Prevenire e riconoscere bullismo e cyberbullismo
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Il cyberbullismo non è una semplice “evoluzione” di quello tradizionale, ma una forma di violenza specifica con caratteristiche diverse.
Molte ricerche sul bullismo mettono in evidenza che l’età più a rischio è quella tra gli 11 e 13 anni e che le femmine sono le vittime preferite. Sottolineano che il teatro privilegiato dei soprusi fisici restano ancora la scuola e i suoi immediati dintorni.
Oggi, però, la vita dei minori scorre parallelamente anche in rete e le competenze digitali sono sempre più precoci: così aggressività e minacce, derisioni e calunnie si sono spostate sul web, dove ci sono meno sponde educative e adulti competenti in grado di cogliere la valenza offensiva delle azioni prevaricatrici.
I comportamenti bulli, allora, aumentano e attraversano il tempo (notturno) e lo spazio (fisico) e finiscono per interessare soggetti anche più piccoli dell’età indicata dalle ricerche. Dal momento che oggi lo smartphone viene regalato dai genitori quando i figli hanno mediamente tra i 7 e gli 8 anni, con lo scopo di tenere i contatti e comunicare con la famiglia, questo strumento viene soprattutto utilizzato per giocare.
A esaminare i sondaggi più accreditati, 9 minori su 10 navigano in rete e, prima del lockdown della primavera del 2020, circa il 20% tra essi trascorreva online almeno 3 ore al giorno con i videogiochi.
Dal bullismo tradizionale al cyberbullismo
In seguito all’aumento di contatti virtuali e alla frequenza delle connessioni alla rete, si sviluppano nuove modalità comportamentali e pericoli. Al bullismo tradizionale si affianca il cyberbullismo, con il quale di solito vi è una sorta di continuità, nel senso che si passa da quello fisico e reale a quello virtuale. Tuttavia, anche quando le esperienze possono sembrare similari sul piano psicologico, le prepotenze virtuali hanno ripercussioni di maggiore rilievo sulla salute mentale delle vittime. Questo consente di affermare che il cyberbullismo, considerato una semplice “evoluzione” di quello tradizionale, è invece una forma di violenza specifica con caratteristiche diverse.
Il bullismo non è un gioco
Il bullismo tradizionale, che secondo la definizione ufficiale «è azione violenta intenzionale e determinata, che ha come obiettivo quello di produrre sofferenza ed esercitare potere sulla vittima per un tempo lungo» (Olweus, 1996), rappresenta una pratica ancora molto presente tra i minori. Ma la forma virtuale di questo comportamento, definita nel 2007 come «uso di informazioni e comunicazioni tecnologiche a sostegno di un comportamento intenzionalmente ripetitivo e ostile di un individuo» (Belsey, 2007), sta crescendo tra i minori e, visto l’uso consistente dei videogiochi online, fa sì che questa prevalente attività porti ad associare il gioco a ogni azione che si compie in rete.
Il divertimento, dichiarato con elevata frequenza da bambini e preadolescenti, sembra essere adesso la motivazione di ogni forma di bullismo con cui si giustificano azioni vessatorie e offensive, riducendo al minimo la percezione del danno possibile. Per gioco, allora, si ridicolizza un compagno o una compagna di classe fuori peso, si prende in giro lo “sfigato” di turno o si perseguita il “secchione” della classe. Secondo aggressori e vittime, il divertimento è comune e sembra non ferire nessuno. D’altra parte i dati mostrano che a fronte di un 58% di minori che dichiara di aver subito atti di bullismo, c’è un 67% delle vittime che fa finta di nulla e un 33% che non chiede aiuto.
Il bullismo ha un inizio sempre più precoce e talora viene considerato una semplice “bravata”
Ma la situazione è ben lontana dall’essere considerata inoffensiva e innocente. Più ancora, non va sottovalutata la pericolosità dei comportamenti bulli sui social e nelle chat dove spopolano denigrazioni offensive e minacce da cui è quasi impossibile difendersi e trovare riparo. Il fatto che circa il 9% delle vittime di bullismo virtuale sviluppi comportamenti autolesivi e arrivi a pensare o tentare il suicidio è indicativo della particolare gravità del fenomeno, peraltro sottostimato.
