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La professionalità al centro

Il 3 ottobre, il ministro Giannini ha presentato il Piano triennale per la Formazione dei Docenti. Quali le novità? Silvana Loiero, direttore de “La Vita Scolastica” ne parla con Giovanni Biondi, presidente INDIRE.

di Redazione GiuntiScuola04 ottobre 20167 minuti di lettura
La professionalità al centro | Giunti Scuola

Nel corso degli anni le scuole e gli insegnanti hanno sperimentato, a vari livelli, diverse attività relative alla formazione. Come dire: la formazione c’è sempre stata, e di formazione si è sempre discusso. Con il nuovo Piano di Formazione che cosa cambia rispetto al passato?

È vero, abbiamo attraversato diverse stagioni nei modelli di formazione. Principalmente però la formazione frontale è sempre stata quella prevalente. La domanda da porsi è: a che cosa deve servire la formazione in servizio? Essere aggiornati sulla propria disciplina, soprattutto nelle aree scientifiche o tecnologiche, è certamente una della componenti della formazione continua, ma l’aspetto centrale riguarda i “comportamenti professionali”, il rapporto con i ragazzi, la didattica in generale. La formazione può supportare l’innovazione se è in grado di “agire” sul modo di impostare il lavoro di tutti i giorni, di fornire idee, materiali, stimoli concreti che permettano a un insegnante di rispondere in modo sempre nuovo ai bisogni, alle caratteristiche degli studenti, agli obiettivi della scuola in una società in continua e rapida trasformazione. Il modo meno efficace per raggiungere questo risultato è proporre un ciclo di conferenze o lezioni frontali. Non si cambia “ascoltando” e firmando il registro delle presenze, ma facendo un percorso che viene in qualche modo “certificato”, che richiede cioè al corsista di “fare qualcosa” e di sottoporsi poi a una verifica. Questa mi sembra l’innovazione principale che viene introdotta nel Piano.

Passare a una formazione obbligatoria per legge (finora era volontaria) inciderà positivamente o negativamente sull’efficacia della formazione medesima?

In questo momento nella scuola c’è un clima difficile. Troppa burocrazia, troppe carte da riempire: il rischio è che questo nuovo “obbligo” venga vissuto male dagli insegnanti. Tuttavia oggi non c’è nessuna professione che può permettersi di non affrontare il tema della formazione continua. In più nella professione docente c’è anche un aspetto critico che connota l’insegnante. Conosce la disciplina (tutto il percorso di studi è centrato sulla materia che insegna), ma non è stato formato per stare con i ragazzi, per padroneggiare metodologie e strumenti. Inoltre la scuola è dinamica, gli studenti propongono sempre situazioni nuove e diverse. La formazione in servizio è la leva principale per l’innovazione del sistema scuola, considerarla obbligatoria è quasi ovvio. Il timore comunque è che la scuola non reagisca bene, anche perché che il contratto di lavoro è bloccato da anni e le recenti novità introdotte generano un certo “ingolfamento” nell’intero sistema.

D’ora in poi, l’università entrerà con più decisione nelle scuole stabilendo un legame più forte con gli insegnanti? Oltre alla formazione iniziale, l’università avrà un ruolo privilegiato anche per la formazione in servizio?

L’Università è l’agenzia principale di formazione sugli aspetti disciplinari e quindi riguardo all’aggiornamento sui contenuti. Sulla capacità invece di incidere sui comportamenti professionali degli insegnanti, di proporre soluzioni legate alla pratica educativa, di dare risposte a problemi concreti, ho molti dubbi. Troppo pochi sono i docenti che si dedicano alla didattica e che escono dal tradizionale modello trasmissivo, basato sulla centralità della lezione frontale. È difficile quindi che possano e sappiano proporre percorsi diversi con gli insegnanti. Nel Piano, le Università hanno un ruolo potenzialmente molto importante soprattutto perché “certificano” gli esiti della formazione. Poiché questa è una delle innovazioni più rilevanti, diciamo che partono avvantaggiate. Ma il tema della qualità degli interventi e della loro efficacia è tutta un’altra storia; certo, ci sono università o meglio decenti che possono dare contributi di qualità a questi processi, ma si tratta di una “geografia” ad assetto variabile.

La scuola ha sempre sofferto di una mancanza di fondi per la formazione. Si apre finalmente una nuova era?

Questa volta i fondi ci sono e sono importanti, soprattutto se sommati con i fondi europei sia nazionali che regionali. È un’importante inversione di tendenza.

Il piano è particolarmente attento al tema dell’inclusione. Quali sono le proposte di formazione con cui si cerca di aiutare gli insegnanti a garantire una scuola inclusiva?

Credo che il modo migliore di affrontare il tema dell’inclusione sia quello di trasformare il modello educativo da “trasmissivo” a “laboratoriale”. In questo le nuove tecnologie e i linguaggi digitali sono una risorsa fondamentale, specialmente per permettere di superare molte barriere.

Non tutti gli insegnanti si sono abituati alla formazione online. E tuttavia molte buone proposte sono fruibili in questa forma. In che modo il Piano si propone di aiutare gli insegnanti a utilizzare queste nuove modalità di formazione?

Se pensiamo che la “lezione” frontale sia il cuore della formazione è chiaro che la formazione online sembra la sorella minore. Si potrebbe obiettare che una lezione online si può risentire e rivedere più volte mentre quella frontale no e che online si può “dialogare” con i migliori esperti nazionali e internazionali che difficilmente si potrebbero spostare nelle nostre periferie. Forse per abitudine, si pensa sempre che il contatto diretto sia il più efficace. L’altro aspetto è l’ambiente “sociale” nel quale si svolge la formazione: in presenza, l’ambiente sociale sembra più coinvolgente. Incide poi molto l’età. Mentre per i nostri studenti dialogare in rete è naturale, per molti insegnanti non lo è. Tuttavia modelli di formazione online offrono dei vantaggi importanti e non possiamo pensare che online si debbano fare le stesse cose che si farebbero in presenza. Credo il massimo dell’efficacia si ottenga con percorsi “blended”: le lezioni, gli inquadramenti “teorici” possono stare online offrendo aspetti interattivi che consentano agli insegnanti di dialogare con i relatori mentre momenti laboratoriali dai quali partano percorsi di lavoro con le scuole possono essere organizzati in presenza specialmente quando si affrontano tematiche legate all’uso nella didattica delle ICT. Difficile capire le potenzialità di una LIM senza provare a usarla.

Tanti insegnanti sono abituati a belle proposte e a non troppo esaltanti realizzazioni. Finiamo con una battuta: questo Piano è bello e possibile o bello e impossibile?

Questo non dipende da Piano ma dagli attori, dai registi ecc… Diciamo che il copione è buono e che si potrebbe fare un buon film: i fondi ci sono, la sceneggiatura anche il resto tocca alla scuola.

Per saperne di più

Giovanni Biondi e Silvana Loiero: 4 Ottobre 2016 Sesamo didattica interculturale

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