Articoli
Prendersi cura di sé come valore professionale
Cercare occasioni per aprire uno spazio di ascolto e di pensiero su noi stessi

Il lavoro educativo al nido è fortemente connotato nella dimensione della cura. Occuparsi degli albori della vita, di quei primi mesi e anni preziosi e fondanti il Sé è un compito alto. Richiede agli adulti di gettare le basi per un’educazione “integrale”, in grado di rendere il bambino capace di fiorire nel suo “essere” e nel suo “esserci nel mondo”, ricordando che la cura non è solo limitata al corpo, ma è anche dell’anima, “diffusa nel corpo” (Luigina Mortari), che noi tocchiamo ogni volta che entriamo in relazione con i bambini.
Quanto ciascuno di noi si rende disponibile, così interamente, a prendersi a cuore la vita occupandosi dei bambini? E come dare corpo a tale disponibilità?
IL SAPER ESSERE
A volte, attraversiamo le nostre giornate nei servizi avendo in mente prima di tutto il “fare”: che cosa proporre ai piccoli, quali attività organizzare per loro, come essere aderenti ai protocolli sanitari.
Ma l’agire educativo non si esprime solo con il “saper fare”, anzi è il “saper essere” a essere cruciale per il nostro lavoro. Di fatto, curiamo l’altro attraverso il nostro stesso essere, secondo la postura che decidiamo, più o meno consapevolmente, di abitare nella nostra vita e che rappresenta il modo in cui navighiamo il mare dell’esistere.
E poiché il nostro lavoro è fondato sulla relazione, non possiamo che prenderci cura dei bambini a partire da come noi stessi siamo nel mondo: i piccoli ci osservano, colgono i nostri moti interiori, la nostra visione della realtà, i nostri pensieri, gesti, discorsi. Come scriveva Sant’Ignazio di Antiochia: “si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è”.
LA FRENESIA DELL’ORA E SUBITO
E, dunque, chi siamo noi?
È una domanda esistenziale che attraversa l’essere umano dalla notte dei tempi, ma che talvolta oggi rischia di essere meno presente nella nostra mente e nel nostro cuore. Abbiamo poco tempo per fermarci a pensare, a riflettere. La frenesia delle giornate e il carico di lavoro quotidiano, i social media che assorbono le nostre energie, la pandemia che sfida la nostra capacità di resilienza, possono essere elementi che, a tratti, ci portano a vivere più in superficie, impegnati a cercare di concludere le nostre giornate, a smaltire le incombenze quotidiane.
Questo, però, nel lavoro di cura, si accompagna al rischio di agire in modo “meccanico” e il cuore, in questo caso, potrebbe non trovare un luogo entro cui albergare. Il cuore ha bisogno di calore, lentezza, accoglienza profonda per potersi aprire e rendersi manifesto. Nella velocità, nella frenesia, fatica a emergere e il sentire, nostro e dell’altro, più difficilmente può essere ascoltato.
UN TEMPO PER RIFLETTERE
All’interno dei servizi, ancor di più oggi a causa del momento emergenziale, i gruppi educativi possono avere difficoltà nel trovare un tempo lento, dedicato a rendere pensabili le pratiche quotidiane e a riflettere sui significati del proprio agire, anche dal punto di vista dei bambini. Il carico emotivo per i professionisti dell’educazione, soprattutto quest’anno, è molto grande e non sempre si riesce a trovare quello spazio mentale che può nutrire e vitalizzare le prassi affinché sia possibile “presidiarne” la qualità e tenere alta la progettualità.
Come fare? In che modo gli educatori possono mantenere saldo il timone affinché la contingenza non li travolga con il rischio di perdere la rotta del proprio agire? Come tenere insieme il dichiarato e l’agito, affinché le prassi possano il più possibile aderire ed essere coerenti al progetto educativo?
La cura è il modo di essere attraverso il quale una persona si rende disponibile a prendersi a cuore la vita (Luigina Mortari)
RIPARTIRE DA NOI STESSI
Sono diverse le strade possibili che potremmo prendere in considerazione. Una via, che qui focalizzo, è quella di aprire uno spazio di ascolto e di pensiero per noi stessi, in primis all’interno dei collettivi, ma anche individualmente, per chiedersi e dirsi come stiamo, per nutrire la nostra umanità, la nostra preziosità come soggetti unici, capaci di portare una propria nota, un proprio colore, insostituibile, all’interno dei servizi e nel rapporto con i bambini. Si tratta, a mio avviso, di considerare la cura di sé come valore professionale da tenere al centro dei progetti e delle pratiche, nella consapevolezza che curare sé stessi sia anche, contemporaneamente, curare l’altro da sé in modo sempre più consapevole, riflettuto e in contatto con il qui e ora dell’essere e dell’esperienza, sia dei bambini che degli adulti.