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Il colore della pelle e gli albi illustrati
Come fare in modo che il differente colore della pelle diventi un tratto normale della quotidianità dell’infanzia? Fra il silenzio e l’enfasi, la strada possibile è quella di fare in modo che tutti i bambini siano protagonisti delle storie e rappresentati negli albi illustrati. Di Adriana Di Rienzo.
Dove sono io?
“Dove sono io?” mi chiede Arkamal mentre leggo e mostro le immagini di un albo illustrato.
“Sei qui…”, rispondo incerta, visto che non mi è chiaro cosa vuole il bambino corrucciato e riccioluto che mi sta davanti.
“Nooo! Nel libro, dove sono?”, insiste Arkamal
“Nessuno è nel libro… siamo tutti qui”.
Lo guardo seria e continuo, ma lui non segue più. Non ci siamo capiti. Continuo la lettura e giunta quasi al termine chiedo ai bambini cosa sta succedendo nella storia. Quasi tutti intervengono, fanno ipotesi ottimistiche o catastrofiche, ma Arkamal continua il suo “sciopero d’interesse”. Propongo il finale del testo facendo del mio meglio per creare suspance ma non riesco a coinvolgerlo. La partecipazione degli altri, invece, è tale che mi fa dimenticare il suo broncio.
A tavola, in quella stessa giornata, mi siedo, devo dire casualmente, vicino a lui ed è allora che nel vederlo sorridente e allegro commento:
“ Ti è passato il nervoso?”.
“Cosa?” mi risponde.
“Prima, durante la lettura, mi eri sembrato arrabbiato… adesso va tutto bene?”.
Sorride, tranquillo.
“Ma cosa era successo?”, gli chiedo.
Arkamal mi guarda e serio mi dice:
“Nei libri, quando leggi, non c’è mai un bambino come me…”.
Finalmente comprendo:”Vuoi dire che nei libri, nelle figure, non ci sono mai bambini con la pelle scura come la tua?”.
“Sì!”, mi risponde deciso, continuando a mangiare.
“A te piacerebbe?...”.
“ Sì!”.
“Scusami, ti prometto che starò più attenta, cercherò dei libri con tanti bambini come te e come i tuoi compagni”.
Sorride e continua a mangiare Arkamal, mentre io mi chiedo perché non avevo capito prima.
Libri che mostrano le differenze quotidiane
Non è stato facile mantenere la promessa perché nei tanti albi illustrati dell’editoria italiana ho trovato pochissime storie con bambine/bambini, protagonisti o non-protagonisti, dalla pelle scura.
Sto parlando di storie adatte alla Scuola dell’Infanzia dove i protagonisti e i loro amici vivano esperienze interessanti e nello stesso tempo normali. Albi illustrati dove le bambine e i bambini di pelle “nera” non siano in condizioni di povertà, difficoltà, pericolo (vedi il bellissimo
Orizzonti
di Paola Formica edito da Carthusia).
Non sto riferendomi neanche ad albi illustrati che trattano la diversità o le differenze in genere. Sono tanti, infatti, gli albi illustrati d’autore e di qualità che parlano delle differenze e della diversità come valore, introducendo adulti e bambini, attraverso oggetti simbolici, animali, personaggi fantastici, nel mondo della differenza e sollecitando l’empatia e la riflessione per chi è diverso. Basti pensare ad autori come
Leo Lionni, Marcus Pfister, David McKee
…
Sono alla ricerca di albi illustrati che raccontino storie, capaci di far vibrare le emozioni e la fantasia, ambientate nel mondo multiculturale di oggi, quello che viviamo nelle nostre scuole, che incontriamo negli autobus, nei mercati, negli ospedali, a ristorante, nel parco giochi, in treno.
Mi sono chiesta se l’esigenza di Arkamal fosse emersa in modo più o meno simile in altri contesti, in altri luoghi e ho provato a fare qualche ricerca sul web.
Mi è sembrato interessante
questo articolo
che pubblicizza l’imprenditorialità di una mamma afro-americana, Tamara Mc Neil, che ha fatto fatica a trovare libri con protagonisti afroamericani nonostante viva ad Atlanta, in Georgia, dove gran parte della popolazione ha la pelle nera. La signora Mc Neil ritiene importante che i bambini si vedano e sentano rappresentati e per questo sostiene l’esigenza di una “biblioteca diversificata” in cui siano presenti bambini e personaggi di ogni colore e tratto somatico. L’aver verificato che negli Usa, su 3400 libri per bambini pubblicati ogni anno dalle più grandi case editrici, s
olo il 3% è scritto da un autore afroamericano e solo l’8% tratta di personaggi neri
, l’ha sollecitata a riempire quello che definisce “un buco del mercato”, diventando imprenditrice con il progetto
Just like me
!
