppo, rielaborando le tre esperienze di scrittura, registrazione e ascolto. Le difficoltà di molt* ad abbandonarsi all’ascolto della propria registrazione, poi superate grazie al supporto reciproco, hanno stimolato una riflessione sulla “voce”, sulla memoria, sulle relazioni, sulla gestione della paura e il superamento dell’ansia: “nella mia voce sento quella di mia sorella o quella della mia amica”; “prima avevo paura di ascoltarmi ma dopo averlo fatto mi sono sentita bene”.
Tutti i materiali realizzati – fotografie a audioracconti – sono poi confluiti in una bozza di video che è stato esaminato insieme nell’ultimo incontro, raccogliendo spunti e proposte per il montaggio finale. Si è reso così evidente l’intreccio tra spazio esterno della città, spazio delle relazioni e spazio interiore.
La serie di attività qui proposte sono state sperimentate nell’ambito di un laboratorio di dieci incontri destinato ai bambini di V elementare e I media dell’Istituto Comprensivo Fava-Gioia di Napoli, nell’ambito del progetto: “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia” (6° Istituto Comprensivo Fava-Gioia, Napoli, codice: NAIC85200N. 6 luglio – 3 agosto 2016, bando “La Scuola al Centro”: Piano Nazionale per la prevenzione della dispersione scolastica nelle periferie, D.M. 273 del 27/04/2016” ).
Monica Bandella, Susanna Guerini, Gianluca Gatta, Djarah Akan
Gruppo Scuola AMM