Star bene a scuola: l'empatia dell'insegnante

Come funziona il cervello emotivo dei bambini?

Che cosa comunica il nostro sguardo? - “Pillole” per star bene a scuola

Davide Tamagnini: il mestiere di insegnante

La Gioia di ricominciare

Ciao, finalmente!

Eccoci, ci ritroviamo!

“Domani non vado a scuola, ci torno! Ho una gran voglia di rivedere tutti!” mi ha detto una studentessa alla vigilia di questo nuovo anno scolastico.“Purtroppo, oggi è stato noioso: ogni insegnante che è arrivato ci ha ripetuto le regole, tutti le stesse, e noi sempre con la mascherina, distanti, in silenzio. Speriamo non sia sempre così!”.Le parole di quel primo giorno sono il frutto di aspettative tradite, sono un appello ancora valido, anche a distanza di tempo, per riflettere su quanto abbiamo perso e su ciò che non possiamo più sprecare: il ritorno in presenza a scuola è un invito all’incontro, al dialogo, a vivere quella cornice di senso entro la quale ci si riconosce persone e ci si stimola reciprocamente a crescere.Oggi che l’evoluzione pandemica ha ridimensionato questa possibilità di incontro, l’esperienza di ascolto e confronto non è rimandabile, essendo una costante della relazione di insegnamento e apprendimento. Partire da loro, dalle loro idee: se era così importante parlare di regole, si poteva chiedere agli studenti di provare a costruirle insieme e poi metterle in dialogo con quelle decise dall’istituto, sarebbe stato un riconoscimento di quanto anche loro hanno vissuto in questi mesi; sarebbero emerse le loro paure e i loro desideri su questo ritorno; sarebbe stata scuola. Ribaltiamo la prospettivaRicordo che nella classe dove ho insegnato una regola era proprio ascoltare, ascoltarsi. Quella scritta sul muro era un monito, un impegno, uno stimolo a non lasciar cadere la tensione vitale che rende ogni lezione diversa, aperta a tutti, a tutto, anche all’imprevisto.Spesso a scuola una regola analoga che campeggia nelle aule è quella del silenzio, e per raggiungerlo, talvolta, ci si trova costretti a reclamarlo a gran voce oppure a giocare al “gioco del silenzio”! Un ribaltamento di prospettiva, in cui si assume la parola come problema, l’effetto diviene causa.Questa confusione modifica radicalmente l’esperienza di partecipazione in classe: c’è paura di esprimersi ed è meglio non intervenire. Può essere che questa richiesta, a cui, negli anni, ci si conforma più o meno direttamente, sia alla base di un’incapacità diffusa nel mondo adolescenziale e adulto di dialogare, di esprimere il proprio punto di vista e accogliere quello altrui e, nel caso, gestire pacificamente i conflitti?Osserviamo per capire&nbsp;La centralità della parola non deve farci perdere di vista che a scuola si ascolta anche con gli occhi: osservare è un modo di ascoltare. La materialità dei corpi, le loro posture, l’uso degli spazi, le dinamiche che si reggono su detti e non detti.Osservare ci dà la possibilità di vedere la scena dentro la quale la sonorità delle parole, o la loro assenza, prende forma. Osservare è contestualizzare e comprendere il significato testuale che va sempre oltre quello letterale. Un buon osservatore è colui che non dimentica di essere anch’egli parte della scena: la nostra interpretazione e, dunque, le nostre innumerevoli possibilità di risposta dipendono dal nostro punto di vista. Dobbiamo imparare a vederlo.Costruire comunitàAscoltare è più di una semplice parola, è un’esperienza generatrice di molte altre parole, è un verbo di cui l’educazione e la scuola non possono fare a meno. Le azioni che partono da questo presupposto vanno nella direzione inclusiva del far sentire ciascuno parte e protagonista del processo di apprendimento, del costruire comunità. Più che una cosa da imparare, ascoltare è una cosa per imparare, e per insegnare.

Registrazione | Storie (animate) a scuola - 17 aprile 2021

Registrazione | Storie per costruire mondi

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Ascoltare, anche con gli occhi

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