Multicultura

Osservatorio Scuola Primaria • Anteprima novembre 2011

Scuola: sarà trascurata dal nuovo ministro?

In genere il rapporto tra politica e scuola è ancillare. Anche quando nei manuali si racconta la storia di un Paese, le trasformazioni e le riforme della scuola vengono relegate a un capitolo piccolo alla fine della trattazione quando non in nota. Eppure&nbsp; potremmo&nbsp; rovesciare&nbsp; questa relazione. C’è un bellissimo libro di Lamberto Borghi che andrebbe ristampato, Educazione&nbsp; e&nbsp; autorità nell’Italia moderna (1951), che dichiara come possa essere il contrario: è la scuola, l’educazione che crea le nostre società, non il contrario.&nbsp; C’è un aspetto utopico in questa ipotesi, ma proprio per questo non dobbiamo rinunciarci. La scuola cambia e cambia molto nei suoi aspetti gestionali,&nbsp; logistici,&nbsp; amministrativi ecc.; e la crisi pandemica ci ha messo di fronte senza scampo al bisogno di rinnovamento, di ripensamento del sistema scolastico, dalla didattica a distanza alla forma delle aule. Tuttavia ci sono dei totem che restano inamovibili, e che nemmeno una pandemia sembra poter stravolgere. Abbiamo&nbsp; a&nbsp; disposizione&nbsp; possibilità didattiche&nbsp; d’avanguardia,&nbsp; ma&nbsp; non riusciamo&nbsp; a&nbsp; concepire&nbsp; una&nbsp; scuola senza “interrogazioni programmate”, senza “programmi da finire”, senza “mi servono almeno tre voti a quadrimestre”... Ogni volta che non immaginiamo come mutare davvero le abitudini, le inerzie che si sono ossificate, perdiamo un’occasione di crescita importante. L’uomo che venne chiamato a concepire la scuola repubblicana dopo la sconfitta del fascismo si chiamava Carleton Washburne, era un medico diventato per caso insegnante, ma a trent’anni aveva letto i libri di Dewey e insieme a un gruppo di docenti e genitori si era inventato un esperimento di pedagogia luminoso: le scuole di Winnetka. In un piccolo sobborgo vicino Chicago, dagli anni Trenta&nbsp; del&nbsp; secolo&nbsp; scorso,&nbsp; tutte&nbsp; le scuole – rigorosamente pubbliche – venivano ripensate alla luce dell’idea di personalizzare lo studio dei ragazzi per portarli all’autonomia. Quella che poteva apparire un’utopia&nbsp; è stato un progetto pedagogico durato cinquant’anni, e soprattutto è stato il modello su cui è stata immaginata la scuola italiana nel 1945. È davvero impossibile mettere in discussione il nostro pensiero inerziale sulla scuola e provare a far nostra la traccia d’utopia che è genetica nella nostra repubblica?&nbsp;

L’utopia che serve alla scuola

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