Il disimpegno morale dei bulli
Di bulli ce ne sono tanti. Troppi, sicuramente, ma soprattutto piccoli. Ciò significa che questo comportamento prevaricatore ha inizio sempre prima anche grazie al web e passa inosservato o viene tacitamente approvato dagli adulti permissivi, che leggono come semplici “bravate” le precoci azioni di prepotenza intenzionale.
Del resto, sembra essere diffusa l’idea che nell’attuale società individualista e competitiva non abbia una valenza eccessivamente negativa quel cercare di affermarsi e raggiungere la popolarità mostrando sui social le proprie abilità con azioni e gesti prevaricatori anche a scapito degli altri.
I bulli dominanti allora si moltiplicano. Oggi escono dall’anonimato e “firmano” le proprie imprese vantando sicurezza e determinazione, perché questo ripaga in visibilità. Di certo hanno una buona dose di autostima e di presunzione, che alimenta atteggiamenti più di sfida che di confronto. Ma la spregiudicatezza delle loro determinazioni è, quasi sempre, espressione del bisogno di acquisire quel ruolo di leader che garantisce potere.
Questa tipologia di bulli, che di solito ha un rapporto precoce e intenso con la rete, per una particolare centratura egocentrica fatica a mettersi nei panni degli altri ed è fortemente incapace di trasporto empatico. Così il bullo dei nostri tempi difficilmente riesce a rispettare i bisogni altrui e tantomeno sa cogliere la sofferenza delle vittime. Meno ancora avverte la colpa per le offese arrecate. Di conseguenza è in aumento il disimpegno morale che porta a dissociare le azioni offensive dalle conseguenze e dalle personali responsabilità.
Chiamiamo dislocazione delle responsabilità il meccanismo che consente di trovare nei comportamenti delle vittime stesse le ragioni delle azioni offensive intenzionali la cui sintesi sta nelle diffuse affermazioni del tipo «In fondo la vittima se l’è andata a cercare».
Bulli e Cyberbulli non si nasce
ma si diventa
Nessuno nasce violento ma tutti possono diventare bulli. Per gioco e per scherzo, per divertirsi e far divertire, ma ancor di più per diventare popolari e occupare un posto sul palcoscenico globale che con i social è alla portata di tutti. È ormai noto come la tecnologia digitale favorisca l’attivazione del circuito del piacere, in cui l’approvazione, rappresentata in rete dal numero dei like ricevuti, funzioni come ricompensa e riconoscimento valoriale del proprio agire.
Alcuni studi hanno evidenziato quanto le reazioni positive dei follower sui social producano forti sensazioni di soddisfazione e di benessere e che le conferme positive da parte dei propri sostenitori incentiva il soggetto a ripetere e riprodurre le stesse azioni.Oltre a questo, si è compreso che sul web la valenza offensiva delle azioni si attenua enormemente, in quanto lo strumento con cui si compiono, l’onnipresente “telefonino”, distanzia in misura consistente il bullo dalle reazioni dell’altro. La lontananza fisica con la vittima fa prevalere la sensazione che le azioni non siano reali, fisicamente non feriscano e pertanto non facciano star male. A rinforzare questa idea concorre il fatto che colui che è preso di mira sta al gioco e mostra di divertirsi; in genere lo fa per non incrementare la violenza.
Si diventa bulli per gioco, per divertirsi, ma soprattutto per diventare popolari
Ma più ancora è diffusa l’idea che in rete ci si possa permettere di tutto perché è labile il confine tra ciò che è possibile e quello che non lo è. Online, inoltre, la distanza educativa dell’adulto sottolinea in misura meno marcata il limite tra le azioni ammesse e quelle inaccettabili.
Infine la peculiarità del cyberbullismo sta nel fatto che non vi sono ruoli fissi come nel bullismo tradizionale, dove chi era bullo restava bullo e la vittima rimaneva tale a vita. Nel bullismo virtuale è facile che i bulli diventino a loro volta vittime perseguitate.
