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Le scelte della mia scuola multiculturale – Il punto di forza di Sef diventa un’opportunità per tutti

Sef, 6 anni, è appena arrivato dall'Africa e sa poche parole d'italiano. Durante la ricreazione scherza e gioca con i compagni. Quando comincia la lezione diventa chiuso e introverso. Come coltivare i bagliori d’integrazione così luminosi nella pausa e così spenti durante la lezione? Di Eva Corradini, aspettando il convegno "A scuola nessuno è straniero". 

di Eva Corradini02 febbraio 20164 minuti di lettura
Le scelte della mia scuola multiculturale – Il punto di forza di Sef diventa un’opportunità per tutti | Giunti Scuola

In occasione del convegno A scuola nessuno è straniero. La scuola multiculturale nel tempo delle scelte (18 marzo, Padova) abbiamo chiesto ad alcuni amici di "Sesamo" (insegnanti, educatori, dirigenti scolastici) di raccontarci una delle scelte che la scuola multiculturale si trova a fare ogni giorno. Oggi diamo voce a Eva Corradini.

Piccolo grande Sef

Sef aveva sei anni. Quando l’ho conosciuto la sua famiglia era appena arrivata dall’Africa e la primaria per lui rappresentava il primo approccio con la scuola e con i coetanei. La classe di ventiquattro alunni che per la maggior parte già si conosceva per un precedente alla scuola dell’infanzia, complicava l’inserimento di Sef, che dimostrava un carattere chiuso e introverso , determinato anche dalla sua scarsa conoscenza della lingua italiana.

Il suono della campanella

I primi giorni di scuola vedevano Sef sempre più chiuso in se stesso. Non partecipava alle attività, non dimostrava interesse per le lezioni, reagiva in modo spesso violento quando la maestra lo invitava a seguire degli esercizi di letto-scrittura. Gli altri bambini ne sembravano quasi spaventati, di fatto, la “stazza” di Sef era notevolmente maggiore rispetto a quella dei suoi compagni e questo ragionevolmente poteva destare delle preoccupazioni nei bambini, negli insegnanti e, a seguire, nei genitori.
L’atteggiamento però cambiava radicalmente all’intervallo, momento in cui il bambino cercava l’interazione e i compagni di classe rispondevano positivamente a questa richiesta offrendogli parte delle loro merende, invitandolo a giocare, scherzando a gesti e ridendo insieme.
Al suono della campanella Sef si chiudeva a riccio , dava segni d’insofferenza e disagio, rispondeva e agiva in modo impulsivo a ogni stimolo verbale o non-verbale.

Bagliori d'integrazione

Come agire per coltivare e far crescere quei piccoli bagliori d’integrazione così luminosi nella pausa e così spenti durante la lezione?
Pensammo che per Sef condividere uno spazio comune con tanti coetanei, l’incapacità di esprimersi per manifestare idee e bisogni, la difficoltà di capire le nostre richieste non agevolava di certo il suo inserimento in una situazione a lui completamente sconosciuta.
Qual era il suo punto di forza? Osservammo per giorni interi il suo comportamento e ci rendemmo conto che la curiosità era sicuramente il motore che lo spingeva verso gli altri.
Sef era interessato al contenuto degli astucci dei compagni, ai disegni che producevano, agli oggetti portati da casa, ai racconti (spesso a lui non del tutto comprensibili) degli altri bambini: tutte cose che lo coinvolgevano, perché ridere in gruppo lo faceva sentire parte di qualcosa, gli dava l’idea del coinvolgimento, perché la sua risata, il suo vociare, mischiati a quelli degli altri, faceva l’ insieme delle voci e delle risate… E lui ne faceva parte…

Insegnare a sorprendersi

Così, non senza difficoltà e per un periodo non troppo corto, le lezioni in classe si svolsero tutti seduti in cerchio, basandosi sulle discussioni, a volte anche su battute. La matematica si faceva improvvisando un mercato, l’italiano era raccontato e poi scritto su grandi fogli che con infinita pazienza le insegnanti cercavano di rendere quanto più simili al foglio dei quaderni.
La sorpresa più grande non è stata sentire la prima parola spontanea italiana di Sef , non è stato il suo cambio di atteggiamento e la sua volontà di scrivere le prime lettere. La sorpresa più grande è stata vedere che tutto questo è stato utile all’intera classe: i bambini collaboravano, si aiutavano, si confrontavano. Forse se non ci fosse stato il “nostro amico con i denti bianchissimi” (riferimento usato da uno degli alunni in una discussione che chiedeva di trovare delle caratteristiche descrittive per ognuno dei bambini presenti), avremmo anche noi docenti perso un’occasione, l’opportunità di fare scuola in modo “diverso”… Almeno per un po’…

Scuola primaria

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