Nel tragitto da casa a scuola avviene un’importante e quotidiana metamorfosi: da figlio e appartenente a un nucleo familiare, il bambino diventa alunno, compagno di banco, parte di un gruppo. È un cambiamento minuto e denso che allena giorno dopo giorno a diventare cittadini.

La scuola è luogo di cittadinanza, riconoscimento, crescita, interazione a partire da regole comuni e dal rispetto reciproco. A scuola, i bambini assumono un ruolo nuovo, entrano in un mondo di azione e di autonomia, un contesto organizzato e separato dalla casa. I due spazi si differenziano e si integrano. La famiglia è il luogo della socializzazione primaria, particolare, privata e affettiva; la scuola è il contesto della socializzazione secondaria, universale, pubblica e razionale. Ripensiamo la scuola che fa cittadinanza a partire da tre attenzioni.

1. Una scuola che ripara le carenze e le disuguaglianze.

Nella fase della chiusura, i bambini non sono stati tutti uguali, ma tutti diversi: alcuni hanno avuto molto, altro hanno avuto molto poco o nulla. Riparare carenze vuol dire prevedere misure, dispositivi, risorse e tempo per colmare ritardi, difficoltà, solitudini. A partire dalla lingua e dai laboratori linguistici: per dare, citando Rodari, tutti gli usi della parola a tutti. Nessuno escluso.

2. Una scuola consapevole della pluralità e multiculturalità.

Una scuola che fa cittadinanza prende atto di essere abitata da bambini e ragazzi che sono ormai “nativi multiculturali”. Una normale mescolanza che non procede per inerzia, ma esige di essere accompagnata dall’educazione al rispetto, alla curiosità, al riconoscimento reciproco.

3. Una scuola “diffusa” che educa alla cura dei luoghi.

Ripensare il tempo della scuola vuol dire prevedere presenze in parte in aula e in parte in contesti extrascolastici, coinvolgendo biblioteche, teatri, giardini… integrando spazi fisici esterni e spazi virtuali. Coinvolgendo associazioni, educatori, operatori culturali, mediatori... Una scuola diffusa che riduce le distanze e articola le presenze.