Alfabetieri del mondo: seconda puntata

Che lingua usiamo?  Due attività per la classe

Il potere delle chiacchiere

Ripensiamo l'accoglienza

Un bambino arrivato dal Marocco il mese scorso, con genitori che non conoscono una parola di italiano, comincia a frequentare la quarta elementare. Le maestre si organizzano e, poiché la classe è abituata a operare in modo attivo e collaborativo, mettono in atto un gran lavoro in cui tutti sono coinvolti nell’insegnare l’italiano al nuovo compagno. Gli scambi sono reciproci perché dopo una settimana tutte le bambine e bambini della classe aggiungono alla data i giorni della settimana scritti in arabo e cominciano a conoscere anche i nomi dei principali colori in quella lingua dalle lettere così particolari.Con grande autonomia i compagni scoprono strategie per fare inventare anche a lui piccole storie e gli parlano utilizzando immagini per farsi capire. Nella classe c’è un clima festoso e accogliente perché l’apparente ostacolo dell’avere un nuovo compagno che non comprende la lingua diventa occasione creativa per tutte e tutti e stimola riflessioni interessanti sulla lingua, su come si impara una lingua diversa dalla propria.Non interrompere la relazione direttaLunedì 15 marzo tutto si interrompe bruscamente perché le scuole vengono chiuse, nonostante la regione sia arancione.&nbsp; La maestra prevalente si interroga su come non interrompere una relazione diretta con il bambino, fondamentale in questo momento, e decide che almeno due giorni a settimana sarà a scuola con lui, insieme ad altri tre bambini. Da lì, insieme, si collegheranno con i compagni a casa. È una delle mille soluzioni possibili che ogni dirigente scolastico, ogni scuola, ogni docente è costretto a inventarsi, spesso in fretta e furia, per fare fronte nel modo più sensato possibile ad allontanamenti rischiosi e fortemente discriminanti.&nbsp; &nbsp; Per fare fronte alle nuove chiusure delle scuole ci vuole coraggio, creatività, buon senso e una grande capacità di collaborare tra insegnanti. &nbsp; Ora, per la recrudescenza del Covid 19, di nuovo 7 milioni di studenti sono costretti a restare a casa e nella maggioranza delle regioni sono state chiuse anche le scuole primarie e dell’infanzia. È un dramma nel dramma, perché ormai sappiamo bene che la didattica on-line per troppi non funziona e aumenta in modo esponenziale disagi, difficoltà ed esclusioni già presenti nella scuola.Alla ricerca di soluzioni per arginare i danniTante e tanti insegnanti e dirigenti di buona volontà da tempo si sono armati di coraggio e stanno sperimentando tutte le soluzioni possibili per arginare il danno. Lo hanno cominciato a fare la scorsa primavera distribuendo tablet e device a chi non li aveva grazie a un contributo del Ministero, a volte hanno collaborato con operatori sociali per disporre aiuti alle famiglie, in alcuni casi sostenendo in casa alunni con disabilità, in altri riunendo piccoli gruppi di bambine e bambini in spazi protetti dove collegarsi con più tranquillità, laddove in casa non c’erano connessioni o condizioni minime di quiete e sostegno adulto per i più piccoli, per garantire il contatto a distanza.&nbsp; Non c’è una ricetta unicaDi nuovo, con grande sforzo, molte e molti insegnanti di sostegno e curricolari stanno sperimentando in queste settimane possibilità di intreccio tra distanza e presenza difficili da mettere in atto, ma a cui va prestata grande attenzione, perché affrontano situazioni e sollevano questioni molto delicate.&nbsp; &nbsp; Una nota del Ministero del 12 marzo ribadisce che “resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso dei laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”.&nbsp; &nbsp; Alla conferma di questa apertura si aggiunge una ulteriore possibilità: “Laddove per il singolo caso ricorrano le condizioni tracciate nel citato articolo 43 le stesse istituzioni scolastiche non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni in parola, ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione valuteranno di coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione un gruppo classe – secondo metodi e strumenti autonomamente stabiliti e che ne consentano la completa rotazione in un tempo definito – con i quali gli studenti BES possano continuare a sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente non docente presente a scuola”. L’impegno a non discriminare nessunoNon è possibile stabilire una regola generale che valga per tutte le situazioni. “Nulla è più ingiusto che far le parti uguali tra disuguali”, scrivevano a Barbiana, e qui si tratta davvero di esaminare caso per caso, ragionare con coraggio e apertura mentale, per ricercare e mettere in atto soluzioni che rispondano al principio fondamentale di garantire la migliore scuola possibile prima di tutto ai più fragili, perché più colpiti dalla crisi.&nbsp; Ci sono portatori di disabilità per cui uscire di casa e venire a scuola è fondamentale elemento di benessere a qualsiasi condizione, altri per cui è essenziale incontrare in presenza un piccolo gruppo di pari. Posizioni ideologiche preconcette o semplificazioni non aiutano la ricerca di soluzioni.&nbsp;Tutto è difficilissimo in questo frangente e sappiamo che non c’è piena inclusione se non si lavora sul contesto, ma il problema non riguarda i soli insegnanti di sostegno, perché tutti i docenti devono essere ugualmente responsabili riguardo al non discriminare nessuno. E in emergenza, talvolta, si possono trovare soluzioni mai sperimentate in precedenza, che si rivelano efficaci nel limitare il danno.Importante è chiedere l’impegno a tutti perché le scuole siano chiuse il meno tempo possibile e, soprattutto, che le decisioni non siano demandate ai Presidenti delle Regioni che, a pari condizioni, compiono spesso scelte divergenti. Il diritto costituzionale all’istruzione, fatte salve le necessarie precauzioni sanitarie, credo debba essere garantito a livello nazionale.

Nell’intreccio tra distanza e presenza si può fare qualcosa per i più fragili?

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