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Vedere l’intercultura: educare attraverso i film
Il linguaggio visivo di un prodotto cinematografico è utile allo scopo perché è immediato: sollecita la sfera emotiva e cognitiva, propone punti di vista diversi. Di Clara Silva, università di Firenze
L’educazione interculturale costituisce oggi una priorità educativa che riguarda non solo la scuola, ma la società nel suo complesso, attraverso percorsi formativi volti ad accompagnare l’interazione e lo scambio reciproco. Un approccio volto al superamento di una visione chiusa e univoca dei rapporti tra le culture e alla realizzazione di un modello di relazione aperto e curioso. Soprattutto oggi, accanto al riconoscimento delle differenze, occorre anche valorizzare le somiglianze, i valori e i principi condivisibili, così da costruire e rafforzare i rapporti tra soggetti e gruppi entro la trama di una cittadinanza partecipativa e inclusiva da costruire a partire dalla scuola e nei percorsi educativi e formativi extrascolastici.
Gettare ponti tra le culture: la ricchezza del linguaggio filmico
L’educazione interculturale riguarda tutti i luoghi e gli operatori i cui compiti primari sono quelli di servizi ai cittadini. Si pensi alle strutture sanitarie, alle questure, ai tribunali ecc. Sono questi spazi di tutti, ma anche quelli urbani – piazze, giardini pubblici, metropolitane, luoghi di aggregazione…. – contesti educativi dove coltivare i valori della convivenza anche attraverso pratiche di relazioni interculturali. Spazi segnati anch’essi da un’eterogeneità crescente che richiede un impegno da parte della pedagogia interculturale nell’elaborazione di nuove chiavi di lettura con cui guardare la multiculturalità che li attraversa, così come nella progettazione di ricerche volte a comprendere le problematicità e a mettere a punto nuovi strumenti per attivare l’ascolto, promuovere il dialogo e il confronto interculturale.
In questi contesti la filmografia può rappresentare un efficace strumento per educare all’Intercultura. Questo perché il film stesso è movimento d’immagine e il cinema è per sua natura meticcio e ibrido. In altre parole, il film è il risultato della fusione di svariati codici appartenenti a diverse aree espressive: l’immagine, le parole (scritte e pronunciate), la gestualità e la recitazione, la musica. Si consideri poi che i viaggi necessari per la sua realizzazione sono davvero moltissimi e disegnano un reticolo di esperienze incrociate e interconnesse alla base della stessa creazione cinematografica. Si pensi allo spostamento di una troupe per allestire un set cinematografico, il suo muoversi da un capo all’altro del mondo, talora in luoghi lontanissimi, che possono essere resi sullo schermo come contigui.
In secondo luogo, il film consente di gettare uno sguardo sulla complessità propria della convivenza multiculturale, di esplorare quella della realtà sociale e culturale delle popolazioni più diverse nei loro contesti di vita, di sottrarre l’immaginario all’etnocentrismo e di conoscere la realtà da più punti di vista. In terzo luogo, il linguaggio filmico sollecita sia la sfera emotiva sia quella cognitiva, suscita empatia o distanziamento, aumenta e vivacizza le nostre conoscenze sulle altre realtà.
Il film si presenta dunque come una finestra sul mondo che permette di cogliere i vari volti della globalizzazione, in primis l’intreccio che lega il locale con il globale, il presente con il passato.
Alcuni esempi
Un primo esempio è Terraferma di Emanuele Crialese (2011), in cui l’attualità degli sbarchi dei migranti sulle coste siciliane mette in discussione i codici morali degli abitanti. Un altro esempio può essere di Almanya – La mia famiglia va in Germania (Germania, 2011), della regista tedesca di origine turca Yasemin Sandereli, in cui la vacanza di una famiglia di immigrati di origine turca nel paese d’origine s’intreccia con la storia dell’emigrazione in Germania di quella stessa famiglia, in una prospettiva ironica che mette a nudo le difficoltà di integrazione e i fraintendimenti legati alla diversità culturale. Ancora un film significativo a questo proposito è Mar nero (Italia, 2008), che narra della convivenza tra un’anziana signora e una donna rumena che le fa da badante, prima segnata da forti incomprensioni e diffidenze e poi, superati i reciproci pregiudizi, sfociata in una relazione d’amicizia profonda e arricchente. Qui il potenziale interculturale del linguaggio filmico emerge nella sua capacità di combattere stereotipi, pregiudizi, rappresentazioni semplicistiche dell’altro.
La scelta del film
Si tratta di un passaggio preliminare di fondamentale importanza, perché in certi casi la visione di un film può produrre il risultato contrario a quello sperato. Onde evitare ciò, occorre scartare i film che presentano eccessive generalizzazioni o sono modellati su stereotipi anche di tipo comunicativo, che possono amplificare o distorcere la realtà per creare effetti emotivi oppure rimarcare un’eccessiva lontananza e incomunicabilità tra le culture, puntando sull’esotismo. Sono invece da privilegiare quelli che mettono al centro la relazione – nei suoi vari volti: interconnessione, meticciato, ibridazione, fusione... – quelli che presentano incontri/scontri tra mondi diversi senza cadere in facili contrapposizioni culturalistiche, quelli che consentono di relativizzare i punti di vista.
Anche i film contenenti una rappresentazione stereotipata della realtà possono tuttavia essere utilizzati consapevolmente per smascherare stereotipi e pregiudizi, nel quadro di una comparazione con altri di maggiore spessore e attraverso adeguate contestualizzazioni. Onde sfruttare al meglio la portata critica ed emancipativa dello strumento filmico, è opportuno preparare preliminarmente il pubblico a cui la visione è indirizzata, affinché il suo mondo e il suo vissuto possano incontrare quelli rappresentati sulla pellicola, al fine di cogliere pienamente il portato interculturale del film stesso.
Riferimenti bibliografici
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Silva C., Lo spazio dell’intercultura. Democrazia, diritti umani, laicità , FrancoAngeli, Milano, 2015
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