Sei ancora quello della pietra e della fionda? A proposito della bozza delle "Indicazioni"
Educare all'imprenditorialità? Consapevolezza ed espressione culturale? Una riflessione su due punti della bozza delle "Indicazioni" proposta il 30 maggio dal MIUR.
Il profilo dello studente, presentato nella bozza delle "Indicazioni nazionali per il curricolo scolastico" , fa proprie le Indicazioni del Parlamento europeo del 2006. Siamo di fronte ad un documento internazionale che ha avuto padri illustri e discussioni profonde .
Chi non può concordare nell’idea che lo studente del nostro tempo non abbia una competenza alta nella comunicazione linguistica locale e internazionale? Come si fa a non essere d’accordo che le competenze matematiche e quelle digitali sono il pane dei nostri tempi? Come non condividere l’idea che occorre educare gli allievi ad “imparare a imparare” e ad avere “competenze sociali e civiche”?
Ma… c’è sempre un ma, anzi due. Il documento si completa con due (ultime) indicazioni che fanno riflettere.
Si parla di educare all’imprenditorialità . E va bene. Ma non è che questa indicazione risente di un modello che in questi ultimi anni ha mostrato carenze e limiti? L’imprenditorialità è quasi sinonimo di competizione, di sviluppo economico, di produttività. Sinonimi che – come si è visto – stanno conducendo l’Occidente (e non solo) in un pericoloso vortice regressivo. Il giovane del nostro tempo non avrebbe bisogno di essere educato all’imprenditoria sociale, alla produzione etica (in realtà questo termine è presente), alla realizzazione di processi e prodotti sostenibili da un punto di vista personale, relazionale e globale?
Si parla in fine di consapevolezza ed espressione culturale . E va bene. Ma che cosa significa averle posizionate entrambe al termine delle attese educative ed aver ridotto la dimensione della comunicazione creativa, artistica ed emozionale a due semplici righe di spiegazione? Non significa forse che si tratta di un obiettivo educativo aggiuntivo, incorporabile – al massimo – negli altri settori della conoscenza? E perché in questo caso parla di “consapevolezza” e non di “competenza”?
In un’epoca come quella che stiamo vivendo, l’“uomo del mio tempo” (per usare le parole di Quasimodo) vive più di immagini che di parole, più di messaggi subiti che di emozioni elaborate, Questo “uomo” deve imparare fortemente a gestire la miriade di informazioni cariche di sottintesi e di messaggi nascosti, che riceve in misura enorme; e deve fare i conti con se stesso, con i propri stati d’animo, le proprie emozioni, i propri sentimenti. L’uomo del nostro tempo è più solo, anche se sembra il contrario.
Andrebbe aiutato a “ritrovarsi” a divenire competente a comunicare (a parole con la scrittura, ma anche attraverso i linguaggi dell’immagine, dei suoni, del corpo), per imparare a dire e a dirsi cose significative e significanti.
Avrebbe bisogno di essere aiutato nella ricerca di una propria individualità universale e nella individuazione di ciò che ci caratterizza e ci unisce, a livello mondiale. Saltare questa strada, o considerarla un’ “aggiunta” nella formazione, potrebbe far dire ancora a Quasimodo “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”. Ma certo, questo, non è quello che vorremmo.