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Autobiografie bambine

Ogni bambino ha un proprio modo di raccontarsi agli altri oppure di tacere la propria storia. Come lavorare in classe per far emergere autobiografie bambine? Alcune riflessioni e un libro per accompagnare i bambini a dire e scrivere di sé.

di Redazione GiuntiScuola27 agosto 201510 minuti di lettura
Autobiografie bambine | Giunti Scuola

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Frammenti di storia

Sempre di più nelle nostre classi vi sono bambini che hanno storie segnate da vicende emotive e bagagli autobiografici non consueti. Raramente essi si mettono a raccontare la loro storia seguendo un ordine cronologico o mettendo in fila i fatti della loro vita, anche se vengono sollecitati a farlo. I bambini hanno un modo tutto loro di parlare o di tacere delle emozioni e della nostalgia , delle paure e delle attese. Hanno un modo tutto loro di sollecitare l’attenzione e l’ascolto, di lanciare segnali, di disvelare racconti e segreti. A volte i segnali che essi inviano sono rappresentati da parole dette come per caso, nei momenti informali; altre volte è il silenzio a parlare al loro posto. L’esercizio del silenzio su di sé è praticato da molti come un meccanismo di autoprotezione per avere il tempo di osservare, imitare, provare a mimetizzarsi, essere invisibili. È anche un modo per tenere a bada la nostalgia, comprimere il passato ed evitare che i ricordi vengano a galla.

Il sentimento di nostalgia non si manifesta quasi mai in modo esplicito: mutuato sommessamente dai racconti delle memorie famigliari, per i bambini nati in Italia; spesso occultato in coloro che sono qui da tempo; affiora in occasioni sporadiche in chi è giunto di recente. E quasi sempre questo succede come per caso , durante attività e scambi informali e al di fuori delle attività scolastiche, durante racconti che parlano d'altro nel mezzo dei quali si evocano luoghi, volti, legami. E avviene più spesso con gli insegnanti e gli educatori nel piccolo gruppo, quando si può prendere la parola con meno timore, più che nella classe intera, dove ci si espone al giudizio di tutti.

“Sai che mio nonno mi ha insegnato a pescare?”

“Sai che mio nonno mi ha insegnato a pescare? Al pomeriggio andavamo insieme al fiume e me lui mi faceva vedere come si fa a preparare le esche , ad aspettare fermi immobili, senza neppure fischiare”. Liao, all'improvviso, fa emergere l'immagine del nonno, vivida e potente e lo fa nel piccolo gruppo del laboratorio linguistico. E Ajana, durante la pausa della mensa, racconta di essere andata la sera prima in un ristorante eritreo e di aver mangiato l’ angera con lo zighinì , buono quasi come quello che le faceva la nonna: “ Mia nonna lo fa così: prima pesta il berberè e poi lo porta in un posto dove lo macinano fino a che non diventa una polvere sottile. Anch'io l'ho aiutata qualche volta, ma i bambini è meglio che non lo fanno perché è molto piccante”.

Negli interstizi della comunicazione, quando il controllo è più basso e la vigilanza interiore si disarma un po’, emergono frammenti di racconto e di memoria in cui si intrecciano alleanze fra le generazioni che spesso non si possono più rinnovare. Affiorano come elementi di frattura della continuità temporale nella memoria discontinua che a volte lascia emergere ricordi segreti oppure viene affabulata e mitizzata come nelle immagini dei nonni potenti e sapienti.
Vanno creati dei contesti in grado di dare ai bambini la possibilità di sperimentare la distanza e la continuità con la propria memoria , personale e culturale.

