Multicultura

Osservatorio Scuola Primaria • Anteprima novembre 2011

Scuola: sarà trascurata dal nuovo ministro?

In una puntata della serie danese “Rita” la protagonista, un’insegnante, è costretta a ospitare durante le sue ore di lezione un coach motivazionale, ingaggiato dalla preside dell’istituto per aiutare gli studenti più fragili. Il coach entra in classe e comincia a chiedere ai ragazzi di partecipare a esercizi di psicologia applicata: “Come visualizzate la vostra vita tra vent’anni?”.
 


 Sasja, che è una ragazzina sfiduciata, ribelle, scontrosa, gli risponde che non si vede in nessun modo; il coach prende la palla al balzo e le replica con un giudizio lapidario: “Se non riesci a vederti, non riuscirai a essere, per questo ti senti una perden

In una puntata della serie danese “Rita” la protagonista, un’insegnante, è costretta a ospitare durante le sue ore di lezione un coach motivazionale, ingaggiato dalla preside dell’istituto per aiutare gli studenti più fragili. Il coach entra in classe e comincia a chiedere ai ragazzi di partecipare a esercizi di psicologia applicata: “Come visualizzate la vostra vita tra vent’anni?”. Sasja, che è una ragazzina sfiduciata, ribelle, scontrosa, gli risponde che non si vede in nessun modo; il coach prende la palla al balzo e le replica con un giudizio lapidario: “Se non riesci a vederti, non riuscirai a essere, per questo ti senti una perdente”. Rita resta raggelata: ha appena fatto umiliare una sua studentessa da un estraneo. Il resto della puntata sarà incentrato sui tentativi di rimediare al danno. I NUOVI ARRIVATI I motivatori sono entrati da un po’ nella filiera professionale della formazione, e da un po’ entrano anche nelle scuole secondarie di secondo grado. Freschi di laurea o spesso senza nemmeno quella, discettano di metodi pedagogici veloci e rivoluzionari per farcela cavare in un modo in cui ognuno dovrebbe essere un po’ imprenditore di sé stesso. Anche a me ogni tanto è capitato in classe uno di questi personaggi: senza conoscere nessuno dei ragazzi, si mettono a sparare luoghi comuni ideologici sul successo formativo e personale e su come fare, snocciolando esempi edificanti. Una volta me ne capitò uno che continuava a esortare i ragazzi a essere più performanti. Io me ne dovevo restare in silenzio a un lato della classe, finché un mio studente sbottò: “Essere performanti è uno schifo”. Il motivatore non trovò molti argomenti a suo favore per difendersi. TRE DOMANDE Le questioni principali che queste nuove figure di formatori pongono sono tre. La prima è qual è il senso della scuola: avere successo, realizzarsi individualmente oppure – come dice l’articolo 3 della Costituzione – “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”? La seconda riguarda la formazione dei docenti. È possibile che si possa andare in classe senza conoscere rudimenti di psicologia e di psicologia dello sviluppo, per cui sedicenti esperti che non hanno magari mai letto una riga di Freud, Bruner o Dewey, dovrebbero insegnare ai ragazzi come trovare la motivazione? La terza è poi una questione più generale che non riguarda solo la scuola. Parlare di motivazione, di realizzazione vuol dire pensare un mondo in cui il nostro posto può essere solo quello di chi si adatta. La scuola, invece, può insegnarci che se non ci piace questo mondo, possiamo provare a cambiarlo insieme.  

In una puntata della serie danese “Rita” la protagonista, un’insegnante, è costretta a ospitare durante le sue ore di lezione un coach motivazionale, ingaggiato dalla preside dell’istituto per aiutare gli studenti più fragili. Il coach entra in classe e comincia a chiedere ai ragazzi di partecipare a esercizi di psicologia applicata: “Come visualizzate la vostra vita tra vent’anni?”. Sasja, che è una ragazzina sfiduciata, ribelle, scontrosa, gli risponde che non si vede in nessun modo; il coach prende la palla al balzo e le replica con un giudizio lapidario: “Se non riesci a vederti, non riuscirai a essere, per questo ti senti una perdente”. Rita resta raggelata: ha appena fatto umiliare una sua studentessa da un estraneo. Il resto della puntata sarà incentrato sui tentativi di rimediare al danno. I NUOVI ARRIVATI I motivatori sono entrati da un po’ nella filiera professionale della formazione, e da un po’ entrano anche nelle scuole secondarie di secondo grado. Freschi di laurea o spesso senza nemmeno quella, discettano di metodi pedagogici veloci e rivoluzionari per farcela cavare in un modo in cui ognuno dovrebbe essere un po’ imprenditore di sé stesso. Anche a me ogni tanto è capitato in classe uno di questi personaggi: senza conoscere nessuno dei ragazzi, si mettono a sparare luoghi comuni ideologici sul successo formativo e personale e su come fare, snocciolando esempi edificanti. Una volta me ne capitò uno che continuava a esortare i ragazzi a essere più performanti. Io me ne dovevo restare in silenzio a un lato della classe, finché un mio studente sbottò: “Essere performanti è uno schifo”. Il motivatore non trovò molti argomenti a suo favore per difendersi. TRE DOMANDE Le questioni principali che queste nuove figure di formatori pongono sono tre. La prima è qual è il senso della scuola: avere successo, realizzarsi individualmente oppure – come dice l’articolo 3 della Costituzione – “il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”? La seconda riguarda la formazione dei docenti. È possibile che si possa andare in classe senza conoscere rudimenti di psicologia e di psicologia dello sviluppo, per cui sedicenti esperti che non hanno magari mai letto una riga di Freud, Bruner o Dewey, dovrebbero insegnare ai ragazzi come trovare la motivazione? La terza è poi una questione più generale che non riguarda solo la scuola. Parlare di motivazione, di realizzazione vuol dire pensare un mondo in cui il nostro posto può essere solo quello di chi si adatta. La scuola, invece, può insegnarci che se non ci piace questo mondo, possiamo provare a cambiarlo insieme. &nbsp;

Adattarsi o cambiare il mondo?

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