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Insegnare stanca: capire il burn out
Le cause, gli effetti in ambito professionale e le ricadute psicologiche di un fenomeno ancora poco studiato

Il burn out è un fenomeno ancora poco indagato nelle sue cause ed effetti in ambito professionale e nelle ricadute psicologiche sul singolo individuo. Quando si parla della necessità di mettere in atto, a scuola, atteggiamenti di ascolto e cura che costituiscono l’essenza dell’educazione, si tende a pensare esclusivamente ai bambini. Raramente questi stessi comportamenti sono riconosciuti come necessari anche per gli operatori di questa istituzione.
I bambini sono cambiati. Cosa è successo?
Non è alla scuola che dobbiamo rivolgerci per capire le sfide epocali e inedite che un docente deve affrontare oggi, già alla scuola dell’infanzia. I copioni scolastici sono sempre troppo ristretti. È alla vita ‘là fuori’ che si deve guardare per mettere a fuoco alcuni cambiamenti sociali macroscopici e inediti che hanno trovato i docenti impreparati, e per i quali si chiedono alla scuola risposte nuove. Eccone alcuni che hanno implicato evidenti conseguenze sulla vita scolastica aumentando la pressione sul docente in termini di richiesta sociale, stress professionale educativo e psicologico.
- L’infanzia nei numeri: L’inesorabile decremento demografico ha reso i bambini sempre più rari e preziosi, circondati da moltissimi adulti, pieni di aspettative, e pochi coetanei.
- Nella società attuale, come mai prima, si è incrinata l’alleanza fra gli adulti: il patto che legava automaticamente le generazioni della stessa età, in virtù della percezione di un comune mandato educativo, è venuto meno, con gravi conseguenze sulla coerenza di modelli a cui i ragazzi sono esposti. Se, fino a pochi anni fa, il solo fatto di essere adulti garantiva un’automatica asimmetria di nei rapporti coi bambini, è evidente che, oggi, qualsiasi forma di autorità o autorevolezza non è scontata, ma deve essere faticosamente conquistata.
- La famiglia affettiva, ha preso il posto di quella normativa. Se, nel passato, l’educazione riservava molta attenzione all’iniziazione alle norme del vivere comune, l’attenzione è ora spostata, nelle intenzione di molti genitori, al benessere dei figli.
- Il futuro, essenziale per ogni generazione come immaginario per potere crescere, ha perso il potere di fascinazione che ha storicamente accompagnato le generazioni, diventando non più promessa di emancipazione e cambiamento positivo, ma minaccia gravida di incertezze e pericoli. Diventare grandi non è mai stato così difficile e, perciò, poco desiderabile.
- La scuola, non più in grado di assicurare forme di emancipazione e mobilità sociale, non più mezzo privilegiato per garantire lavoro o status economico, ha perso credibilità cedendo il posto a e scuole parallele fortemente seduttive (fra le quali la rete e le nuove tecnologie) capaci di garantire informazioni e conoscenze.
- A differenza di quanto avviene con le tante informazioni ‘fast food’ spesso acquisite dai nuovi mezzi tecnologici senza fatica e in tempi virtuali rapidissimi, la scuola è anche e inevitabilmente il luogo della fatica e della costruzione del sapere che implica, per chi apprende, frustrazioni, insuccessi, capacità di perseverare negli sforzi e di assumersi qualche responsabilità. Forme di resilienza, costruite gradualmente, a cui i ragazzi non sono più abituati. È stato giustamente osservato che, spesso, si insegna alle nuove generazioni a crescere ‘contro’ qualcuno e non ‘dentro di sé’, bloccando inevitabilmente autonomia e crescita autonoma.
È evidente, se si pensa a questi cambiamenti che sono solo alcuni fra i tanti della contemporaneità, che il docente, spesso privo di riconoscimento sociale, credibilità e fiducia che sono alla base della relazione educativa deve, per così dire, ricostruire il proprio ruolo guadagnando faticosamente forme di credibilità davanti i bambini e a famiglie sempre più aggressive e inclini a vedere negli operatori scolastici non alleati, ma la controparte con cui relazionarsi.
Egli deve cioè, ricostruire o proteggere la propria identità professionale, socialmente svilita, in solitudine, spesso lontano da quegli stessi colleghi e che, pur soffrendo dei suoi stessi mali, non riescono a fare fronte comune né ad affrontarli a livello istituzionale. Va detto inoltre, per amore di giustizia, che non tutte le critiche mosse dai genitori al singolo docente o al sistema sono infondate o distruttive, e che la scuola stessa è spesso restia a cambiamenti anche quando ne avrebbe le condizioni.
A questo proposito è interessante, per far luce sulle difficoltà del rapporto scuola-famiglia, (riconosciuto da molti insegnanti come un elemento fra i più frustranti e faticosi da gestire) conoscere le ricorrenti reciproche lamentele che docenti e genitori si rivolgono. Durante la mia carriera di formatrice, ho cercato di raccoglierne alcune, che elenco sotto, sorpresa dalle affinità che accomunano i pareri degli uni e degli altri.
Lamentele nei confronti dei genitori nelle parole dei docenti
"Iper proteggono e viziano i figli….Non li lasciano crescere, si sostituiscono a loro"
"Non offrono riferimenti né coerenza educativa. Sono troppo occupati e assenti"
"Si lasciano ricattare dai figli e crescono dei maleducati"
"Riempiono i figli di cose e oggetti materiali, senza dal loro l’essenziale per crescere"
"Non hanno fiducia nella scuola e credono di sapere più di noi insegnanti….Vorrebbero insegnarci il nostro mestiere"
"Non accettano i limiti dei propri figli"
"Fanno sempre confronti (fra gli alunni, fra i docenti)"
"Non riconoscono il valore dell’istruzione e della scuola".
