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La storia di Giorgio e della sua rabbia
Alla fine Giorgio urlò ai suoi genitori che era tutta colpa loro. Che lo avevano reso debole, timido, incapace e che adesso, a causa di questo, non poteva avere amici

Giorgio (nome di fantasia), 18 anni, ha saltato la scuola per diversi giorni. I genitori lo hanno scoperto controllando il registro online, a seguito di un incontro fortuito con un suo compagno di classe. Quest’ultimo ha chiesto loro, preoccupato, se Giorgio stesse bene poiché non lo vedeva da un po’, e i genitori sono caduti dalle nuvole: fino a quel momento il figlio non aveva mai destato preoccupazioni. «È un ragazzo tranquillo e buono, lo è sempre stato» dicevano, sostenuti in questa descrizione anche dagli insegnanti, dai parenti e dagli amici di famiglia.
L'ira dei genitori e l'ira di Giorgio
Quel giorno, quando Giorgio è rientrato a casa comportandosi come se fosse andato a scuola, i genitori si sono fatti trovare in cucina, registro alla mano, e gli hanno chiesto spiegazioni. Giorgio non ne ha date, anzi, ha risposto con un flemmatico «adesso sono maggiorenne, lasciatemi fare» e si è chiuso in camera. I genitori non si sono arresi, volevano davvero capire che cosa fosse successo. Hanno provato a ottenere una risposta cercando di mostrarsi comprensivi, ma via via che non ne ricevevano si sono arrabbiati sempre di più, fino a minacciarlo di punizioni imminenti: un inedito in quella casa, nella quale la rabbia non si esprimeva mai.
Alla fine Giorgio, ormai rabbioso anche lui, ha urlato ai suoi genitori che era tutta colpa loro. Che lo avevano reso debole, timido, incapace e che adesso, a causa di questo, non poteva avere amici. Tutti lo prendevano in giro. «Giorgio il molle», lo chiamavano i suoi compagni di classe. Nessuna ragazza lo considerava. Se non fosse stato per le prese in giro che ogni tanto lo mettevano al centro dell’attenzione, di fatto poteva pure scomparire e nessuno se ne sarebbe accorto. Andare a scuola a queste condizioni non era più sostenibile per lui, ma anche avere a che fare con se stesso non era cosa semplice. Non si sopportava più ma non sapeva come fare per cambiare.
Finalmente in questa casa può circolare nuovamente anche questa emozione senza che sia solo distruttiva, e può portarci a un cambiamento
Il nostro incontro
È stato così che l’ho incontrato, dopo che lui spontaneamente aveva espresso il desiderio di provare a parlare con qualcuno che non c’entrasse niente né con la scuola né con la famiglia. Aveva visto il film Genio Ribelle e gli era piaciuto il modo di fare dello psicologo.
Davanti a me non si è presentato «Giorgio il molle», ma un Giorgio arrabbiato, determinato e risoluto che voleva a tutti i costi cambiare registro. Da subito ho pensato che l’“aggressività”, intesa nell’accezione etimologica di ad-gradi, “andare verso, tendere, agognare”, potesse essere proprio la chiave del suo futuro equilibrio. Infatti, dai suoi racconti è emerso che questa spinta interna non se l’era mai permessa: aveva sempre avuto paura della rabbia, come se potesse portarlo a un eccesso di distruzione, sia verso se stesso sia verso gli altri.
Che cosa terribile essere arrabbiati
Ricostruendo un po’ la sua storia familiare, Giorgio mi ha raccontato che – fino a quando aveva dieci anni – in casa con lui e i genitori aveva vissuto anche il nonno materno, rimasto vedovo prima della sua nascita. Il nonno aveva iniziato presto a palesare segni di demenza, e più il declino cognitivo avanzava, più si manifestavano scatti rabbiosi incontrollati, che terrorizzavano sia Giorgio sia i suoi genitori. Tuttavia, la mamma di Giorgio non voleva spostare il nonno in una casa di cura, perché si era sentita molto in colpa nei confronti della madre, morta proprio in una RSA. Di conseguenza Giorgio aveva vissuto per tutta la sua infanzia con il timore che da un momento all’altro potesse accadere qualcosa, cercando anche di camminare il più possibile in punta di piedi per non arrecare alcun motivo di irritazione. In più, aveva associato la rabbia alla demenza, vivendola quindi come un’emozione malata e dannosa. Questi erano alcuni dei motivi per cui a Giorgio la rabbia sembrava qualcosa di terribile.
Il dono della rabbia
Quando la rabbia sfocia in violenza diventa pericolosa. In questo Giorgio aveva certamente ragione. Ma in questi mesi insieme abbiamo provato a comprendere che quello è solo uno dei possibili esiti di un’emozione che può essere invece motivante, energetica e trasformativa. E che, se a lungo trattenuta, può far sentire appunto inesistenti, “molli” e incapaci di rispondere alle pressioni della vita. Di fatto, è stato il fare arrabbiare i suoi genitori che ha aperto la porta anche alla sua rabbia. Come dire, «finalmente in questa casa può circolare nuovamente anche questa emozione senza che sia solo distruttiva, e può portarci a un cambiamento».
Giorgio è tornato a scuola e sta cercando di migliorare la relazione con i suoi compagni. Intanto si è accorto che non è invisibile: la sua assenza è stata notata. Poi, ha provato a rigirare a suo vantaggio l’appellativo “Giorgio il molle”: rispondendo con una risata alla provocazione, e iniziando a fare movimenti molleggiati sulle gambe come fosse un rapper, ha fatto ridere i suoi interlocutori, che non vedendo più una reazione di chiusura stanno progressivamente diminuendo le prese in giro. Infine, in casa si sente trattato più da adulto: quello che è successo è stato il motore di un cambiamento da parte dei suoi genitori, che stanno cercando di comprendere meglio quali sono i bisogni di quel figlio che, non avendo mai dato problemi, non li aveva neanche mai spinti più di tanto a riflettere sulla loro relazione.
Insomma, arrabbiarsi è servito moltissimo. Scrive Arun Gandhi in Il dono della rabbia (2017):
«La rabbia sta alle persone come la benzina alle automobili: è il carburante che ci fa muovere per raggiungere un posto migliore».
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Gandhi A. (2017), Il dono della rabbia e altre lezioni di mio nonno Mahatma Gandhi, Giunti, Firenze.