Contenuto riservato agli abbonati io+

Parlare insieme: il senso del colloquio

A scuola A. fatica e non ottiene i risultati sperati. Il colloquio con i genitori cerca di raccogliere e di dare informazioni, per costruire una solida alleanza di lavoro con la famiglia. Di Giovanna Masiero e Maria Arici.

di Redazione GiuntiScuola25 maggio 20186 minuti di lettura
Parlare insieme: il senso del colloquio | Giunti Scuola

Le maestre dicono che in A. qualcosa non va. Lo dicevano anche le maestre della scuola da cui A. si è trasferita. Già erano in corso i colloqui di approfondimento, poi abbandonati perché l’urgenza del trasloco ha sospeso ogni altro impegno. La famiglia di A. è qui da molti anni, più di 10 dice il papà. A. è nata in Italia, ma soprattutto è di cittadinanza italiana. Cosi come la sorellina, nata due anni dopo. L’origine dei genitori è pakistana. Gli abiti che indossa la madre testimoniano di un legame chiaro con il Paese d’origine, senza contaminazioni o ibridazioni creative. Della famiglia abbiamo quasi tutte le informazioni che servono a ricostruire grossomodo il percorso migratorio della famiglia e il percorso scolastico dell’alunna.

Tecnicamente A. è una bambina di seconda generazione , la primogenita di una coppia che ha seguito il classico iter d’integrazione: prima l’arrivo del padre, lavoratore, poi il ricongiungimento della sposa, che presto diventa madre, prima di una e poi di una seconda figlia femmina, tutte nate in Italia. Le vicissitudini lavorative portano la famiglia a spostarsi più volte nel territorio italiano, e a diradare sempre di più le visite in Pakistan.

Oggi la famiglia è aiutata dai servizi sociali a causa della perdita del lavoro del padre, in seguito alla crisi economica. Ciononostante, i genitori hanno saputo costruire una rete di aiuto per i compito tessendo una buona rete di vicinato.

Il colloquio… per il bene dell’alunno

La stanza del colloquio è l’aula dei professori, ma trovandoci in una piccola scuola non si rischia di essere disturbati. Tutto è accogliente, le maestre danno il benvenuto offrendo acqua e dolcetti. Ci si siede tutti intorno a un grande tavolo quadrato: le due insegnanti da un lato, quella di classe e quella di sostegno, i genitori su un altro, la mediatrice e l’esperta di L2 nel terzo lato. Gli sguardi di tutti i presenti si possono incrociare, pur se la mediatrice fa un po’ da catalizzatrice nel suo ruolo ponte tra le due lingue. Le maestre iniziano con l’informare i genitori che è fondamentale che il percorso di approfondimento logopedico e neuropsichiatrico iniziato nella scuola precedente venga portato a termine. Spiegano che servono degli accertamenti per capire meglio il perché A. non riesca ad ottenere dei buoni risultati a scuola. La famiglia riceve tutte le informazioni su dove andare, chi incontrare e la mediatrice si rende disponibile ad accompagnare la famiglia nei successivi appuntamenti.
Per il bene della bambina, dicono le insegnanti, per sapere come aiutarla al meglio. Rivolgono poi altre domande alla famiglia per completare il modulo della biografia linguistica di A. con alcune informazioni che erano rimaste in sospeso.
Un colloquio sereno, ma fino a qui i genitori non prendono mai la parola spontaneamente, rispondono solo alle richieste, senza aggiungere null’altro, senza mostrare emozioni.

Il colloquio… per la formazione dell’insegnante

Arrivati a questo punto tutti sembrano in procinto di salutarsi. Invece il vero colloquium , quel parlare insieme, inizia proprio in quel momento. Viene chiesto ai genitori: ma voi, come vedete A.? È la prima domanda aperta che viene rivolta ai genitori, e che fa aprire anche i loro volti in un sorriso. A. è normale , dicono. Lo dicono in italiano, con una parola semplice e comune: normale, una parola che elimina ogni complessità. E quella normalità si svela con spontaneità e loquacità, alternando la voce della madre e del padre, rivelando elementi significativi per comprendere più a fondo il mondo di A.: come per esempio quella sua impazienza nel voler fare subito i compiti una volta a casa tanto da non farle sentire i bisogni primari. A non chiede di andare in bagno e ci va solo se accompagnata dalla mamma; non chiede di mangiare e lo fa pretendendo di essere imboccata (ecco quella non autonomia notata dalle maestre). Pensa di essere la più importante, dice il padre, e viene sempre assecondata in tutto per evitare le sue crisi esagerate e farla stare felice. A chi della famiglia potrebbe assomigliare? Chiediamo. Anch’io ero un po’ cosi, dice il papà.
Si viene a sapere che i genitori tra loro parlano punjabi, ma si rivolgono alle figlie in urdu, come è pratica comune a molte famiglie in Pakistan, una scelta che, nel Paese, serve ad abituare i figli alla lingua della scuola. A. però non mette bene in ordine le parole e fa qualche errore di pronuncia; sembra più parlare come una bimba piccola che come i coetanei pachistani. Forse, dice la mamma, perché in casa non c’erano altri bambini. Ha iniziato sia a parlare che a camminare tardi. Come vedono i genitori il futuro delle loro figlie? La piccola di sicuro piloterà gli aerei, mentre A. sarà una professoressa! Quante informazioni sono arrivate nell’ascolto; tutte utili al lavoro successivo di osservazione della padronanza linguistica in italiano L2 e in lingua madre che verrà condotto sulla bambina in una collaborazione tra la mediatrice e la facilitatrice linguistica.

Il posto dei figli

L’osservazione e la valutazione diagnostica dei bambini migranti è un tema delicato e importante, che può contare ancora oggi su pochi strumenti in quanto quello di cui disponiamo è ancora validato in riferimento a matrici euroamericane. Per ora, alcuni insegnanti stanno imparando a mettere in atto alcune “misure correttive” praticabili per un’osservazione multiculturale:

• l’acquisizione di un’attitudine di decentramento;
• la collaborazione di un mediatore linguistico-culturale;
• le modifiche organizzative e le soluzioni facilitanti nella comunicazione con le famiglie.

Ma c’è ancora molto da fare. Costruire una solida alleanza di lavoro con la famiglia è determinante per il successo dei percorsi, e questo è possibile solo permettendoci di scoprire l’opinione che hanno il padre e la madre sul figlio, le loro aspettative di riuscita, le modalità culturali di cura e crescita, i loro accordi e disaccordi sulla “diagnosi” rispetto alle difficoltà e il posto che i figli occupano nella cultura di provenienza. Anche scoprire che alla preoccupazione dell’insegnante fa eco una serenità nello sguardo del genitore è un incontro multiculturale .

Dove trovi questo contenuto

Potrebbero interessarti