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La Gioia di ricominciare

Rami per giocare e decorare

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&ldquo;Accogliere&rdquo; &egrave; un verbo complicato perch&eacute; deve essere agito ogni giorno.

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Predisporre l&rsquo;accoglienza si dimostra pi&ugrave; complesso di quanto potrebbe immaginare chi non &egrave; del mestiere. Non solo perch&eacute; in ciascuna persona si agitano storie individuali, non solo perch&eacute; ci sono oggetti e ambienti che devono parlare e declinare in modo concreto i verbi dell&rsquo;accoglienza, ma soprattutto perch&eacute; l&rsquo;accoglienza non riguarda il primo giorno del nido. 
Accogliere &egrave; un verbo complicato perch&eacute; deve essere agito ogni giorno, in tutto l&rsquo;anno, ed &egrave; anche un verbo che va coniugato all&rsquo;infinito: non c&rsquo;&egrave; un momento in cui l&rsquo;accoglienza possa essere messa da parte. Accogliere &egrave; una modalit&agrave; di vita e di lavoro. &Egrave; il quotidiano infinito del lavoro educativo, perch&eacute; accogliere significa occuparsi delle persone. E le persone cambiano, assieme alle loro esigenze, ai loro pensieri, alle loro convinzioni. 
I bambini sono persone (come ha affermato Elinor Goldschmied, anche attraverso il titolo del suo libro Persone da 0 a 3 anni), e persone sono i colleghi, le operatrici e gli operatori che a vario titolo intervengono nel sistema nido. Persone sono le famiglie con le quali c&rsquo;&egrave; da costruire ascolto reciproco, c&rsquo;&egrave; da dare spazio alla narrazione e al dialogo. Nel nido c&rsquo;&egrave; da fare un costante sforzo per darsi tempi e spazi necessari per incontri intimi con le famiglie, che hanno limiti oggettivi legati al lavoro, agli impegni e a quant&rsquo;altro. C&rsquo;&egrave; bisogno di pensare a come distribuire delle situazioni raccolte per ascoltare le narrazioni reciproche, per condividere le storie silenziose dei bambini, per costruire, fra adulti, una storia delle storie, attraverso un processo che pu&ograve; diventare una &ldquo;storia&rdquo; formativa anche per ciascuna delle persone che si trovano coinvolte. Il che rende l&rsquo;accoglienza un traguardo ambizioso, quasi utopico. Ma la realizzazione di utopie concrete &egrave; il compito di chi si occupa di educazione.

Una mamma porta il suo piccolo in braccio, l&rsquo;educatrice va verso di lei. Tre voci silenziose raccontano senza parole alcuni loro pensieri.

La prima. &ldquo;Far&ograve; bene o non far&ograve; bene a lasciare il bambino da solo? Avranno cura di lui qui, come ce l&rsquo;ho avuta io nei suoi confronti, nei primi mesi della sua vita?&rdquo;. 
La seconda. &ldquo;Devo sforzarmi di non essere precipitosa. Sorrido, con calma. Il piccolo sentir&agrave; che non voglio fargli del male, che lo aiuter&ograve; quando si sentir&agrave; abbandonato?&rdquo;. 
La terza. &ldquo;Mi tengo stretto al collo della mamma. Perch&eacute; devo staccarmi per andare con quella signora?&rdquo;. 
Una mamma, un&rsquo;educatrice, un bambino: pensieri, sensazioni, emozioni, ricordi che si articolano in tre modi diversi. Sono pensieri senza parole, sono storie che potrebbero essere narrate in un altro momento, anche dopo anni, e che potrebbero avere come titolo &ldquo;La prima volta che&hellip;&rdquo;. 
In tutte e tre queste storie prevale il sentimento dell&rsquo;incertezza. Ho fatto bene? Ce la far&ograve;? Cosa succeder&agrave;? Le storie di vita si vengono facendo e non si concludono mai. L&rsquo;accoglienza al nido &egrave; una storia aperta, dove l&rsquo;incertezza pu&ograve; essere mitigata e controllata. Il dizionario pedagogico di ogni educatore contiene le parole fiducia, ascolto, empatia, cooperazione, cura&hellip; In una parola, accoglienza. 
Accogliere &egrave; costruire delle storie assieme, cercando di allentare le incertezze e le difese, provando a mettersi &ldquo;nei panni&rdquo; degli interlocutori. Il mestiere dell&rsquo;educatore prevede questi passaggi, quello di genitore o quello di bambino non li prevede. O per lo meno non c&rsquo;&egrave; stato per loro un lavoro di formazione relazionale per diventare esperti di comunicazione e di educazione.

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Predisporre l&rsquo;accoglienza si dimostra pi&ugrave; complesso di quanto potrebbe immaginare chi non &egrave; del mestiere.
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L&rsquo; accoglienza al nido &egrave; anche un&rsquo;accoglienza di storie. Sono le storie delle persone che vi abitano, le storie degli oggetti che lo arredano, le storie degli ambienti di vita, interni ed esterni. Ogni persona &egrave; portatrice di tante storie: quelle vissute, quelle ascoltate, quelle pensate o immaginate, quelle che riguardano il passato o quelle rivolte al futuro. Accogliere le storie &egrave; come raccogliere in s&eacute; le memorie, le aspirazioni, le preoccupazioni che hanno agitato altri o che sono ancora presenti in noi. &ldquo;La prima volta che&hellip;&rdquo; potrebbe essere il titolo della storia di un&rsquo;accoglienza, vissuta o ricordata da persone diverse. Ascoltiamo tre voci che ci raccontano la prima volta che per loro &egrave; iniziata l&rsquo;esperienza dell&rsquo;accoglienza in un nido.

Nell&rsquo;ingresso del nido ci sono foto e immagini, gradevoli a vedere. Ci sono indicazioni scritte e una frase che d&agrave; il benvenuto. Una mamma arriva con il bambino in braccio e lo deve allattare prima di lasciarlo. Si guarda intorno: c&rsquo;&egrave; una panchina adatta ai bambini. Si siede l&igrave;, sistemandosi alla meglio, e compie il suo rituale amorevole. 
La panchina &egrave; troppo stretta per un adulto ma la madre trova il modo di arrangiarsi. Chi avrebbe dovuto pensare a mettere un sedile adatto anche agli adulti? Dove comincia lo spazio educativo al nido? Nell&rsquo;ingresso? Nel vialetto che si percorre per entrare? Al cancello esterno? 
L&rsquo;accoglienza &egrave; anche prevedere le situazioni di incertezza e di necessit&agrave; degli altri, &egrave; predisporre materialine contesti perch&eacute; vi sia benessere, &egrave; far sentire ai genitori e ai parenti dei bambini che anche loro sono stati pensati. Sono convinzioni semplici da enunciare, ma anche complesse quando si devono concretizzare nel quotidiano, in particolari che a un occhio inesperto potrebbero sembrare di scarsa importanza. 
Per esempio prevedere una seduta per una mamma che allatta. Il particolare contiene il generale: potrebbe essere un difficile motto da mettere in pratica.

Storie di accoglienza