Qualche settimana fa Franco Moretti, critico letterario di fama internazionale che ha insegnato in diverse università americane, in un’intervista pubblicata su La Repubblica, alla domanda su come fosse giunto a quella che ha chiamato critica computazionale, risponde:

“La prima spinta mi venne dall’incontro intellettuale più importante della mia vita, quello con Emma Castelnuovo, insegnante di matematica alle scuole medie. Mi fece scoprire il fascino del pensiero fantasioso ma anche esatto. E come nelle scienze sociali e naturali, l’audacia di una teoria a volte si accompagna all’eleganza con cui è formulata”.

Questa sua risposta mi ha commosso e fatto riflettere.

Mi ha commosso perché anche io sono stato allievo di Emma Castelnuovo e penso che in quei tre anni con lei abbia preso forma il mio modo di ragionare.

Mi ha fatto riflettere perché la scuola ha spesso il vizio di tagliare a pezzi il sapere come fosse cosa morta, che si può sezionare con un bisturi a nostro piacimento senza farlo soffrire.

Rimescolamenti creativi

L’idea che la matematica possa aiutare a intendere, interpretare e amare un testo letterario è lontana, purtroppo, dai modi in cui ci formiamo noi insegnanti. E spesso è lontana anche dalla cultura che ci costruiamo da noi, successivamente, mentre insegniamo.

Mi piacerebbe allora proporre, per provocare un po’ di rimescolamenti creativi soprattutto nelle scuola superiori di primo e secondo grado, alle e agli insegnanti di lingue, arte e lettere letture di libri di fisica e matematica, e ai docenti di materie scientifiche un po’ di sana e grande letteratura.

Viviamo in un mondo in cui avvengono sconfinamenti in ogni campo sul terreno della scienza, della letteratura e dell’arte, mentre la vita concreta e i corpi degli umani subiscono sorti del tutto differenti. Da una parte noi privilegiati che ci possiamo muovere agilmente tra i continenti per lavoro, interessi o turismo, dall’altra moltitudini di donne e uomini che per sfuggire a siccità, povertà e conflitti rischiano la morte nei loro costosissimi viaggi per terra e per mare.

In questi mesi in cui tutto è stato rimesso in forse a causa della pandemia, sarebbe assai utile tornare a ripensare alla natura dei confini in cui tutti siamo in qualche modo imprigionati, anche se in modi e con sofferenze assai diverse.

Nel tempo dei confinamenti educhiamoci a sconfinare

Gli arbitrari confini tra le nazioni, i più sottili confini tra saperi e conoscenze, gli ingiusti confini tra chi può e chi non può disporre in modo libero del proprio corpo nel grande spazio del pianeta che ci ospita.

E forse, allora, l’attitudine a varcare i confini dovrebbe diventare competenza e capacità da costruire ogni giorno, poco a poco, perché la scuola non può rinunciare ad assolvere la sua funzione vitale, che sta nell’educare ed educarci tutte e tutti ai più audaci sconfinamenti a partire dal primo e più difficile, che sta nel provare almeno un po’ a uscire da noi stessi.

Penso che Emma Castelnuovo sarebbe stata molto felice nell’ascoltare le parole del suo vecchio allievo ora letterato, perché confermava un’idea fortemente radicata in lei: che insegnare bene la matematica non ha l’obiettivo di far comprendere solo numeri, figure e teoremi, ma formarci come esseri umani aperti e attenti, capaci di incuriosirci agli altri e di godere della bellezza e delle sue forme in ogni campo del sapere.