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Qualche tempo fa, riordinando la biblioteca di una scuola, ho scovato un vecchio libro I bambini che non erano bambini. Appartiene alla collana “I libri dei diritti del bambini” pubblicati in Italia da Mondadori. A prima vista mi è sembrato decisamente obsoleto. Ovviamente è molto diverso dagli albi illustrati a cui siamo abituati. Eppure ha catturato subito la mia attenzione.La storia (probabilmente destinata ai bambini della scuola primaria) viene descritta con un linguaggio sobrio e non ammiccante, le immagini, seppure nello stile tipico di quel periodo, sono più attuali di quello che sembrano, per esempio nel tentativo di rappresentare una società pluralista nella quale ci sono persone provenienti da altri continenti o semplicemente portatrici di culture e abitudini differenti.Ho tentennato a lungo prima di leggerlo ai bambini temendo che fosse troppo distante dal loro mondo, scoprendo invece che piace ancora e che la ricchezza del suo racconto suggerisce diverse considerazioni. I bambini della storia sono bravissimi e perfetti nel comportamento. Ma sono apparentemente incapaci di ridere e divertirsi. Ciò preoccupa gli adulti della comunità che decidono di ingaggiare un sensazionale personaggio (mago, pagliaccio, equilibrista) che riuscirà a insegnare ai bambini a ridere, ma non a trovare un equilibrio. Per lo meno fino a quando non saranno gli stessi adulti a cambiare atteggiamento.&nbsp;Parlare di libertà con i bambini&nbsp;L’attenzione dei bambini si sofferma su una frase del racconto: “I bambini furono capiti e lasciati liberi”.&nbsp;Ins.: di cosa parla il libro?“Parla della libertà dei bambini”.Ins.: “E cosa fanno i bambini quando sono liberi?”&nbsp;“Vogliono fare le cose che gli piacciono e che gli pare”.“Se sono liberi possono giocare e fare baccano”.“Sono spensierati”.&nbsp;Ins.: e perché i bambini quando sono liberi fanno baccano?“Fanno rumore quando si divertono”.“E la maestra li sgrida!Ins.: e gli adulti sono liberi?“Fanno quello che vogliono”.“Non sono liberi, sono preoccupati o devono lavorare”.&nbsp;“Non hanno quasi il tempo di guardare i loro figli”.Ins.: e invece perché i bambini quando sono liberi giocano?“Ma sei tu che ce lo dici sempre”.Ins.: che cosa?“Di giocare!”.Essere liberi di annoiarsi qualche volta…Mi colpiscono quest’ultime parole, per l’evidenza della loro sincerità e l’immediatezza della verità che riportano. Quasi come se il dover fare qualcosa di piacevole, giocare o disegnare, sia esso stesso avvertito come una coercizione.Magari il bambino ha un momento di nostalgia e vorrebbe crogiolarsi nella tristezza, oppure è curioso e vuole sapere cosa farà la maestra e allora indugia. O semplicemente ha bisogno di annoiarsi per far nascere un’idea. Eppure dopo l’appello o dopo un’attività io dico sempre loro in tono perentorio “Andate a giocare”. Ė indispensabile ascoltare le parole dei bambini e assumerne il punto di vista per conoscere qualcosa in più del loro mistero, di come sono fatti, di come vedono la realtà, e di come percepiscono noi adulti.Ecco un’altra&nbsp;lezione importante per me. E per tutti noi. &nbsp; &nbsp;

“I bambini liberi fanno rumore”: parlare di libertà in classe

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