Ritratto del cyberbullo
Allo specchio, il bullo che online minaccia, offende o perseguita, vede la sua immagine enorme, potente, dotata di forza e di sicurezza. Non lo è, ma così appare. Sovente è tale per compensazione, perché al di fuori del territorio virtuale di solito è debole, fragile, vittima a sua volta di altre aggressioni. Agnello braccato da altri lupi cattivi. Così nel web si trasforma in “angelo vendicatore” o almeno assume questo ruolo per esercitare un potere che nella realtà non possiede. Si vendica di chi gli ha fatto subire torti, o li ha inflitti a qualcuno che gli è caro. Il mezzo, ovvero quel piccolo e potentissimo aggeggio che sta nel palmo di una mano, lo trasforma, gli fa cambiare sembianze, lo fa sentire invincibile e in grado di fare qualsiasi cosa senza esporsi troppo, senza doversi coprire il volto o mascherare.
Rassicurato dalla convinzione, peraltro errata, dell’anonimato, il cyberbullo colpisce duro o ferisce a morte, soprattutto se si allea con altri bulli e ne condivide il piacere della persecuzione. Assume questo ruolo perché sa che attorno a lui, a osservare le sue imprese, ci sono ammiratori, sostenitori e complici che vedono e non parlano. Questo lo fa sentire “potente” e invincibile. In genere non ha un motivo specifico per offendere, se non il bisogno di “narrare” le sue imprese ed essere ammirato.
Non gli serve la forza fisica e neppure una particolare energia corporea. Ha la consapevolezza che può raggiungere la sua preda in ogni luogo e in qualsiasi momento perché non deve faticare a inseguirla e braccarla di nascosto, come nel bullismo reale. Sa che può colpirla quando ne ha voglia, senza spostarsi, rimanendo tranquillo davanti a un display che, come una finestra aperta, gli dice dove si trova chi vuole colpire. Da quella postazione controlla e lancia le sue frecce avvelenate. Sa che il suo bersaglio è sempre nel mirino perché ha un telefonino acceso 24 ore su 24. Ma soprattutto quel che conta è sapere di avere un’infinità di spettatori che lo ammirano e gli danno l’attenzione che ha sempre cercato.
E adesso anche le bulle
Se pensiamo al bullismo, pensiamo ai maschi. Come se la prevaricazione fosse unicamente maschile. Sicuramente è vero, perché il bullismo tradizionale è appannaggio del genere maschile.
Tuttavia oggi le femmine mostrano di essere capaci di prepotenze, offese e aggressioni violente, per lo più verbali ma a volte anche fisiche. Un fenomeno nuovo, ancora da studiare a fondo perché molto sotterraneo, in quanto lo stereotipo culturale vuole che le femmine siano considerate più dolci, delicate e meno aggressive dei maschi.
Con l’emergere del cyberbullismo, però, sono potute venire fuori le caratteristiche specifiche dei comportamenti provocatori che oggi definiamo come bullismo “indiretto” e “relazionale”. Secondo gli studi, un buon 10% dei casi segnalati è dato da attività persecutorie sviluppate da ragazze su ragazze. Ma il dato è sicuramente sottostimato, perché emerge solo quando la gravità degli atti produce danni gravi alle vittime.
Anche le femmine sono capaci di prepotenze psicologiche e, talora, fisiche
Tuttavia le bulle si distinguono per l’abilità che mostrano nel ferire con una violenza più psicologica che fisica. Sanno come colpire a fondo la dignità della compagna presa di mira. Usano il pettegolezzo e la diffusione di notizie false e calunniose. Così facendo possono distruggere l’autostima e aumentare lo stato di passività della vittima prescelta, che finisce per sentirsi sbagliata, esclusa, emarginata e isolata. Da qui il silenzio assoluto e il rifiuto di questa a farsi aiutare da qualcuno.
Determinate, spietate e generalmente “corazzate”, le bulle sono anch’esse prive di empatia. Si accaniscono senza provare ripensamento e colpa sulle compagne fragili e insicure e su quelle che hanno qualche problema fisico. Ma se la prendono anche con le “amiche” ritenute belle o che riescono bene a scuola.
Alla base di tutto, spesso, ci sono sentimenti di competizione e di gelosia, ma anche esperienze di soprusi e di abusi vissuti in famiglia, dove magari hanno subìto la prepotenza di un fratello o di una sorella a cui nessuno degli adulti ha saputo dare contenimento.