Non posso dire se e quanto la produzione motivata da questa esigenza sia di qualità e non è questo il tema su cui vorrei ragionare. Mi interessa evidenziare che c’è un’esigenza, dei bambini e dei genitori, di ri-trovarsi, di rispecchiarsi nelle storie e nelle immagini degli albi illustrati rivolti all’infanzia.
La diversità negli albi illustrati
Interrogarsi su
come vengono rappresentate le diversità somatiche
, in particolare del colore della pelle, negli albi illustrati e su come le insegnanti affrontano questo tipo di diversità ha sollecitato la formazione di
un piccolo gruppo di ricerca
(composto da Ivana Bolognesi, docente di pedagogia interculturale presso l’Università di Bologna, Anna Pileri, docente di metodologia della ricerca presso l’Università Iusve e Adriana Di Rienzo, docente a contratto per l’insegnamento di pedagogia interculturale di Modena-ReggioEmilia), che ha avuto come obiettivo quello di capire se e come il tema del differente colore della pelle viene trattato nella
scuola dell’infanzia
.
La ricerca ha utilizzato strumenti quantitativi (questionari) e qualitativi (focus group), interessando un gruppo di scuole dell’infanzia statali, comunali, paritarie della città di Bologna e di alcuni paesi della provincia dell’Emilia Romagna: Bellaria, Casalecchio, Medicina, Carpi, San Giovanni in Persiceto. In totale i questionari compilati sono stati 103 su 130 questionari distribuiti e i focus group realizzati sono stati 7 (due sono stati effettuati in scuole dell’infanzia statali, 3 in scuole comunali, 2 in scuole paritarie).
Dalla ricerca è emerso che gli albi illustrati sono molto utilizzati nella scuola dell’infanzia. Tutte le insegnanti hanno motivato il loro impegno a sviluppare nei bambini il piacere della lettura e hanno sottolineato quanto l’albo illustrato sia diventato ormai un “oggetto mediatore” di gran parte della didattica svolta con i bambini. I libri, infatti, sono usati dalle insegnanti come stimolo per avviare un percorso, come supporto per l’approfondimento di tanti temi (vedi grafico di seguito), come occasione per affrontare piccole e grandi questioni legate alla crescita, alla socializzazione, alla quotidianità della vita.
In merito al tema della diversità le risposte delle insegnanti evidenziano un ampio panorama di interessi. Le diversità trattate (vedi grafico a seguire) vanno dal generico incontro con la diversità a temi più specifici che vedono le diversità somatiche e la diversità del colore della pelle superare la diversità di genere, di capacità, di famiglie, di punti di vista.
Due approcci per trattare la diversità
Ma come vengono affrontate queste diversità? I focus group con le insegnanti hanno permesso di individuare fondamentalmente due approcci.
Nel primo approccio, la diversità viene affrontata nell’ottica della pluralità e del valore delle differenze. Differenze di punti di vista, di vissuti, di abitudini, di gusti non escludono la scoperta di somiglianze, vicinanze e condivisioni. Viene sollecitata così la riflessione sulla propria e altrui umanità, indipendentemente dalle differenze che definiscono l’unicità di ogni donna e di ogni uomo.
Nel secondo approccio, la diversità viene affrontata focalizzandosi maggiormente sulle diversità culturali collegate quasi sempre a quelle somatiche. Viene qui orientato lo sguardo sulla valorizzazione delle culture d’origine attraverso l’uso di storie, di musiche, danze, piatti “tipici”. Un approccio che, se non pone al centro la rielaborazione della propria cultura da parte di ogni soggetto, rischia di stereotipare e folclorizzare la cultura dell’altro.
A questo proposito, infatti, alcune insegnanti hanno fatto notare come sulle
differenze
culturali
ci sia nei libri “molto poco di qualità. Ci sono alcuni testi… ma banalizzano abbastanza…non sono sufficientemente rispettosi della diversità perché propongono luoghi comuni, dei clichè che sono spesso superati”.
Al tema delle diverse culture viene spesso affiancato il tema della
diversità somatica
e a volte quello della differenza del colore della pelle. Dalla nostra ricerca, emerge che questa diversità viene affrontata soprattutto quando nel gruppo dei bambini vengono manifestati comportamenti che escludono, offendono i compagni con la pelle scura oppure quando da parte dei bambini con la pelle nera vengono espresse difficoltà ad accettare il proprio colore.
