La scuola è #partecipazione

La scuola è #uguaglianza

La scuola è #creatività

La società è cambiata, noi siamo cambiati, ma l’apprendimento non cambia. Possiamo pensare alla scuola come a un’istituzione senza tempo – capace di formare gli studenti di oggi e di domani – se abbiamo in mente un’idea fondamentale: il compito degli insegnanti non è trasmettere le proprie conoscenze ma far crescere le conoscenze nei propri studenti. E per fare questo è necessario adottare un modello di apprendimento che mette al centro l’esperienza. Apprendere e capire non sono elementi indissolubili. Che cosa vuol dire apprendere e che cosa vuol dire capire? Apprendere vuol dire incamerare l’esperienza e cambiare il proprio comportamento in funzione dell’esperienza. La ripetizione è fondamentale, tu ripeti e impari, anche se non vuoi. Ripetere serve, e non per imparare a memoria. Ripetere vuol dire ripetere l’esperienza. È così infatti che noi apprendiamo: attraverso l’esperienza e la sperimentazione concreta di situazioni diamo forma ai concetti, costruiamo significati, e finalmente capiamo. Capire è un processo endogeno, non ce lo insegna nessuno, ce lo insegna l’esperienza. Attraverso prove ed errori, attraverso esperienze ripetute si costruiscono nuove rappresentazioni e si impara. Che cosa serve per facilitare il processo dell’apprendimento? Le istruzioni servono, le gratificazioni servono, le spiegazioni non servono. Le spiegazioni sono rumore cognitivo. Quando vediamo uno che non impara e insistiamo con le spiegazioni stiamo sbagliando. Il bambino magari non dirà “basta”, dirà “ho capito”. E non è vero. Bisogna facilitare il processo di comprensione attraverso l’esperienza. La nostra scuola dà sufficiente spazio all’esperienza? La risposta è no! Perché noi dobbiamo correre. E allora proviamo a fermarci!

C’è voluto un po’ di tempo ma alla fine lo abbiamo capito tutti: dopo Covid 19 il mondo non sarebbe più stato uguale al mondo di prima e anche la scuola esce dalla pandemia diversa da come ci era entrata.Tra i tanti cambiamenti uno importante sicuramente riguarda il rapporto tra scuole e famiglie perché, paradossalmente in tempi di distanziamento, insegnanti e genitori si sono avvicinati. E’ aumentata la permeabilità tra i loro mondi ed è accaduto che si sono visti di più, più a lungo, più da vicino e meglio.Volenti o nolenti i genitori hanno partecipato e quasi toccato con mano il mondo scolastico dei figli e gli insegnanti di ogni ordine e grado e disciplina sono entrati nelle case e hanno visto fratelli, nonni&nbsp; e genitori, cucine e salotti e quando c’erano anche giardini, gatti e cani.È stato tutto tranquillo e positivo? No certamente, anche perché tanti, non dimentichiamolo, sono rimasti comunque esclusi o comunque ai margini dalle esperienze di didattica a distanza.Molti genitori dopo poche settimane hanno lamentato i compiti da seguire, sempre troppi o troppo difficili. Viceversa gli insegnati hanno spesso denunciato “invasioni di campo” e “interventi a gamba tesa” da parte di genitori che si sono intromessi e hanno detto la loro. Altri ancora, ad un tempo insegnanti e genitori, a casa per tre mesi hanno dovuto e potuto riflettere molto sul loro “doppio lavoro” ma insomma alla fine in generale non è andata male e per molti se non per tutti è stata occasione di scoperta e curiosità.Per chi ha voluto vedere infatti, alcuni “invisibili”, i genitori dei bambini con handicap certo ma anche le mamme e i padri dei tanti allievi “stranieri”, si sono materializzati dietro le spalle dei figli e da dentro gli schermi dei pc e dei tablet a volte hanno&nbsp; addirittura preso la parola. Non solo questo naturalmente perché è successo anche che tanti genitori hanno capito di più della scuola, i suoi molti limiti come le sue enormi potenzialità. Soprattutto hanno capito di più dei propri figli, le loro difficoltà e fatiche o la ricchezza del loro mondo di relazioni a scuola. Per tanti genitori di ragazzi con disabilità è stato un’occasione per capire, a volte per la prima volta e quindi con dolore, quanto grande il ritardo già accumulato.Che fare quindi ora che almeno un po’ Covid 19 sembra alle nostre spalle?Possibilmente non richiudere subito porte, finestre e schermi e continuare a guardarsi ma anche cominciare a pensare in termini nuovi e diversi (almeno per l’Italia perché in molte altre parti del mondo così non è e non è mai stato) l’indispensabile alleanza tra scuola e famiglia.Per cominciare non sarebbe male mandare definitivamente in soffitta la scuola nata democristiana nel nostro dopoguerra, la scuola che termina a ora di pranzo perché nel pomeriggio a casa ci sono le madri che non lavorano e che facendo le “faccende” fanno intanto fare loro i compiti. Cominciare davvero a pensare alle scuole come luoghi di comunità, aperti dalla mattina alla sera: per i ragazzi e per studiare preferibilmente di mattina e ancora per i ragazzi di pomeriggio, per fare i compiti ma anche per fare tanto altro, perché la scuola è anche educazione e non solo istruzione. Fino a sera quando per gli adulti, i genitori e le famiglie ancora le scuole possono diventare luoghi di incontro, di cultura e di svago intelligente.Forse una nuova alleanza scuola famiglie ha bisogno di scuole aperte 12/16 ore al giorno. Dopo Covid 19 non di meno ma di più scuola abbiamo bisogno. Chi ci impedisce almeno di provarci?

La scuola è... #famiglia