Contenuto riservato agli abbonati io+

"Di qua e di là dal mare". Filastrocche migranti

Filastrocche e rime per raccontare le storie di qua e di là dal mare. Per parlare con leggerezza ai bambini del dolore e dell’esilio. Di Carlo Marconi, insegnante e scrittore.  

di Carlo Marconi27 gennaio 20184 minuti di lettura
"Di qua e di là dal mare". Filastrocche migranti | Giunti Scuola

Avevano appreso la notizia, la sera precedente, dal telegiornale. I barconi avevano preso fuoco ed erano affondati. Erano morte trecento persone, forse di più; erano morti tanti bambini.
Al mattino i miei alunni volevano parlare, desideravano raccontare la loro esperienza di telespettatori e volevano farlo dal punto di vista di chi conosce i fatti.
“Ero in cucina e stavo aiutando la mamma a mettere in ordine la tavola…”, “Avevo appena finito di mangiare…”, “Ho detto al papà di accendere la TV…”
Mi ha colpito questo bisogno di sentirsi protagonisti.
Pareva volessero affermare il principio che, quando una cosa riguarda i bambini, solo loro hanno pieno diritto di raccontarla.
Ho avuto modo di osservare, in più di un’occasione, che gli alunni della scuola primaria non ragionano utilizzando le categorie degli adulti, non leggono la realtà sulla base del criterio “italiani /stranieri”, “bianchi/neri”… o di simili parametri. Quanto alle questioni legate ai migranti sembravano avere idee chiare e precise. Risento Giulia che, a questo proposito, dice: “Molta gente pensa male di loro e si spaventa perché li vede diversi, anche se gli immigrati non hanno fatto niente di male”. “Alcuni dicono che queste persone vengono a rubare il lavoro, ma non è giusto dire così”, interviene Elena. Federico asserisce che “gli immigrati dovrebbero essere ben accolti, come è accaduto a Lampedusa, dove gli abitanti dell’isola si sono impegnati molto a soccorrerli”.
“I migranti scappano e soffrono perché c’è la guerra e poi soffrono di nuovo perché vengono accolti male”, osserva Martina.


Ciascuno di loro ha un’esperienza da comunicare, ciascuno di loro vede nella propria realtà quotidiana stranieri che lavorano come venditori ambulanti, che lavano vetri delle auto ai semafori, che presidiano i posteggi della città. Ciascuno di loro ha da raccontare un vissuto di vicinanza con la diversità dello straniero.
Poi mi aspetto che finalmente qualcuno lo dica, ma ciò non accade. Nessuno pone attenzione sul fatto che nella nostra classe ci sono Lucy e Maria, due bambine dominicane. È Maria stessa a ricordarcelo, affermando che “non tutti ci accolgono bene. Una volta mi hanno detto che dovevo allontanarmi perché sono nera e i neri rubano”. I compagni sembrano accorgersi solo in quel momento delle differenze somatiche… e se ne stupiscono. Ma Lucy e Maria non sono straniere. Lucy e Maria sono a pieno titolo cittadine della classe 4a A.
Accanto all’impellente desiderio di raccontare, però, c’è un bisogno di capire, di conoscere l’identità di quelle persone che hanno perso la vita in mare, di comprendere i motivi che le avevano spinte a intraprendere un viaggio così pericoloso.
L’idea delle filastrocche migranti nasce, quindi, all’indomani della grande tragedia del 3 ottobre 2013, in cui 368 migranti morirono nel tentativo di raggiungere Lampedusa, isola della salvezza, luogo di speranza per chi fugge dalla guerra e dalla miseria. Nasce dal tentativo di dare risposta alle domande dei bambini, di chiarire i loro dubbi, di rassicurare i loro animi turbati.
Ma le filastrocche nascono anche per cercare, forse ingenuamente, di smontare quei pregiudizi che sono alla base di atteggiamenti di intolleranza e di razzismo. E prendono vita, dunque, in questo contesto privilegiato, la nostra classe, dove l’integrazione non è un’affermazione di principi o una condivisione di intenti, ma una pratica quotidiana assorbita e metabolizzata in settimane e settimane di convivenza democratica.
Ma perché proprio la filastrocca?
Perché la filastrocca è rima, è gioco, è festa; la filastrocca è battito, è ritmo.
Perché la filastrocca aiuta a esprimere con leggerezza ciò che di per sé è difficile da dire in quanto pesante e doloroso.
Come poter pensare di dare voce ai migranti senza correre il rischio di rimanere schiacciati dalla tragicità degli eventi?
Ed ecco, allora, queste rime e questi versi , per raccontare la vita, le storie e le trame “di qua e di là dal mare”.

Dove trovi questo contenuto