Perché raccontare a scuola le storie di donne scienziate

Serve farle conoscere per quello che hanno fatto ma anche per indicare modelli e figure di riferimento a chi oggi progetta il proprio futuro pieno di sogni e ambizioni. Di Vichi De Marchi e Roberta Fulci, autrici di Ragazze con i numeri (Editoriale Scienza)

di Redazione GiuntiScuola26 marzo 20183 minuti di lettura
Perché raccontare a scuola le storie di donne scienziate | Giunti Scuola
Ecco un esperimento interessante da fare in classe. Si esordisce così: “Ragazzi, oggi vi racconto la storia di una persona molto molto intelligente ”. Poi si mostrano quattro figure anonime, due di uomini e due di donne: “Secondo voi chi è di loro?”. Questa domanda è il cuore di uno studio recente che tre ricercatori statunitensi hanno condotto su un campione di bambini di cinque e sei anni, per metà maschi e per metà femmine. Mentre a cinque anni tutti i bambini tendevano a indicare una delle persone del proprio genere, a sei anni sia i maschi che le femmine sceglievano più facilmente gli uomini. Morale della favola: la percezione che essere intelligente sia un tratto maschile inizia a quell’età.

Ma cosa significa essere intelligente? Proprio nulla, anzi è un’espressione fuorviante. Il termine inglese è smart , e ha più a che fare con l’essere brillanti, in gamba, capaci e, chissà perché, bravi nelle materie scientifiche. Che tutto questo riguardi più gli uomini che le donne è un’idea non solo senza fondamento, ma particolarmente penalizzante in quest’epoca storica: cambiamento climatico, tecnologia medica, intelligenza artificiale, prevenzione del rischio sismico, sicurezza digitale… i temi scientifici all’ordine del giorno sono decine e così le professioni ad essi legate. Assecondare la convinzione che la scienza sia “una cosa da maschi” significa precludere alle ragazze un’infinità di ruoli non solo stimolanti per chi li riveste, ma preziosi per la società come ci hanno spiegato numerose ricerche, incluse quelle prodotte da Irene Biemmi, dell’Università di Firenze, che allo studio degli stereotipi di genere si dedica da anni.


Ecco perché raccontare storie di donne scienziate è così importante. Accanto a Newton e Galileo, Darwin e Galeno, Bohr e Lavoisier, fioccano gli esempi di donne che anche in epoche assai più misogine della nostra si sono fatte strada nel difficile mondo della ricerca. Come Sophie Germain , la matematica che si finse uomo per poter frequentare l’École Polytechnique di Parigi. O Vera Rubi n, astronoma, che riuscì a far crollare il divieto di accesso per le donne al telescopio di Monte Palomar. O ancora Rita Levi Montalcini , che quando si sentiva chiedere ai convegni, circondata di colleghi uomini, “Lei è qui con suo marito?” rispondeva “Sono io mio marito”. Sono alcune delle donne protagoniste di Ragazze con i numeri , con cui Editoriale Scienza festeggia i quindici anni della collana Donne nella scienza.

Ci sono tante altre buone ragioni per raccontare la vita di queste donne. Serve farle conoscere per quello che hanno fatto ma anche per indicare dei modelli , delle figure di riferimento a chi è oggi bambina e progetta il proprio futuro pieno di sogni e ambizioni. Proprio come le grandi scienziate che hanno saputo, contro tutto e tutti, trasformare i propri sogni in realtà e abbattere gli stereotipi di cui il percorso di crescita femminile è disseminato in famiglia, a scuola, nella società. E allora partiamo da qui. Gli stereotipi si abbattono anche con il linguaggio , usando il femminile, quando serve, pure nelle professioni tempio del maschile. Lo consiglia La Crusca, la società depositaria della “purezza” della nostra lingua. Insegniamo la scienza a scuol a incoraggiando il lavoro di gruppo, propensione che vede le bambine e le ragazze eccellere. Non aiutiamole a risolvere i problemi, consiglia il quotidiano The Guardian: riuscirci da sole costruisce la self-confidence, la fiducia in se stesse, proprio quel carburante che spesso manca alle ragazze. E che invece non è mancato alle grandi scienziate di Ragazze con i numeri .

 

 

 
 
 
 
 
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