È una diversità per la quale “ci vuole una certa delicatezza” dice un’insegnante, che “presenta delle problematicità” dice un’altra. Una diversità che comporta dei rischi perché “porre proprio l’attenzione sul colore della pelle nera è come sottolineare la differenza, far rendere conto che l’altro bambino ha la pelle diversa. Si può ottenere l’effetto contrario. La pelle diversa è un dato di fatto!, lui ha la pelle nera!, e non c’è neanche da sottolineare”. Una posizione condivisa anche da altre insegnanti che sottolineano come questo tema non faccia parte dei temi che hanno scelto di trattare nel loro percorso: “Noi abbiamo il problema di dover scegliere gli argomenti e poiché ne abbiamo sempre tantissimi non c’è capitato di sceglierlo. Se sorge un problema fra i bambini affrontiamo il tema delle differenze somatiche, altrimenti no…perché c’è il rischio anche di sottolineare ulteriormente tali differenze. Magari i bambini non ci pensano e noi andiamo a evidenziarlo”.
In altri casi, invece, il tema del colore della pelle viene trattato in quanto si lavora sul corpo, “abbiamo iniziato proprio con il colore delle pelle, degli occhi, dei capelli, con la differenza dell’altezza..”, oppure sulla diversità: “la differenza di colore di Elmer rispetto agli altri elefanti essendo multicolore per loro è stata una cosa che lì ha appassionati anche insomma, per vedere quella che è una differenza, una diversità positiva”.
Parlare ai bambini del colore della pelle
Tutte posizioni che hanno una loro ragionevolezza, ma che possono anche essere sintomo di una certa difficoltà dovuta all’ambivalenza del tema. Da un lato infatti, si ritiene che il colore della pelle possa essere affrontato come tutte le altre differenze (occhi, capelli, altezza..). Dall’altro si avverte che non è possibile considerare questa diversità come tutte le altre in quanto nell’evidenziarla agli occhi dei bambini, “che magari nemmeno la notano”, si sente la responsabilità di essere proprio noi a sottolineare questa differenza che, consapevolmente o inconsapevolmente, si percepisce come più differenza delle altre.
E infatti
la categoria “neri” crea immediatamente la categoria “bianchi”
e la suddivisione BIANCHI – NERI richiama a sua volta i significati che tale polarizzazione ha assunto nel corso della storia.
Gli studi che hanno analizzato la formazione di questa specifica categorizzazione sulla base del colore della pelle si riferiscono a un processo culturale e sociale che non è neutro né tantomeno neutrale, fin da quando Linneo ha compiuto la sua classificazione del genere umano in razze associate a precisi comportamenti e valori (bianca, rossa, gialla e nera) in cui quella nera era quella più inferiore e più vicina all’animalità. Storicamente ne sono derivate immagini che collegano l’uomo bianco a uno status di superiorità (intelligente, bello, ecc.) mentre l’uomo nero associato a forme arcaiche e tribali, collegate a forme di sfruttamento, schiavismo. (vedi L.L. Cavalli Sforza, D. Padoan, Razzismo e noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro, Einuadi, Torino, 2013; I. Bolognesi, A. Di Rienzo, Io non sono proprio straniero. Dalle parole dei bambini alla progettualità interculturale, FrancoAngeli, Milano, 2007.)
Non possiamo parlare perciò di un processo naturale e neutro che distingue le persone in base alle differenze somatiche, ma di un processo culturale e sociale, che è determinato dal potere e dal voler decidere che il colore della pelle, indipendentemente da altre caratteristiche, colloca i soggetti in un preciso status. Lo status di NERO è caratterizzato da immagini di schiavismo, inferiorizzazione, razzismo. Lo status di “bianco” è contraddistinto da immagini di superiorità.
E allora quale approccio adottare quando si raccolgono gli interrogativi dei bambini sul colore della pelle? Quale percorso intraprendere quando si sceglie di lavorare tra le altre diversità anche sulla diversità del colore della pelle? Quali strategie incentivare quando si percepisce che il colore della pelle diventa un “problema” nelle relazioni tra pari?
Come ben si sa non esistono delle ricette, ma si può provare ad individuare dei punti di riflessione.
In primo luogo, ci si potrebbe avvicinare al tema con la consapevolezza che la diversità della pelle è una diversità più complessa delle altre, in quanto le rappresentazioni a cui rimanda fanno riferimento, oggi come ieri, a significati svalorizzanti e discriminanti, potenzialmente razzisti.
