Tra i magnifici romanzi di formazione scaturiti dal genio narrativo di Peter H&oslash;eg spicca I quasi adatti, che narra la storia semiautobiografica di Peter, un adolescente dal passato travagliato inserito in una scuola sperimentale e specializzata nel reinserimento in societ&agrave; di ragazzi traumatizzati o incapaci di costruire relazioni affettive stabili; ben presto Peter imparer&agrave; suo malgrado a lottare contro un sistema volto a omologare e addestrare i ragazzi &ldquo;diversi&rdquo;, non adatti o &ndash; appunto &ndash; &ldquo;quasi adatti&rdquo; alla vita di societ&agrave;: una storia esemplare sulla bellezza di essere fragili e inadeguati di fronte a comportamenti miopi e rigorosi, frutto di attese formative esageratamente pretenziose.

Il nostro sistema scolastico, specchio peraltro d&rsquo;una societ&agrave; meritocratica e competitiva, somiglia sempre pi&ugrave; all&rsquo;ospedale che cura i sani e che respinge i malati, per dirla con il Priore di Barbiana: evidenza che Mario Maviglia&nbsp; (gi&agrave; ispettore ministeriale e Dirigente USR) e Laura Bertocchi (docente e linguista) hanno ben inteso e argomentato nel recente saggio La scuola e i suoi scarti: disagi, disfunzioni, insuccesi: le malattie della scuola, edito da Euroedizioni.

Chi sono gli scarti?

Gli &ldquo;scarti&rdquo; sono coloro che vengono considerati non conformi agli standard formativi scolastici in quanto incapaci di sviluppare adeguate capacit&agrave;, prestazioni (pensiamo a fatidici LEP) o competenze e che finiscono per soccombere a una struttura societaria non impostata sul perseguimento del successo formativo di tutti (concetto cardine del Regolamento dell&rsquo;Autonomia, di cui al DPR 275/1999), quanto piuttosto sullo sviluppo delle eccellenze, con conseguente e inevitabile disequilibrio tra gli inclusi (pochi) e gli esclusi (molti).

Gli scarti, nel dettaglio, possano essere di vario genere: coloro che abbandonano la scuola per svariati motivi, coloro che volutamente non studiano, non lavorano e non si formano (i cosiddetti NEET), coloro che frequantano la scuola in modo assai discontinuo ovvero che &ndash; pur frequantando &ndash; non ottengono risultati adeguati e, non in ultimo, coloro che vivono endemiche difficolt&agrave; d&rsquo;apprendimento oppure che frequentano svogliatamente le lezioni senza manifestare alcun interesse.

Ora, gli scarti sono il prodotto dei mali della scuola, ovverosia delle varie incapacit&agrave; del sistema scolastico nel reagire alle urgenze, nel perseguire i reali bisogni formativi e sociali dei ragazzi oppure nel garantire lo sviluppo di una cittadinanza attiva e consapevole. A loro volta, fatalmente, i vari mali, le varie disfunzioni e i vari insuccessi scolastici sono addebitabili alle azioni improvvide dei professionisti dell&rsquo;educazione, che si riflettono giocoforza sul processo d&rsquo;insegnamento/apprendimento e sulle dinamiche organizzative didattiche.

Che cosa non funziona

Ma quali sono le cause di tali disfunzioni? Che cos&rsquo;&egrave; che, di fatto, non funziona? Intanto c&rsquo;&egrave; all&rsquo;origine un profondo disallineamento tra le attese dei professionisti della scuola e i reali livelli di crescita e d&rsquo;apprendimento degli studenti, sebbene il dettato costituzionale e la normativa di settore siano orientati verso la valorizzazione di ogni talento, ancorch&eacute; nascosto; diretta conseguenza &egrave; l&rsquo;assenza di una visione sistemica e onnicomprensiva, poich&eacute; sovente il malfunzionamento di una parte contribuisce al fallimento dell&rsquo;insieme. Inoltre l&rsquo;imperversare di logiche burcratiche e amministrative finisce per appesantire sino a compromettere la lucidit&agrave; di docenti e dirigenti, privandoli almeno in parte della loro missione educativa e formativa.

Il futuro della scuola

Date queste premesse, il futuro della scuola non pu&ograve; che passare da una responsabilizzazione collettiva: ogni componenete scolastica (docente, dirigenziale, ausiliaria) dovr&agrave; essere chiamata in causa affinch&eacute; si possa realizzare una sinergia cooperativa adeguata e funzionale, che superi le incongruenze, accorci le distanze o aumenti la qualit&agrave; dell&rsquo;istruzione e, anzitutto, dell&rsquo;inclusione; solo in questo modo sar&agrave; possibile se non evitare almeno prevenire gli scarti e gli insuccessi.

Tuttavia, per agire in modo efficace ed evitare il mismatch sociale e formativo sarebbero necessarie &ndash; tanto a parere degli autori del saggio in parola quanto di chi scrive questa recensione &ndash; alcune soluzioni: un approccio maieutico reciproco (come sosteneva il grande padagogo Danilo Dolci), un dialogo costruttivo in merito ai significati dell&rsquo;educazione, l&rsquo;esercizio di una completa sussidiariet&agrave; orizzontale e il perseguimento di una &ldquo;pedagogia del territorio&rdquo;, capace di creare identit&agrave; e reciprocit&agrave;.