Un possibile intervento di prevenzione a scuola
Da diversi anni nella provincia di Bolzano e a cura del Centro Il germoglio è attivo un progetto di prevenzione denominato Internet sicuro, che mira a potenziare la conoscenza di Internet e delle sue pericolosità, tra cui quella del bullismo virtuale.
Si tratta di un intervento articolato rivolto soprattutto alla scuola primaria (classi 3a, 4a e 5a), che punta a potenziare nei minori un’adeguata percezione del rischio che si corre in rete, sviluppare buone prassi da utilizzare in Internet e promuovere lo sviluppo di competenze di auto-protezione. Prevede per gli scolari due livelli di attività, che si sviluppano nel gruppo classe con incontri informativi sul funzionamento delle relazioni in rete e sui possibili rischi. Al secondo livello vengono invece proposti laboratori esperienziali per il potenziamento dell’empatia.
Il progetto coinvolge inoltre, nello stesso periodo, genitori e insegnanti con l’obiettivo di attrezzare gli adulti di riferimento alla conoscenza della rete e dei comportamenti a rischio, tra cui quello del bullismo virtuale.
Alcune delle strategie di prevenzione del cyberbullismo da adottare in classe e per riconoscimento dei comportamenti a rischio si possono trovare nella scheda Strumenti e percorsi a conclusione dell’articolo.
Catfishing
È un nuovo gioco che pare divertire molto, nel quale il cyberbullo di turno si finge altro da quello che è. Egli cerca di sedurre con l’inganno, online, una ragazza mettendo un falso profilo e foto rubate. Che lo faccia per noia o divertimento, dietro c’è la paura di non essere accettati e di non piacere.
Cyberstalking
È un’attività persecutoria volta a infliggere paura e perseguitare una persona con messaggi e comunicazioni terrorizzanti, minacciose e offensive. Solitamente queste sono perpetrate per lungo tempo con diabolica perseveranza e generano angoscia e prostrazione.
Cyberbashing
È l’azione di riprendere con il telefonino un’aggressione reale e poi pubblicarla online. Risponde allo stesso bisogno che porta a esibire come trofei comportamenti di violenza per diventare popolari.
Exclusion
È un’attività che tende a ferire e colpire la vittima designata, bambino o adolescente che sia. In questa età una delle sofferenze maggiori è quella di non poter partecipare alle attività del gruppo: sentirsi o essere effettivamente esclusi dal gioco o dalla condivisione di interessi e amicizie è la punizione più pesante.
Flaming
La parola significa alla lettera “infiammare” sui social le conversazioni con offese e insulti per scatenare reazioni. La convinzione è che si possano offendere gli altri senza particolari conseguenze.
Harassment
Sono azioni di molestia online, intenzionali e perpetrate nel tempo, in genere a discapito di compagni e compagne identificate come “perdenti” per un qualche aspetto fisico o comportamentale.
Sexting
Il termine indica un’azione molesta compiuta per divertimento, con la quale si invia su Messenger o su Whatsapp materiale video-fotografico di sesso esplicito unitamente a testo scurrile e provocatorio. L’azione ha lo scopo di rendere pubbliche azioni intime di amici e conoscenti. Il sexting spesso sconfina nel revenge porn, la “vendetta pornografica”, tristemente nota per la gravità dei danni che produce.
Vamping
La parola significa “vampiraggio” ed è la pratica di navigare di notte, quando tutti dormono, e andare a caccia di emozioni forti con comportamenti molesti e offensivi che stimolano negli altri reazioni particolarmente forti.
Mio figlio tra bullismo e cyberbullismo: vittima, bullo o complice?
Giuseppe Maiolo
Giunti EDU, Firenze (2019)
Si tratta di un libro divulgativo dedicato ai genitori e agli adulti di riferimento di ragazzi coinvolti a vario titolo in situazioni di bullismo o cyberbullismo. Il volume rimanda a casi concreti ed esperienze di vita vissuta e – attraverso una serie di narrazioni e box – aiuta le famiglie a orientarsi nella complessità dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo, ad affrontare le problematiche connesse e a sostenere il proprio figlio che ne sia vittima e/o a intervenire in modo adeguato qualora sia bullo o complice.
Strumenti e percorsi
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