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Una nuova primavera per l’intercultura

Dalla fase iniziale dell’accoglienza, la scuola multiculturale è passata a quella dell’integrazione e ha prodotto e sperimentato dispositivi e strumenti: commissioni, protocolli, piani personalizzati… Ora è il tempo di ripensare il cammino senza tuttavia ignorare ciò che è stato fatto finora e che ha funzionato. Di Giovanna Masiero e Maria Arici

di Redazione GiuntiScuola05 marzo 20194 minuti di lettura
Una nuova primavera per l’intercultura | Giunti Scuola

La voglia di alleggerirsi, di vestire semplice e avere tra le mani cose semplici: è questa l’anticamera della primavera, già lì presente in qualche timido fiore sbocciato tra i boccioli rosa dell’albicocco. Semplicità non è banalità . E il nuovo non si fa avanti distruggendo il vecchio.

Quante volte la scuola ha la tentazione di alleggerirsi di tanti strumenti, nati per un buon fine e poi diventati adempimenti macchinosi e pesanti e da rispettare. "Perché?", ci si chiede. È il mutamento delle cose che fa perdere il potere a uno strumento oppure la non comprensione profonda del senso della sua costruzione che di colpo ci fa perdere memoria del perché andrebbe usato così com’è? Questa è una domanda importante da indagare, e trovare delle ipotesi o delle risposte ci permette di fissare un punto da cui ripartire insieme .

Quando si parla di strumenti nella scuola, la mente va a moduli da compilare, schede o registri da riempire, protocolli da seguire. La sensazione che siano troppi è reale, e tutti concordiamo su questo. C ompila… porta in segreteria… consegna… e l’educazione? Non doveva stare al centro del nostro cerchio d’attenzione?

Tutti abbiamo la sensazione che alcune cose debbano essere rifocalizzate e che si debba tornare a individuare le priorità. Perché sì, è veramente l ’educazione la priorità al centro, ma quello che perdiamo di vista è che l’educazione non è solo quella rivolta ai nostri alunni, bensì la nostra stessa educazione…

  • verso noi stessi , che significa non smettere mai di studiare, imparare, aggiornarsi, scoprire;
  • verso i colleghi , nel rispetto della saggezza di chi prima di noi ha pensato e creato strumenti, si è fatto le stesse domande che ci facciamo noi e ha risposto con delle azioni;
  • verso la struttura all’interno della quale svolgiamo il nostro lavoro , che ci richiede l’impegno di allinearsi su modalità comunicative che siano comprensibili e trasferibili.

Se l’educazione non viene vissuta come una nuova avventura in tutte le sue sfaccettature, si rischia di distruggere tutto il vecchio come un caterpillar, e da qui non ricreare più nulla.

Alleggerirsi scegliendo

Da un po’ di tempo girano alcune domande nella testa di chi si occupa del tema dell’intercultura a scuola. Nei corridoi delle scuole ci si chiede se quelle Commissioni Intercultura e i loro Protocolli di Accoglienza , che per anni sono stati designati come i fulcri delle discussioni per decidere il da farsi in merito ai nuovi inserimenti, abbiano ancora senso così come sono e per questa loro funzione. Ci si chiede anche se quelle schede e quei questionari che servono per raccogliere i dati personali e linguistici del bambino e della sua famiglia non siano troppo invasivi della privacy delle persone. E ancora, ci si chiede se il Piano Didattico Personalizzato non possa essere sfoltito, tagliato, semplificato, magari anche annullato, di fronte a classi sempre più eterogenee e plurilingui.

Sono importanti tutti questi dubbi, vanno ascoltati. Le risposte però non devono arrivare più veloci della comprensione profonda richiesta dall’analisi di ogni dettaglio che la singola domanda solleva. L’intercultura chiede la sua primavera e questo rimette in moto il confronto e rilancia gruppi di discussione e di formazione . È una nuova avventura educativa, ma deve dotarsi della stessa pazienza che porta il ramo di albicocco prima di vedere completamente sviluppate le sue potenzialità: boccioli, poi fiori, infine frutti.

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