Questa consapevolezza potrebbe aiutarci ad avere una maggiore attenzione sia al linguaggio che si usa (ad esempio, parole come negro, extracomunitario, razza potrebbero essere eliminate) sia alle relazioni tra bambini e tra genitori. Mediare le relazioni tra bambini e tra genitori nell’ottica della valorizzazione di ogni bambino e ogni famiglia non è semplice, in quanto richiede l’ascolto del punto di vista dell’altro, la comprensione di altre interpretazioni e rappresentazioni, l’elaborazione di un progetto d’incontro in cui anche le differenze possano trovare spazio. E’ però necessario assumersi questa responsabilità e condividerla con il team di lavoro e anche con quei genitori più sensibili alla collaborazione, in quanto l’apertura di alcuni alla relazione, al coinvolgimento, all’amicizia, alla solidarietà può favorire processi di modelling di comportamenti sociali.
Oggetti, giochi, immagini e libri
Si potrebbe, poi, curare i materiali e le immagini che arredano le nostre sezioni, cercando di rispecchiare la pluralità che ci circonda. Bambolotti di ogni colore e dai tratti somatici diversi, come immagini di bambini non edulcorate ma reali potrebbe essere l’inizio di una riflessione in merito.
E soprattutto, per tornare al nostro punto di partenza, arricchire, se già ci sono, o creare, se non presenti, “biblioteche diversificate” che consentano sia alle lingue sia ai popoli di essere dignitosamente rappresentati.
Gli albi illustrati maggiormente scelti dalle insegnanti per parlare di diversità sono stati i seguenti: Piccolo blu e piccolo giallo, Elmer l’elefante variopinto, Federico, Pik Badaluk, Pezzettino, Piccola macchia.
Albi illustrati di qualità
(domina l’autore
Leo Lionni
) nei quali la diversità emerge in modo potente ed emozionale ed è rappresentata da personaggi evocativi: colori, animali, macchie, pezzettini, tranne per la storia di un “piccolo moro che si chiamava Pik Badaluk”.
“Pik BadaluK”, “Kirikù e la strega Karabà”
,
Ada Mati
sono i tre testi indicati dalle insegnanti come albi illustrati che hanno come protagonisti bambini dalla pelle nera.
I primi due testi rappresentano il bambino africano, protagonista della storia, in modo molto stereotipato.
Nel primo, pubblicato per la prima volta nel 1922 in Germania, vi è un’Africa definita da vari critici di “fantasia”, un’Africa non reale, mescolata a riferimenti coloniali, dove Pik, magrissimo, con grandi labbra sporgenti e grandi occhi aperti, corrisponde perfettamente allo stereotipo del bambino africano: “affamato”, scalzo, vestito solo da un pantaloncino. Nel secondo testo, l’Africa assume caratteri soprattutto esotici e magici e il bambino ha sembianze di piccolo eroe. Nel terzo testo, invece, la protagonista è una bambina con la mamma senegalese e il papà italiano che vive nella sua quotidianità esperienze legate ad entrambe le culture. Il richiamo al Paese di origine della mamma è costante ed è occasione di conoscenza per il suo amico Leo.
Non ho alcuna intenzione di “censurare” gli albi con immagini esotiche e stereotipate, ma vorrei suggerire di curare nelle biblioteche della sezione e della scuola la diversità delle rappresentazioni. Penso alla
collana francese di albi per bambini curata da Docteur Catherine
che presenta, in varie situazioni di vita quotidiana, bambini e genitori dai tratti somatici differenti. Penso al testo in inglese, I. Smalls,
Kevin and his dad
, e anche ad
“Ora non più”
che racconta la crescita di quattro bimbi (due dalla pelle chiara e due dalla pelle scura) amici, oppure al nuovissimo e simpaticissimo
“Ada la scienziata”
che finalmente ha come protagonista una bambina dalla pelle nera.
Francesca Lazzarato già nel 1995 affermava (vedi I mondi narrati, in Il fluato e il tamburo, Mondadori, Milano, 1995) che è possibile educare al rispetto, non solo con storie di valori, di ingiustizia, di lotta al razzismo, ma anche con la rappresentazione di
una quotidianità multiculturale non minacciosa
, dove i “diversi” si incontrano, fanno amicizia, discutono, litigano, convivono frequentando ristoranti dalle cucine etniche, seguendo la moda, la musica, il cinema di questo o quel Paese.