L’ascolto autobiografico di tutti i bambini

Siamo nelle condizioni di poter fare questo? Di metterci in ascolto di parole che affiorano e di silenzi che cercano di evocare altre immagini di infanzia intrisa di nostalgie e di attese?
Spesso le condizioni in cui ci troviamo a educare ( numerosità delle classi , tempi ridotti e costretti, ansia rispetto al percorso e al programma ) non sono certo le più favorevoli per riuscire a prestare ascolto a tutti e a ciascuno.
Fare i conti con i destini e i percorsi diversi dei bambini che approdano nelle nostre classi è compito delicato e complesso perché significa avere a che fare con storie e biografie in cui si mescolano separazioni, affetti, assenze, perdite. Oltre ad aver cura del tempo, e quindi lasciare che ognuno trovi il suo posto prima di sentirsi autorizzato a condividere parti della sua storia, altre attenzioni riguardano i contesti e le sollecitazioni dello scambio che devono essere inclusivi e rivolti a tutti , e non intrusive e dirette al singolo bambino.

L’ascolto autobiografico si prefigge di raccogliere frammenti di storie d’infanzia – di tutti i bambini - al fine di:

  • promuovere la narrazione di sé e l’incoraggiamento a riconoscersi come individui dotati di una storia (l’unico bene di cui tutti disponiamo e che è tutto nostro) che è sempre importante e che ha sempre valore. L’effetto psicologico è lo sviluppo dell’autostima e l’apprezzamento di quello che si è stati e che si è;
  • ricomporre con il bambino i pezzi della sua vicenda esistenziale, facendo convivere il prima con il dopo , il passato con il “qui e ora”. L’effetto è quello di mostrare al bambino che si appartiene a una trama di avvenimenti che sono legati con altre storie, con altre generazioni;
  • condividere con tutti i bambini le situazioni vissute da ciascuno e che portano spesso le tracce di riferimenti e tradizioni culturali diverse . L’effetto è quello di valorizzare e far conoscere comportamenti e modi di vivere, non in maniera folclorica ed esotica, ma mostrando la normalità delle differenze.

Nel fluire di un racconto, e soprattutto nel rafforzarsi delle relazioni di vicinanza e amicizia, ogni bambino troverà i modi, i tempi e le parole per saldare almeno un po' i frammenti della sua storia.
E per parlare di sé, come fa Wei Cheng, ragazzo italo-cinese di 12 anni, inserito nella scuola secondaria di primo grado di via Giusti a Milano, attraverso una sorprendente poesia.

Poesia di un nome

Io sono Wei Cheng
come il cielo sereno dopo il temporale
l’allegria dopo la tristezza.
Sono come un cavatappi tra le bottiglie di coca-cola,
come Galileo Galilei che ha scoperto il telescopio,
una rosa blu fra quelle rosa.
Sono come un cane che guida un gregge,
un triangolo fra i quadrati,
ma purtroppo sono solo
come un inutile e sfortunato grigio tra i colori

Per lavorare in classe, un piccolo libro per dire e scrivere di sé

La mia casa profumerà di legno e di fiori. I bambini si raccontano uguali e diversi è un piccolo libro che è in realtà una miniera di stimoli, spunti e sollecitazioni per invitare i bambini a dire e a scrivere di sé. Curato da Arcangela Mastromarco e Alberto Fiorio con i bambini della quinta B della scuola di via Brunacci di Milano, è il ritratto di gruppo dei bambini di una classe, ognuno dei quali si presenta a modo suo e sceglie un tema per raccontarsi: il significato del suo nome, la lingua che parla a casa, l’animale o la metafora che lo rappresenta, un oggetto che viene dal passato…

Dalla presentazione: “Vuoi imparare a capire chi sei, che cosa ti piace, cosa non ti piace per niente, che cosa farai da grande e cosa desideri per il tuo futuro? Vuoi parlare dei tuoi ricordi, dei tuoi pensieri, della scuola, dei viaggi, dei tuoi compagni? A volte ti senti uguale, a volte completamente diverso da tutti, sei triste, sei allegro e non sai perché . Allora vieni con noi. I bambini della V B di via Brunacci di Milano ti aiuteranno a scoprire il passato il presente e il futuro!”

Un piccolo libro che può diventare un ricordo prezioso dei compagni della classe da portare con sé alla fine della primaria, scritto e realizzato tutti insieme.
Tutti insieme e davvero uguali e diversi.

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