Star bene a scuola: l'empatia dell'insegnante

Come funziona il cervello emotivo dei bambini?

Che cosa comunica il nostro sguardo? - “Pillole” per star bene a scuola

La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

Certamente non possiamo immaginare di vivere nella completa autocoscienza di ciascun istante, non è questo l’obiettivo del lavoro educativo. Si tratta piuttosto di trovare un equilibrio che ci permetta di tessere relazioni nutrienti, in grado di comunicare ai bambini e alle bambine che vogliamo il loro bene, che li accogliamo in modo incondizionato e che possono contare su di noi, a prescindere dalle loro “performance” e dai loro comportamenti più o meno “adeguati” (che poi, “adeguati” rispetto a quale standard?).Citando ancora Luigina Mortari: “Platone diceva che il senso dell’educazione è guidare alla sapienza del vivere e la sapienza del vivere sta nel coltivare le virtù dell’esserci”.Coltivare le virtù dell’esserci: compito alto a cui siamo chiamati, giorno dopo giorno, istante dopo istante, nel nostro lavoro educativo, depositando oro nel cuore di coloro che abbiamo l’onore e l’onere di accompagnare, con “respon-abilità” lungo la strada della vita.

“Non si può non comunicare”: il primo assioma della pragmatica della comunicazione umana mette in evidenza come sia di fatto impossibile, per ciascuno di noi, evitare di esprimersi in qualsiasi momento. Anche l’immobilità e/o il silenzio sono comunicazione.Per esempio, se durante un circle time del mattino tutti i bambini intervengono e sono partecipi tranne uno, per noi quel bambino sta dicendo qualcosa, ci è chiaro che il suo comportamento ha un significato, sebbene lui non stia parlando.

TESSERE RELAZIONI NUTRIENTI

Si tratta di coltivare una dimensione dell’essere e della relazione che ricerca la connessione, “l’essere-con”, più che la prestazione, trasmettendo così il valore dell’esserci, sopra ogni cosa

A volte, nella frenesia della quotidianità, attraversiamo in modo quasi automatico i micro-episodi che punteggiano le nostre giornate, senza dare abbastanza valore alla qualità degli scambi comunicativi (verbali e non), talvolta così concentrati sul fare da riservare una minore attenzione all’essere, che quel fare va a vivificare.“La nostra comunicazione non è neutra: ogni volta che comunichiamo, produciamo più compassione, amore e armonia o più sofferenza e violenza. La nostra comunicazione è ciò che inviamo al mondo, ed è anche ciò che rimane dopo che l’abbiamo lasciato” afferma Thich Nhat Hanh. E noi, quando comunichiamo con i bambini e le bambine (ma non solo), produciamo più armonia o più dissonanza? Ecco un’altra potente domanda guida.

CURARE LO SCAMBIO INTERSOGGETTIVO

Ciascun educatore e insegnante a mio avviso dovrebbe essere consapevole di questo livello ampio e profondo dello scambio intersoggettivo rispetto ai bambini e le bambine di cui si occupa (sebbene ovviamente il discorso sia trasversale a tutti gli ambiti e a tutte le relazioni), poiché la qualità della comunicazione è fondante per la costruzione di relazioni sicure tra adulti e bambini ed è uno dei principali obiettivi per i professionisti dell’educazione.Come tradurre questo obiettivo nella quotidianità?Se assumiamo la comunicazione umana come omnipervasiva e multilivello, diventa basilare muoversi nella relazione educativa con la consapevolezza di come i propri sguardi, gesti, posture, mimiche, azioni, parole, siano messaggi che, più o meno intenzionalmente, trasmettiamo ai bambini. Loro, a loro volta, ci osservano con profondità, non solo nel nostro agire, ma anche nel nostro essere, alla ricerca di segnali di sicurezza, di benevolenza, di riconoscimento, valore e considerazione.

La comunicazione non è solo linguaggio verbale, ma ingloba un più ampio set di messaggi, tra cui il linguaggio para-verbale, non verbale e i comportamenti

DARE VALORE A OGNI SCAMBIO

PENSARE A OGNI GESTO

“La relazione educativa mi deve far sentire nel mio valore ontologico cioè che io conto, ho un valore nella vita e sono degno di essere tenuto nello sguardo dell’altro e sono degno della massima considerazione possibile. Questo è l’atto massimo a cui è chiamato l’educatore. Se io sento di ‘contare’, deposito dentro di me una colata di oro puro che tornerà utile nella vita; quando non ci sarà nessuno a dirmelo, allora io potrò attingere a quell’oro puro che l’educatore ha depositato dentro di me” (Luigina Mortari).Forse la metafora della prof.ssa Mortari può diventare una domanda guida mentre lavoriamo: “Ora, in questo momento, nella relazione con Giovanni, con Lucia, sto depositando oro puro in lui, in lei, o no? E se no, come posso modificare la mia comunicazione per agire?”.

TRASMETTERE CONSIDERAZIONE

Quando prendiamo per mano un bambino, qual è la qualità del nostro gesto? Possiamo osservare il nostro tono corporeo: la velocità del gesto, il punto preciso dove il nostro corpo tocca il corpo del bambino e come, le parole che affiancano il gesto, il nostro tono e volume della voce, la prosodia.Sono tutti elementi costitutivi di un’unità comunicativa che evidenzia sia il nostro stato emotivo, che la considerazione che abbiamo di quel bambino in quel momento.Un gesto brusco, veloce, tonico, prendendo magari il polso del bambino invece che la mano, che cosa comunica a chi lo riceve? Se qualcuno riservasse a noi quel gesto, con quella qualità, come ci sentiremmo? Che idea ci faremmo di noi stessi e di cosa l’altro pensa di noi?E, viceversa, se il gesto invece fosse lento, delicato, attento, con una presa morbida della mano del bambino e una voce gentile che messaggio passerebbe? Se fossimo noi a ricevere quel gesto, come ci sentiremmo?

Donare fiducia e sicurezza

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