Lamentele nei confronti degli insegnanti nelle parole dei genitori
"Spesso non sono sufficientemente preparati né competenti"
"Danno troppi compiti e consegne che non spiegano adeguatamente"
"Fanno preferenze e non sono imparziali nella valutazione"
"Non capiscono a fondo i ragazzi e i loro problemi, pensano esclusivamente al ‘Programma’"
"Non si sono adeguati ai tempi mutati e insegnano ancora come cento anni fa"
"Se succedono guai in classe, se la prendono con tutti e non coi veri colpevoli"
"Non danno il buon esempio, pretendono che i ragazzi rispettino regole che essi infrangono, per primi (es: sono al cellulare in classe)"
Sarebbe interessante chiedersi cosa accomuna queste reciproche disconferme ed avere, in entrambi i gruppi, l’umiltà di interrogarsi sulle possibili reciproche ragioni, senza fretta di trarre conclusioni, come facciamo quando, il sentirci criticati e giudicati, aziona automaticamente reazioni di difesa.
Fasi e conseguenze di un fenomeno controverso
Come ci capita spesso di dire ai bambini, le parole sono micro narrazioni ed è a queste che ci si può rifare per mettere a fuoco concetti complessi. Il termine stesso (burn-out), rende ragione dell’insieme complesso di fenomeni professionali e psichici che caratterizzano l’intervento educativo dell’operatore sociale e dell'insegnante. Se, infatti, è necessario per queste professioni un coinvolgimento emotivo capace di tradursi in atteggiamenti empatici, è altresì indispensabile che questa stessa passione possa trovare occasioni per auto rigenerarsi, così che la sua ambivalenza non si traduca in potenziale auto distruttività personale e disagio professionale. È insito infatti in molte professioni di carattere sociale e psicologico, il rischio di essere sovrastati dalla complessità dell’oggetto stesso di cui ci si occupa, e ciò è doppiamente vero quando si tratta di soggetti coi quali si dialoga e ci si relaziona con profondo senso di partecipazione e affezione umana oltre che lavorativa, siano essi studenti o ragazzi problematici..
Occorre perciò divenire consapevoli della pericolosità di alcuni stereotipi che aleggiano intorno alle professionalità sociali e alla figura dell’insegnante. Spesso, infatti, si enfatizza eccessivamente la componente “altruistica e filantropica” di alcune professioni, sottovalutandone la complessità, come se motivazione e interesse all’altro fossero di per sé condizioni sufficienti per sopportare lo sforzo, la fatica e spesso la frustrazione, generate dalle dinamiche interpersonali. A riprova di questa tendenza, penso sia capitato a tutti di sentir dire che ‘Insegnare è una missione’ oppure che, soprattutto coi bambini piccoli, ‘L’insegnate dovrebbe essere una seconda mamma’. Si tratta di affermazioni che dovrebbero essere indagate nella loro pericolosa ambiguità, perché le parole del senso comune plasmano potentemente l’immaginario collettivo.
Va quindi premesso che è difficile, anche per i professionisti più attenti, prendersi cura e accettare la sfida della complessità relazionale, senza prendersi contemporaneamente cura di se stessi, senza accettare e riconoscere il proprio personale bisogno di supporto, perché il destino delle relazioni di aiuto è realmente quello di un legame duplice e ambivalente che chiede di lavorare primariamente e costantemente su di sé, per potere successivamente intervenire su altri.
L’attenzione ai fenomeni di disagio professionale, rimanda perciò ad un esame di realtà che interroga sia l’etica professionale che il cuore e la psiche di chi cura ed è curato, in uno sforzo continuo di potenziamento delle proprie risorse, ma anche di umiltà e considerazione dei propri limiti, debolezze, fragilità. Occorrono luoghi in cui potere parlare del proprio malessere professionale, sentire che questo viene riconosciuto, che è possibile abbandonare alcune rigidità dei copioni scolastici, accettare di non essere infallibili.
Occuparsi di educazione e alfabetizzazione, non è frutto di un’estemporanea e generica generosità affettiva, ma del paziente dialogo tra razionalità ed emotività, nonché di competenze plurime e solida professionalità. A proposito di quest’ultimo termine, sono ancora molto scarsi gli studi dedicati alla complessità del profilo del docente: una professione che presuppone competenze plurime, da metter e in campo contemporaneamente e per le quali i docenti non hanno ricevuto e non ricevono, adeguata formazione iniziale e in servizio. Sono molti i testi che elencano come il buon docente dovrebbe essere, senza proporre attività concrete e contesti formativi che indichino come si costruiscono queste competenze, con quali sostegni e con quali evidenze di efficacia.
Nella realtà concreta, si diventa ancora insegnanti sul campo, per ‘immersione e contagio’, nella migliore delle ipotesi copiando buoni modelli, sottovalutando che le competenze professionali dovrebbero prevedere, già in fase iniziale, forme di supporto e consapevolezza delle ‘zone d’ombra’ della professione, compresa l’inevitabile aggressività, generata nel docente da ripetute frustrazioni irrisolte, con cui deve fare i conti nell’ambiente scolastico.
Ciò che balza immediatamente agli occhi, leggendo gli autori che si sono occupati di burn out è il percorso simile dei soggetti coinvolti che passano comunemente da forti aspettative iniziali sul lavoro, a lento e progressivo stato di impotenza e senso di rabbia e inadeguatezza.
Qui un questionario di rilevazione del burnout nei docenti di scuola primaria