Virtù dell’errore

Le tecnologie peggiorano l’apprendimento? Che cosa dice veramente il rapporto OCSE

Bambini e sessualità, un avvicinamento troppo precoce?

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Impariamo a rilassarci

Tutti insieme nel gruppo classe

Alleniamo la concentrazione

Ogni essere umano nasce con un’innata predisposizione a entrare in relazione con gli altri. Sin dal momento in cui si separa dallo stato fusionale con la madre, il bambino è un essere in relazione e qualsiasi aspetto della sua vita può essere considerato in una prospettiva sociale: dalle esperienze con le figure di accudimento, al rapporto con i pari, fino alle relazioni affettive e al modo di percepire le regole e i valori della comunità di riferimento. Man mano, grazie a una serie di processi bidirezionali di interazione, il bambino diventa relazionalmente competente e sempre più consapevole di sé: la sua “identità”, dipende dal riconoscimento altrui, sono gli altri che la consolidano o la vanificano con il loro riconoscimento o la loro disconferma. E se nell’identità si esprime il suo modo unico di essere al mondo, quella stessa unicità è data proprio dal&nbsp;riconoscimento dell’altro (Galimberti, 2018).

Esprimere esprimersi

Aiutare i bambini a manifestare i loro stati interni è di estrema importanza per togliere loro il senso di solitudine che si alimenta nell’assenza di interlocutori

<ul><li style="text-align: justify;">Galimberti U. (2018), «All’inizio c’è il due». Psicologia Contemporanea, 264, 20-21. </li><li style="text-align: justify;">Lewin K. (1972), I conflitti sociali. Saggi di dinamica di gruppo, Franco Angeli, Milano. </li><li style="text-align: justify;">Zambrano M. (2008), Per l’amore e per la libertà. Scritti sulla filosofia e sull’educazione, a cura di A. Buttarelli, Marietti, Genova-Milano.</li></ul>

L’altro&nbsp;“pericoloso”

Ogni essere umano nasce con un’innata predisposizione a entrare in relazione con gli altri. Sin dal momento in cui si separa dallo stato fusionale con la madre, il bambino è un essere in relazione e qualsiasi aspetto della sua vita può essere considerato in una prospettiva sociale: dalle esperienze con le figure di accudimento, al rapporto con i pari, fino alle relazioni affettive e al modo di percepire le regole e i valori della comunità di riferimento.
 
 Man mano, grazie a una serie di processi bidirezionali di interazione, il bambino diventa relazionalmente competente e sempre più consapevole di sé: la sua “identità”,
 
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Ogni essere umano nasce con un’innata predisposizione a entrare in relazione con gli altri. Sin dal momento in cui si separa dallo stato fusionale con la madre, il bambino è un essere in relazione e qualsiasi aspetto della sua vita può essere considerato in una prospettiva sociale: dalle esperienze con le figure di accudimento, al rapporto con i pari, fino alle relazioni affettive e al modo di percepire le regole e i valori della comunità di riferimento.Man mano, grazie a una serie di processi bidirezionali di interazione, il bambino diventa relazionalmente competente e sempre più consapevole di sé: la sua “identità”, dipende dal riconoscimento altrui, sono gli altri che la consolidano o la vanificano con il loro riconoscimento o la loro disconferma. E se nell’identità si esprime il suo modo unico di essere al mondo, quella stessa unicità è data proprio dal riconoscimento dell’altro (Galimberti, 2018).

La scuola, in definitiva, più che mai in questi tempi difficili, ha il compito di alimentare la dimensione relazionale dei bambini, perché possano andare avanti in quel lungo, complesso cammino per diventare sé stessi attraverso gli altri, facendo esperienza, nono- stante i limiti della condizione attuale, della relazione con il mondo.

Perché i bambini possano scambiare con gli altri in modo funzionale e generativo è utile aiutarli a riconoscere la differenza tra esprimere (cioè parlare di sé) e “agire”, cioè giudicare l’altro, “invadere” il suo spazio, criticarlo... Esprimere è dire a qualcuno, per esempio, “io non ti sopporto” (dire questo in fondo implica il parlare di sé), agire è dirgli “tu sei uno stupido”. Soprattutto in questo momento complesso, è importante inoltre invitare gli allievi a comunicare quello che sentono, a dare voce al loro mondo interno. Un modo agevole è attraverso il ricorso alle metafore, più che in forma diretta. Per esempio, li si potrebbe invitare a dire quello che provano come se fossero un paesaggio, una storia, una stagione (mi sento l’inverno, la primavera, mi sento un vulcano in eruzione, un deserto e così via).

Percepire parti dell’insieme

È vero tuttavia che l’uso delle mascherine e della distanza fisica non aiuta ad alimentare l’incontro con l’altro da sé. A questo scopo può essere utile lavorare perché i bambini possano entrare in relazione tra di&nbsp;loro attraverso le varie declinazioni dello sguardo e della parola, in modo tale che dire e vedere diventino i due canali di incontro con l’altro da sé.&nbsp;

Praticare l’incontro con lo sguardo e la parola

Per esempio, li si potrebbe invitare a trovare sguardi e parole per incontrarsi nonostante il limite del distanziamento fisico e dell’uso delle mascherine: come è uno sguardo che accarezza, che consola, che accoglie, che sostiene, che sorride, che gioca? Quali parole avvicinano gli altri, quali li allontanano?

Per far fronte agli effetti di questa anomala situazione che ha inevitabili ricadute sui processi di insegnamento-apprendimento, è importante aiutare i bambini a ritrovare il senso dello stare al mondo con gli altri, alimentando continuamente scambi interpersonali, perché possano nuovamente fidarsi della possibilità di incontro e di scambio con il mondo dei pari.&nbsp;La classe, come tutti i gruppi, è una totalità dinamica i cui membri sono in stretta interdipendenza tra loro, e in cui il cambiamento che avviene in uno degli elementi interessa tutti gli altri componenti (Lewin, 1972). Ciò vuol dire che non basta mettere insieme più persone per costituire un gruppo, ma è necessario che ci sia uno scambio relazionale tra i membri del gruppo e che ogni allievo abbia la percezione di of- frire un contributo all’insieme. Questo è possibile attraverso pratiche di cooperazione e di condivisione, per esempio con tutte quelle attività che permettono alle persone di scambiare, di creare qualcosa insieme (anche solo regole comuni e condivise) e le aiutino a percepirsi parte attiva e progettuale del loro sistema di riferimento.

Negli ultimi due anni, in seguito all’emergenza sanitaria, tanti bambini hanno ridotto in modo sensibile lo scambio relazionale con il mondo. Le prescrizioni che hanno ricevuto da parte degli adulti di non avvicinarsi ai pari, perché possibili veicoli di contagio, il sapere che loro stessi possono essere pericolosi per gli altri, addirittura per i propri cari, l’invito quindi a tenere comportamenti distanzianti ha interrotto per tanti di loro il naturale processo di socializzazione con&nbsp;sensibili effetti sulla qualità della&nbsp;loro vita, sul loro equilibrio emotivo, portandoli a sperimentare un pesante senso di solitudine, uno stato d’ansia (spesso assorbito dagli adulti) per l’inafferrabilità degli eventi e in definitiva una sfiducia nei confronti di sé stessi e degli altri.

Rifondare lo scambio relazionale

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