Contenuto riservato agli abbonati io+

Educazione al rispetto contro l’utilizzo delle parole di odio: ne parliamo con Giuseppe Giulietti

Il presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana: "Talvolta basta un comizio televisivo per distruggere un anno di lavoro degli insegnanti più seri. C'è bisogno di un'alleanza tra buon giornalismo e mondo della scuola"

di Daniele Dei18 luglio 20193 minuti di lettura
Educazione al rispetto contro l’utilizzo delle parole di odio: ne parliamo con Giuseppe Giulietti | Giunti Scuola
Educazione al rispetto contro l’utilizzo delle parole di odio, fin da giovanissimi: a sottolineare il ruolo e il valore che hanno gli insegnanti nel fare questo è Giuseppe Giulietti, giornalista, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana e già al timone dell’associazione Articolo 21. Lo abbiamo intervistato nell’occasione degli Emergency Days di Ferrara in cui Giulietti, assieme a Federico Faloppa, era tra gli ospiti di un dibattito incentrato sul fenomeno dell’hate speech.
 

 

Come può la scuola intervenire per contrastare l’uso delle parole di odio?

Dietro ogni parola c’è un essere umano. Il grande lavoro che deve fare la scuola è far capire ai ragazzi che se utilizzi la parola per “ammazzare” il tuo compagno, qualcun altro potrà farlo per annientare le tue diversità. Bisogna fa comprendere che non è solo cosa bella far rispettare le parole, ma cosa utile: quando cominci a colpire gli altri prima o poi troverai qualcuno che colpirà te. Ci sono già insegnanti che abituano al rispetto della parola: non è un proiettile né un coltello, può essere usata per costruire ponti, citando Papa Francesco, per favorire curiosità e conoscenza, per abbattere le differenze e le diversità. Bisogna premiare i buoni insegnanti e sono in molti che insegnano come la parola sia qualcosa di sacro, fonda la democrazia, non si può sprecare o violentare.

 

La tv di oggi la considera cattiva maestra?

Talvolta basta un comizio televisivo per distruggere un anno di lavoro degli insegnanti più seri. Forse bisognerebbe che anche le classi dirigenti imparassero a utilizzare le parole. Molte ragazze e molti ragazzi le sanno usare, ma molti dirigenti no e utilizzano i vocaboli dell’odio per prendere voti, senza interessarsi se, in questo modo, distruggono una comunità.

 

Un buon uso delle parole va di pari passo con il tema dell’intercultura. È così?

Le parole servono per conoscere e per farlo si devono scavalcare i muri. Al di là troverai quelli che sono diversi da te per cultura, religione, lingua e abitudini. La parola ti deve servire per capire: se capisci, si abbassa la paura, se conosci il diverso da te riesci a parlarci, invece se utilizzi le parole per innalzare dei muri non conoscerai mai cosa c’è oltre il tuo giardino. Facendo così ci si espone a una società che prima o poi entrerà in guerra, perché ogni diversità si difenderà in modo armato, bisogna dunque far capire che la parola utilizzata in modo inclusivo è più importante di tante pistole e tanti proiettili per garantire la nostra sicurezza e il nostro futuro

 

Come introdurre i bambini a un buon giornalismo?

Creando un’alleanza tra quella parte del giornalismo che è interessata a utilizzare le parole come ponti e non come pietre e il mondo della scuola. Oggi questi mondi sono spesso separati. Per insegnare l’uso corretto delle parole bisognerebbe partire a lavorare insieme già a partire dai tre anni di età. Anche i giornalisti dovrebbero riflettere però attentamente perché talvolta, per un follower in più o un punto di ascolto in più, si preferisce invitare in tv incompetenti che urlano e bestemmiano rispetto a persone competenti le quali sanno di cosa parlano. Sarebbe bello che nei salotti tv sparissero bestemmiatori e urlatori quasi sempre semianalfabeti.

Dove trovi questo contenuto