Io sono Nada e vivo in Marocco

La lingua polacca

Giochi e competenza interculturale

Ripensiamo l'accoglienza

Ogni tre anni i bambini di famiglia non italofona cumulano quasi un anno in meno di immersione nella nostra lingua&nbsp;

“Ho dimenticato tante parole italiane, sono rimaste a scuola. E non mi ricordo più com’era la scuola prima”. Shantal, arrivata dalle Filippine nell’estate 2019, in questi due anni scolastici tormentati ha frequentato la scuola a singhiozzo: meno di cinque mesi il primo anno e ancora meno quest’anno. Giorni inframmezzati peraltro da assenze, quarantene, riorganizzazioni.&nbsp;Come per altri bambini non italofoni, il suo viaggio dentro l’italiano è iniziato, si è bloccato, è ripartito da capo e si è nuovamente interrotto. Un va e vieni tra passi avanti e soste obbligate che si coglie anche nella sua modalità di comunicare “spezzata”, tra parole che vogliono uscire e silenzi che non trovano parole.&nbsp;Certamente, in questo tempo complicato i bambini hanno imparato cose di enorme importanza: si sono adattati a situazioni inconsuete, hanno fatto fronte a incertezze e timori, hanno rispettato divieti e regole per proteggere sé stessi e gli altri. Cose che non stavano scritte nei programmi, ma che sono preziose e cruciali per la loro formazione e per poter vivere insieme nella situazione di emergenza sanitaria.&nbsp;

Ma per una parte dei bambini e per i ragazzi non italofoni, è stato un tempo di parole e racconti perduti o interrotti, dal momento che l’esposizione alla seconda lingua si è di fatto bloccata o ridotta nel numero dei contatti e nella quantità di input. Sono venute meno le relazioni con i pari nel tempo extrascolastico e le attività e occasioni che sollecitano lo scambio, la condivisione, l’azione. E sono venute meno anche le iniziative di aiuto allo studio e di doposcuola di associazioni e volontariato che integrano l’azione della scuola. &nbsp;Più ascolto, faccio, parlo... Più imparo&nbsp;Anche in tempi “normali” e di scuola in presenza, i bambini di famiglia non italofona hanno un tempo di esposizione alla nostra lingua più ridotto rispetto a quello dei compagni italofoni.&nbsp;Una recente ricerca, condotta nelle classi prime e seconde delle scuole primarie della Provincia di Trento fra i bambini e le famiglie di origine straniera, dall’università di Trento, l’università di Verona e l’IPRASE, ha messo in luce questo aspetto (M. Arici, P. Cordin, G. Masiero, M. Vender, S. Virdia “Che lingue conosci, ascolti, parli? Una ricerca sugli usi linguistici dei bambini plurilingui”, in: www.riviste. unimi.it n. 1 2020).&nbsp;Sono stati analizzati 1541 questionari che quantificano gli usi della lingua madre e dell’italiano nell’ambito familiare.&nbsp;Dalla ricerca emerge che, in media, in un anno, i bambini di origine non italiana sono esposti all’italiano per il 69% del loro tempo.&nbsp; Vi è inoltre una differenza di circa 20 punti fra il tempo scolastico (76% del tempo in italiano) e quello non scolastico (57% del tempo) e fra i bambini nati qui (seconda generazione) e quelli nati all’estero (prima generazione). &nbsp;<img filer_id="233486" src="/media/filer_public_thumbnails/filer_public/47/a8/47a84bf9-1871-469c-a72f-e442235b91c7/intercultura_benvenuto_maltoni.jpg__300x310_q85_subsampling-2.jpg" title="" align="" thumb_option="" original_image="false" width="300" height="310">&nbsp;L’apprendimento in relazione&nbsp;Per i bambini, l’apprendimento di una lingua avviene in relazione, nella quotidianità dei gesti e del fare insieme, nel fluire delle esperienze e dei racconti.Il tempo specifico dell’apprendimento è il “presente di incarnazione” (Daniel Pennac), un tempo nel quale la mente e il corpo, le emozioni e l’intelletto sono ricettivi e sollecitati in uno spazio condiviso e relazionale. Un tempo di presenza che si lascia alle spalle la casa e il familiare per aprirsi allo spazio collettivo e alle parole della seconda lingua. In questi mesi di scuola a singhiozzo, abbiamo toccato con mano quanto la scuola sia il contesto di contatto linguistico privilegiato, quotidiano, affettivo, motivante.Qui l’esposizione alla seconda lingua è intensa e continuativa, sia nella qualità che nella quantità. È la colonna sonora del tempo insieme, attiva e permeante per molte ore ogni giorno.A scuola, l’esposizione linguistica è certo passiva: i bambini e i ragazzi ascoltano, eseguono insieme agli altri, memorizzano, immagazzinano. Ma l’esposizione è soprattutto attiva, perché gli apprendenti interagiscono e comunicano con i compagni e con gli insegnanti, ricevono messaggi coinvolgenti e diretti a loro, hanno la possibilità di prendere la parola.&nbsp; &nbsp;

Nella scuola che riparte e che rigenera le comunità, sollecitiamo cinque azioni/attenzioni per un piano di insegnamento/ apprendimento dell’italiano L2, diffuso e di qualità che abbia cura di:&nbsp;1. La lingua per accogliere e per dire. Attenzione agli alunni neoarrivati, di recente immigrazione o inseriti a scuola negli ultimi tre anni.&nbsp;2. La lingua per imparare. Azioni per lo sviluppo e il potenziamento dell’italiano dello studio, lingua veicolare per l’apprendimento dei contenuti disciplinari.&nbsp;3. La lingua per riuscire. Attività territoriali di accompagnamento all’inserimento scolastico e di aiuto allo studio in tempo extrascolastico.&nbsp;4. La lingua per iniziare bene. Attenzioni rivolte ai bambini con cittadinanza non italiana di età compresa fra 3 e 6 anni che spesso non sono inseriti nella scuola dell’infanzia.&nbsp;5. La lingua da esplorare e insegnare. Formazione dei docenti sui temi dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2 in presenza e a distanza. A questo proposito abbiamo ora un importante documento che ci può accompagnare in questo progetto di educazione linguistica inclusiva: è il nuovo Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione. Volume complementare, Consiglio d’Europa 2020. (traduzione in italiano su: www.riviste.unimi.it). Uno strumento che ogni insegnante che si occupa di lingua dovrebbe conoscere.&nbsp;

Imparare con la mente e con il corpo

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