Anzitutto inclusione e pari opportunit&agrave; dovrebbero passare attraverso un approccio maieutico in grado di rimuovere l&rsquo;immobilit&agrave; sociale, verso una scuola &ndash; e prima ancora un&rsquo;idea d&rsquo;apprendimento &ndash; che valorizzi, incoraggi e non si limiti a valutare sommariamente, minimizzando la dimensione educativa.

Dopodich&eacute; sarebbe imprescindibile instaurare un dialogo profondo e costruttivo circa il significato dell&rsquo;educazione (il cui etimo richiama il &ldquo;condurre fuori&rdquo;, l&rsquo;estrapolare), in modo che la dispersione scolastica non si traduca in dispersione educativa, fonte di demotivazione, disorientamento e assenza progettuale; andrebbero pertanto coniugate istruzione ed educazione mediante relazioni assertive e una sorta di &ldquo;circolarit&agrave; ermeneutica tra persona e mondo&ldquo; (L. Piarulli, 2016): la scuola insomma, per non perdere gli studenti, dovrebbe abituarli a stare al mondo e ad affrontare i conflitti, attraverso il dialogo e il confronto continui.

In altri termini, seguendo l&rsquo;esempio di Edgar Morin, &egrave; necesario educare a vivere: solo cos&igrave; i ragazzi possono fruire di utili elementi per affrontare le numerose incertezze e, di rimando, possono maturare gli strumenti necessari per contrastare le incognite della vita.

Le povert&agrave; educative &ndash; sempre pi&ugrave; numerose e diversificate &ndash; si combattono attraverso patti di comunit&agrave; che sappiano perseguire lo sviluppo educativo dei territori, onde evitare discriminazione e deprivazione; andrebbe sempre pensata una scuola aperta, sostenibile e multifattoriale, spazio d&rsquo;accoglienza per i ragazzi pi&ugrave; fragili o dotati di mezzi inadatti. Del resto le alleanze educative, civili e sociali, realizzano i principi costituzionali della &ldquo;sussidiariet&agrave; orizzontale&ldquo; (art. 2) e della &ldquo;comunanza d&rsquo;interessi&ldquo; (art. 43); di conseguenza, promuovere sussidiariamente la scuola significa sostenerne l&rsquo;autonomia funzionale a scopo educativo, formando il capitale umano espresso dal territorio.

Come ha arguito Stefano Versari (2022), se il sociale entra in crisi anche le Istituzioni ad esso collegate &ndash; la scuola in primis &ndash; vedono allentati i vincoli di fiducia e d&rsquo;identit&agrave; culturale; la sussidiariet&agrave; diventa allora lo strumento attraverso il quale costruire una rete di connessioni, collaborazioni esterne e capitali differenziati, al fine di realizzare una comunit&agrave; solida in grado di includere e non disperdere le fasce pi&ugrave; problematiche.

Esiste infatti in ambito pedagogico l&rsquo;ambizione di spingersi oltre le classiche esperienze extra-curricolo, non limitandosi all&rsquo;ampliamento dello &ldquo;spazio-scuola&rdquo;, ma estendendo l&rsquo;esperienza scolastica all&rsquo;intera societ&agrave; locale. Ora, non &egrave; sufficiente il semplice potenziamento delle attivit&agrave; extracurricolari, occorre capire come potersi ritrovare nella comunit&agrave; locale recuperando reciprocit&agrave; e soprattutto strutture pedagogiche che evidenzino la relazione esistente tra identit&agrave; &ndash; personale o collettiva &ndash; e spazio (D. Bazzini, 2021); la scuola dev&rsquo;essere anzitutto trasmissiva e costruttiva, in modo da poter cementare la conoscenza territoriale come sostrato della comunit&agrave; educante. Questa &egrave; l&rsquo;essenza della &ldquo;pedagogia del territorio&rdquo;, intesa come una rete d&rsquo;infuenze socio-educative-culturali che riqualifichino le trame educative, senza perdere per strada gli student e, al contrario, salvaguardando le loro singole specificit&agrave;.

V. Venuti, &ldquo;La scuola in bilico tra l&rsquo;autonomia differenziata e gli scarti&rdquo;, in Dirigere la Scuola del 7 luglio 2024

D. Bazzini, &ldquo;La territorialit&agrave; come strumento pedagogico&rdquo;, in L&rsquo; &eacute;cole valdotaine, <a href="http://www.regione.vda.it">www.regione.vda.i</a>

C. Russo, &ldquo;Pedagogia del territorio. Il design per i sistemi formativi integrati&rdquo;, <a href="http://www.politesi.polimi.it">www.politesi.polimi.it</a>, 2021

AAVV, a cura di S. Versari, &ldquo;Scuola, lavoro, impresa: costruire in sussidieriet&agrave; si pu&ograve;&rdquo;, Tecnodid Edizioni, 2022

L. Piarulli, &ldquo;Dispersione scolastica o dispersione educativa? Reincontrare la Pedagogia&rdquo;, <a href="http://www.orizzontescuola.it">www.orizzontescuola.it</a>, 2016

AA.VV, Documento di sintesi sui patti educativi, <a href="http://www.alleanzainfanzia.it">www.alleanzainfanzia.it</a>, 2023

“La scuola e i suoi scarti”: il saggio di Maviglia e Bertocchi, per il successo formativo di tutti