<div class="custom_text" id="iqde">Con l’abolizione del voto alla scuola primaria si va a demolire l’araldo di quel modello valutativo basato sulla classificazione e sulla selezione di milioni di studenti, orami da diverse generazioni. La cultura scolastica italiana è un terreno in cui questo cambiamento radicale potrebbe faticare ad attecchire perché percepito come un’imposizione e, forse, anche perché non completamente compreso. Ecco perché va adeguatamente sostenuto e accompagnato. Ma, chiaramente, la storia non finisce qui.&nbsp;Infatti, se vale il terzo principio newtoniano per cui ad ogni forza esercitata su un corpo ne corrisponde una uguale e contraria, vediamo come diversi soggetti, dentro e fuori la scuola, manifestano una resistenza a questo cambiamento, che non ha motivazioni pedagogiche. Il problema è quello di difendere il diritto degli studenti di apprendere, un percorso rispetto al quale l’uso mistificatorio dei voti in decimi ha giocato un ruolo gravoso.La presentazione delle linee guida ministeriali ha chiarito le finalità e gli strumenti per la valutazione formativa, dando un quadro che ben imposta la costruzione di una nuova cultura scolastica. La&nbsp;protesta di chi è contrario prende forma nella proposta di un passaggio dai voti ai livelli di apprendimento attraverso una semplice trasposizione lineare, uno schema dentro cui soffocare lo spirito della riforma. Così un moto rivoluzionario diventa rotatorio, un girare intorno a sé stessi per non cambiare nulla. &nbsp;Voti e livelli ci ricordano qualcosa di importante: la valutazione scolastica, pur avendo un ruolo eminentemente formativo, non esclude il suo valore certificativo. La nuova norma prevede di realizzare la valutazione periodica e finale ricorrendo a quattro livelli codificati (in via di prima acquisizione - base - intermedio - avanzato), non a caso, praticamente, gli stessi della certificazione delle competenze prevista per la quinta classe della scuola primaria.&nbsp;L’indicazione di un livello per ogni obiettivo, o per più obiettivi raggruppati in nuclei tematici, è una garanzia di contenimento del modello classificatorio connaturato alla dimensione certificativa della valutazione.L'idea che vengano proposte delle dimensioni "universali" (dimensioni che le diverse scuole possono anche implementare), rispetto alle quali costruire i livelli di apprendimento, toglie la discrezionalità al punto di vista del docente, rendendo espliciti i criteri del suo giudizio. Sono proprio le dimensioni dei livelli di apprendimento (autonomia, tipologia della situazione, risorse, continuità) ad ampliare il focus dell’osservazione: non solo i contenuti, ma anche i processi attraverso i quali si raggiungono i risultati.&nbsp;Per monitorare il processo di apprendimento c’è bisogno comunque di differenziare, riconoscendo al momento formativo della valutazione i suoi strumenti e indicatori specifici;&nbsp;usare solo i livelli, sarebbe, a mio avviso, un appiattimento della valutazione nella sua veste certificativa. Affinché il documento di valutazione mantenga il suo valore formativo, è necessario che il giudizio descrittivo resti ancorato agli obiettivi di apprendimento, descrivendo il percorso di ogni studente dal nostro punto di vista e dal suo, autovalutandosi. Limitarsi a riportare quanto espresso dai livelli&nbsp;distoglie l’attenzione dall’individualità di ogni studente, lasciando il passo allo spettro di un modello appena superato.&nbsp;Ora, se possibile, predisponiamoci a non parlare più di voti, se non nei nostri ricordi, ma troviamo le parole per aiutare i nostri studenti a capire e sostenere i loro percorsi, e per riconoscersi come persone in divenire, sempre pronte a migliorare. Sono parole che non possono essere prescritte, perché vanno trovate dentro la relazione educativa che viviamo con ognuno dei nostri studenti. Parole che li faranno sentire importanti. Aiutiamoli. Aiutiamoci. 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