La scuola inclusiva, un secolo fa

Angelo Patri, un grande maestro italo-americano, un educatore aperto e illuminato, un emigrato italiano che fu precursore di una scuola aperta e inclusiva

di Lorenzo Luatti30 ottobre 20195 minuti di lettura
La scuola inclusiva, un secolo fa | Giunti Scuola

"Maestro nella grande città” nordamericana, per riprendere il titolo del suo libro più celebre, direttore didattico di scuola pubblica all’età di trent’anni – fu il primo italo-americano a raggiungere questa carica –, e poi, dal 1913 al 1944, preside della Public School 45 nel quartiere più “caldo” e multiculturale di New York (il Bronx). Angelo Patri fu uno dei più amati e influenti educatori del suo tempo, forse lo scrittore di pedagogia più letto nel mondo anglosassone. Influenzato dall’attivismo pedagogico e dal movimento dell’educazione progressiva di John Dewey, stimato dai pedagogisti Maria Montessori (che visitò le sue scuole nel 1915), Adolphe Ferrière e Giuseppe Lombardo Radice, Patri promosse nuovi sistemi didattici e diede grande impulso all’insegnamento rendendolo multidisciplinare. Fu precursore, in tempi così lontani, della scuola moderna, di una scuola che si fa comunità, e di una comunità che si raccoglie intorno alla scuola. Una scuola aperta al territorio, luogo di dialogo e di incontro, bene comune e forza rigeneratrice della comunità. Una scuola che accoglie, osserva, valorizza le esperienze individuali e familiari, fa maturare le potenziali capacità e le aspirazioni di cui i bambini e i ragazzi sono portatori.

La strada, la scuola, la vita

“Ero assorto, come gli altri bambini, a seguire quanto vedevamo fare ai ragazzi più grandi […]. Usavamo un linguaggio sboccato perché loro usavano un linguaggio sboccato. Fumavamo per la medesima ragione. […] Lottavamo con i pugni serrati perché i compagni più grandi ci incoraggiavano a farlo. La strada e i ragazzi che la frequentavano erano i nostri maestri. Era la nostra palestra. I nostri genitori erano preoccupati e spaventati. Ce le davano di santa ragione quando riuscivano a prenderci. Imparammo l’inganno, ad imbrogliare, a mentire e a lottare. In tutto ciò non ci fu mai posto per la scuola. La scuola non aveva niente a che fare con la vita, e noi eravamo impegnati a vivere”.
Così egli scrive in A Schoolmaster of the Great City – il suo primo libro uscito nel 1917, un bestseller più volte ristampato e tradotto –, rammentando il tempo trascorso nelle strade del quartiere italiano, prima di accedere, undicenne, alla scuola pubblica americana. Il forte convincimento che in educazione la strada è il terzo potente fattore, spinse il maestro-direttore didattico ad attivarsi al massimo per conoscere meglio il territorio di riferimento della scuola e ricercare delle “alleanze” significative. Si recava nelle case dei genitori per trovare soluzioni condivise, trascorreva molto tempo on the road per incontrare la gente del quartiere, ne ascoltava le storie, i timori, i problemi di ogni giorno; per conoscere meglio il territorio e la comunità, andò ad abitare a breve distanza dall’edificio scolastico.

 

Osservare e accogliere, aspirazione e talenti

Patri e il suo staff cercarono di far emergere e valorizzare i saperi e gli interessi degli studenti costruendo programmi di studio centrati su questi talenti e passioni. Questo approccio si fondava su una concezione empirica dell’esistenza di una pluralità di abilità umane, in tutto analoga alla teoria delle “intelligenze multiple” di Howard Gardner. Patri incoraggiava i ragazzi ad ascoltare e sviluppare le proprie inclinazioni e le aspirazioni usando il legno, il metallo, l’argilla, la musica…, secondo l’idea fondativa dell’attivismo pedagogico che si “impara facendo”. Arricchì la scuola con aree all’aperto, laboratori, sale d’animazioni, palestre e introdusse lo studio delle scienze e del disegno e quello dell’educazione motoria e della pratica del nuoto, la pratica del teatro, la ceramica, la scultura, i lavori in legno e la meccanica, il taglio e il cucito, la cucina. 

 

Attenzione al plurilinguismo e alle storie dei bambini migranti

Consapevole che l’ambiente era multietnico e al fine di favorire la comunicazione e la reciproca comprensione, Patri introdusse l’insegnamento della lingua italiana, dello spagnolo e del francese, ben inteso in aggiunta a quella nazionale. Nel caso dei bambini migranti che nel Bronx erano la maggioranza, spronava a considerare le loro specificità identitarie, etniche, linguistiche e culturali, non come un ostacolo, ma una risorsa cognitiva. L’essere stato anche lui emigrante riscattato dalla scuola, aver insegnato in scuole multietniche e plurilingui, e prima ancora aver vissuto nel quartiere italiano di Manhattan a fianco di gente sradicata dalla terra natia, imparando a conoscerne psicologia e stati d’animo, ebbe un peso importante nella sua storia di educatore.

 

Per saperne di più

Angelo Patri (1876-1965) nacque da una famiglia di contadini e pastori cilentani di Piaggine, ed espatriò negli Stati Uniti nel dicembre 1881, all’età di cinque anni, al seguito della madre Carmela, la sorellina Maria e lo zio. La famiglia di Patri era una famiglia di emigranti: emigrante era stato il nonno che “ammalatosi” di nostalgia fece ritorno al paese, ed emigrato, dieci mesi prima del figlio Angelo, fu il padre Nicola, il cui vero cognome in realtà era Petraglia, trasformato per un errore di trascrizione negli atti di stato civile di New York.

 

 

 
 
 
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