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L’assoluto e il questo qui

I diversi aspetti dell’educare alla cittadinanza. Di Franco Lorenzoni. 

di Redazione GiuntiScuola13 novembre 20177 minuti di lettura
L’assoluto e il questo qui | Giunti Scuola

L’educazione alla cittadinanza si presenta come Giano bifronte. Da una parte contempla l’apprendimento di come funzionano degli organi dello stato, le leggi ed in particolare la Costituzione repubblicana, che non si può comprendere se non si conosce come ci si è arrivati, dall’altra guarda e riguarda il nostro concreto vivere quotidiano, cioè i nostri comportamenti e la qualità delle relazioni reciproche che viviamo ogni giorno a scuola.
I due aspetti sono intrecciati, ma appartengono a due sfere distinte.
Una recente indagine internazionale, organizzata dall’International Civic ad Citizenship Education Study (ICCS) e condotta in Italia dall’Invalsi, ci dice che il nostro paese si trova in una fascia intermedia, mentre altri sondaggi sostengono che solo una ristretta minoranza di studenti esce dalle nostre scuole con una conoscenza significativa della Costituzione. Un dato della ricerca compiuta in Italia sottolinea che gli studenti che hanno una conoscenza delle leggi e del funzionamento della democrazia più articolato e consolidato danno le risposte più aperte e tolleranti riguardo ai temi sociali di stringente attualità, come le questioni relative alla gestione del fenomeno dell’immigrazione. La ricerca dell’Invalsi ci conferma dunque, se ce n’era bisogno, che dedicare studio e attenzione alla democrazia e alla sua storia serve a ragionare meglio e a giudicare con maggior spirito critico le tante affermazioni approssimative e superficiali che circolano.
Credo valga per ogni apprendimento, ma è evidente che riguardo all’educazione alla cittadinanza non possiamo separare una conoscenza puntuale della complessa architettura delle istituzioni e della travagliata storia della conquista di pari diritti per tutti (ancora da realizzare!) alla sperimentazione quotidiana di frammenti di democrazia, da costruire e vivere in classe ad ogni età, fin dalla scuola dell’infanzia. Mario Lodi, della cui sensibilità avvertiamo spesso la mancanza, sosteneva che alla base di ogni discorso sulla Costituzione ci debba essere la parola gentile .

Non si può educare se non si ha una grande visione

Nora Giacobini, una delle fondatrici del Movimento di Cooperazione Educativa di Roma, che per me è stata una grande maestra, sosteneva che non si può educare se non si ha una grande vision e. Ecco, io credo che far propri i principi di uguaglianza della nostra Costituzione e praticarli in classe possa aprire l’orizzonte ad una grande visione , ma non è possibile dargli vita e alimentarla se non attraverso gesti coerenti e conseguenti da parte di noi insegnanti. E sappiamo che non è cosa facile.
Se non ascoltiamo, se non diamo la parola, se non pratichiamo costantemente il dialogo, se non siamo in grado di rinunciare qualche volta a ciò che avevamo in mente per seguire i suggerimenti che vengono da bambini e ragazzi, credo sia impossibile parlare della Costituzione senza risultare poco credibili e probabilmente far apparire agli occhi e alle orecchie degli studenti quelle parole come pura retorica, che è cosa ancor più grave.
Scrivendo la sua celebre lettera ai giudici che lo giudicavano per avere sostenuto l’obiezione di coscienza, don Lorenzo Milani affermò che “La scuola siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l'arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità, dall'altro la volontà di leggi migliori, cioè il senso politico”.
Mi è capitato spesso, in queste settimane, di domandarmi se fosse giusto e in che misura coinvolgere i ragazzi in una questione così delicata come il sostegno alla legge sullo ius soli e ius culturae, che speriamo tra breve sarà posta in discussione al Senato.

Non c’è democrazia senza la possibilità di scegliere, dissentire, ragionare con la propria testa ed esprimere pubblicamente la propria opinione

Non è compito di noi insegnanti elaborare leggi. Eppure, nell’avvertire con forza la contraddizione tra le Indicazioni nazionali che ci invitano ad educare alla cittadinanza attiva e le attuali leggi, che negano la cittadinanza ai figli di migranti che popolano le nostre scuole o la rinviano, creando una grande quantità di ostacoli alla sua piena acquisizione, sento che non schierarmi, non dire da che parte sto, toglie una possibilità di condividere con le ragazze e i ragazzi ciò che per me è la sostanza della democrazia, che è innanzi tutto possibilità di scegliere, di dissentire, di dichiarare pubblicamente ciò che si pensa con la propria testa in piena libertà, assumendocene la responsabilità.
Se ho fatto e ho propagandato lo sciopero della fame il 3 ottobre come lo rifarò il 20 novembre, in occasione della giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è per testimoniare che di fronte a due leggi dello stato che entrano in collisione tra loro la scelta per me è necessaria e può derivare solo da due elementi: dalla lettura della Costituzione e dalla mia coscienza. Credo inoltre che questa occasione costituisca un caso esemplare in cui una questione politica si possa e per me si debba intrecciare con la nostra pratica educativa.

La piccola cittadinanza costruita in classe, che fa sentire tutti a casa, e la piena cittadinanza ancora da conquistare

Ho ascoltato di recente Gherardo Colombo affermare che l’organizzazione della vita nella scuola e alcuni nostri comportamenti adulti in quel luogo non siano ancora adeguati al dettato costituzionale, che nell’articolo 3 pone l’uguaglianza dei diritti come fondamento di ogni legge dello stato, invitando a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla sua piena realizzazione.
In classe, ogni giorno, ci confrontiamo con la difficoltà di superare le tante disparità che si frappongono all’uguaglianza. Uguaglianza nella dignità, nell’ascolto ricevuto e nei diritti, che permette a tutti di essere diversi, ma di non essere penalizzati per provenienza, nazionalità, fede o convinzioni.
Ciò che a scuola cerchiamo di vivere ogni giorno nella nostra pratica didattica quotidiana consiste nel difficile tentativo di creare una comunità capace di non escludere nessuno, di costruire una sorta di piccola cittadinanza che faccia sentire tutti a casa. Credo che questo sia il motivo profondo per cui tante e tanti insegnanti sentano necessario il sostenere una legge che anche fuori, nella società, garantisca a tutti una piena cittadinanza, premessa indispensabile per una convivenza aperta tra pari, per nulla facile da costruire oggi nelle nostre città.
Nel ragionare attorno a tutto ciò mi risuona una frase più volte ascoltata da Nora Giacobini che, con l’ironia che la contraddistingueva, sosteneva che il nodo dell’educazione in fondo sta nel riuscire ad intrecciare l’assoluto e il questo qui .

Per saperne di più

Franco Lorenzoni e Luca Mori saranno a Verona il 30 novembre 2017 e a Brindisi il 15 febbraio 2018, con il corso di formazione “Imparare a pensare in grande. Ascolto e dialogo con bambini e ragazzi”
Programma e iscrizioni: Verona Brindisi

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