<ul><li>M. Lodi, C’è speranza se questo accade al Vho, Einaudi, 1963</li><li>M. Lodi, Guida al mestiere di maestro, Einaudi, 1982&nbsp;</li><li>G. Chiosso, La "lezione" del maestro Lodi è destinata a finire? IlSussidiario.net marzo 2014&nbsp;</li><li>&nbsp;E. Chiari, La classe del maestro Mario Lodi, grillonews.it, 2008&nbsp;</li><li>Il maestro Mario Lodi: le sue opere, i suoi insegnamenti www.casadelleartiedelgioco.it&nbsp;</li><li>Tullio De Mauro ricorda Mario Lodi: "Addio al maestro che giocava" Repubblica.it, marzo 2014&nbsp;</li></ul>

Mario Lodi lo aveva intuito nell’ottobre di tanti anni fa, nel 1959, ad esser precisi: i minuti iniziali del primo giorno di scuola sono critici, perché occorre stabilire subito una comunicativa coi bambini, spesso muti e imbarazzati davanti a uno sconosciuto oppure inquieti, impauriti, magari con gli occhi ancora pieni di lacrime. Ebbene, in quel lontano mese d’ottobre il maestro Lodi, uno dei più influenti pedagoghi del secolo breve, aveva avuto un’idea semplice ma decisiva, la chiave per scardinare il grimaldello del debutto: sbirciare insieme ai bimbi il pacco della cancelleria, l’allora pacco del “fabbisogno”, e fingere che il suo contenuto – gessetti colorati, inchiostro, matite rosse e blu – fosse in realtà composto da zucchero filato, vino e altri strani o curiosi oggetti. I bimbi così si erano sciolti, l’imbarazzo era terminato e la prima lezione si era svolta serenamente, riservando alle cose il giusto nome e la corretta collocazione nel contesto comunicativo, che poi non è che uno dei passaggi didattici più urgenti e decisivi.&nbsp;Un interprete della ricostruzione dell’Italia del dopoguerra Maestro, scrittore, pedagogista, Mario Lodi ha interpretato culturalmente e moralmente la ricostruzione dell’Italia del dopoguerra, proponendo i più elevati momenti di riflessione pedagogica sul mondo della scuola. Nel suo costante impegno con bambini e bambine e attraverso la loro meticolosa osservazione, Mario Lodi ha intuito il valore più profondo della scuola, delle sue sfumature e delle sue metodologie; grazie alla sua preziosa e indefessa esperienza, anche in Italia è emersa la consapevolezza che il bambino è portatore di una vera e propria cultura, che ogni società civile deve saper intuire e valorizzare. Nell’instancabile attività di educatore, scrittore e poeta – disse di lui Tullio De Mauro - Lodi ha tenuto ben a mente due punti fermi: la centralità del bambino e i valori della Costituzione; la straordinarietà del suo impegno educativo e civile, infatti, sempre appassionato e puntiglioso, ha trasferito nelle sue pagine i valori di docente e letterato.&nbsp;Il maestro nella prassi didattico-educativaNella prassi didattico-educativa, il celebre maestro di Vho di Piadena coinvolgeva i suoi giovani allievi in ricerche multidirezionali, mescolando e stratificando esperienze quotidiane e conoscenze tali da poter costruire, col tempo, materiali scritti oppure testi da ricordare e rimeditare. Un&nbsp;grande punto di forza di Lodi, infatti, è stato saper raccontare e, in particolare, saper argomentare a fondo le attività concrete svolte in classe nel corso degli anni e registrate attraverso l’osservazione dei propri allievi (E. Chiari, 2008). Del resto gli strumenti del bambino sono i sensi e la mente: con i primi raccoglie i dati della realtà - i rumori, le forme, i colori, le voci - con la seconda, invece, confronta, riflette, ricorda. La sua metodologia operativa è efficace poiché analizza dati, li confronta, li seleziona e finisce per ricavare ipotesi e sintesi.&nbsp;L’idea di una scuola equa e democraticaOra, l’obiettivo di ogni docente (e di ogni educatore) è condurre bambini e bambine verso la conquista di concetti più astratti e potenti, che possano fornire basi concrete per affrontare il mondo e le difficoltà. Tuttavia il successo di tale obiettivo non dipende dalla memorizzazione o dalla ripetizione di formule, bensì è raggiungibile per mezzo dell’esperienza, del dialogo e della riflessione (M. Lodi, 1982). La centralità del discente, si diceva poco sopra, e i valori costituzionali: nel momento in cui il bambino costruisce il proprio sapere attraverso lo stimolo dell’insegnante ecco che si concretizza la pietra angolare della pedagogia di Lodi, ovvero l’idea di una scuola equa e democratica. Ma c’è di più: a scuola l’“io” deve diventare “noi”, in modo da rendere l’intervento didattico ed educativo realmente inclusivo; secondo il maestro di Vho quest’evoluzione, necessaria e centrale, può avvenire solo col dialogo e con la cooperazione.La scelta di regole condivise nella classeInfatti i (futuri) cittadini dell’aula scolastica hanno bisogno di darsi delle norme condivise, perché altrimenti regnerebbero caos e prevaricazione: del resto discutere insieme le regole, e condividerle democraticamente, significa accettarle. Spesso, purtroppo – e la scuola odierna, sconvolta dalla pandemia, con le sue velenose diatribe metodologiche lo dimostra - quando si ragiona su come cambiare la didattica si tende a preferire un approccio astratto, quasi esemplare.&nbsp;Al contrario, e dalla lezione di Mario Lodi lo si evince chiaramente, il discente recepisce meglio partendo dal basso, dal suo punto di vista, dalle sue esigenze concrete e irrinunciabili. Questa è un’idea di scuola che stabilisce le sue fondamenta nella realtà e recepisce quel concetto di classe come un “fare insieme” che don Milani applicò a Barbiana. Sul piano squisitamente metodologico le idee di Lodi (e di Lorenzo Milani), che s’inseriscono nell’alveo di quell’impostazione costruttivistica che ha nella scuola del fare di Célestin Freinet il suo punto di riferimento, hanno stimolato un cambiamento radicale: da un approccio “trasmettitore” di cultura, di principi e di valori, si passa alla scoperta dei valori partendo dalle motivazioni della vita. I bambini, infatti, arrivano in classe già con un sapere, poiché esplorando il mondo hanno imparato a osservare attentamente e, di conseguenza, hanno maturato una considerevole mole di conoscenze.&nbsp;Il bambino, la sua esperienza e le sue esigenze al centro dell'azioneQuesta è la scaturigine di ogni approccio didattico che abbia la pretesa di essere efficace: non bisogna ignorare le cose che i discenti hanno sperimentato autonomamente, occorre piuttosto replicare il metodo con cui le hanno apprese, il quale a sua volta poggia sul confronto, sul dialogo continuo e sulla riflessione metacognitiva. Quando si ragiona di cambiare la scuola, scriveva Mario Lodi (1982), lo si fa sempre partendo da un’idea astratta e quando si insegna si tende a farlo dall’alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo apprendere prima della scuola. Ecco il passaggio chiave: il bambino, la sua esperienza e le sue esigenze al centro, mentre la scuola e l’insegnante quali facilitatori e veicoli d’apprendimento. Perché, per dirla col Priore di Barbiana, più che preoccuparsi di cosa bisogna fare per far scuola, occorre (oggi, come allora) preoccuparsi di come bisogna essere per fare scuola. È un’idea concreta di scuola che il maestro Lodi ha messo in pratica per una vita.&nbsp;

100 ANNI DI MARIO LODI

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C’è speranza, perché è accaduto: l’eredità di Mario Lodi