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La mia maestra mi ha salvato la vita

"Chi parla o scrive bene avrà più chance di non restare da solo". La forza della lingua e la magia di una maestra.

di Arturo Ghinelli09 gennaio 20124 minuti di lettura

La mia maestra, la Silvana Tramontozzi, era una bella signora. Mi ricordo la spuma vaporosa dei suoi capelli bianchi e la sua tenacia d’altri tempi. All’inizio con mia madre non si erano prese molto. Mamma era timida e parlava un italiano stentato.
Quando andava alle riunioni dei genitori si limitava a chiedere il minimo indispensabile e poi se ne andava via alla chetichella. Era un vero stress per lei affrontare tutti quei genitori che la trattavano come un fenomeno da circo perché indossava il velo islamico .

Un po’ era anche colpa mia. Non brillavo molto i primi anni delle elementari. Sapevo un sacco di cose, però a scuola non usciva niente. Ero muta più di tutti i pesci che nuotavano nel mare aperto. Non mi usciva nemmeno mezzo suono. Anche alle domande dirette della maestra non rispondevo. Avevo troppa paura . Era per via di tutti gli insulti che ricevevo a dosi massicce ogni giorno. La mia testolina di allora si era convinta che se avessi fiatato per me sarebbero state botte da orbi.

Sognavo di fuggire da quella scuola che mi torturava . Mia madre tornava afflitta da quelle riunioni. E gli altri genitori si stavano man mano convincendo che forse ero ritardata e che forse tutti i neri lo erano. Una sera poi mamma me lo ha chiesto: "Igi tesoro ma che ti succede? Perché non parli quando la maestra ti interroga?”. Non sapevo bene come dirglielo. Ma feci uno sforzo e le risposi: "Perché mi picchiano”.
Un po’ era anche vero.

Ogni tanto all’ora di ricreazione, qualcuno mi dava scapaccioni volanti che mi facevano un male cane e una volta un paio di ragazze mi avevano dato un pugno. Una in testa e l’altra in un occhio. Avevo detto a mamma che ero caduta.
Mia madre andò a lamentarsi con la maestra . Le spiegò che ero una bambina studiosa e che era la paura a bloccarmi la lingua. Credo che un caso come il mio alla maestra non era capitato mai. Credo ci abbia riflettuto un po’ su.

So solo che a scuola cambiò radicalmente nei miei confronti . Mi ricordo che un giorno mi chiamò a sé e mi spiegò che in un cassetto erano raccolte delle storie magiche. Però per prenderle le dovevo promettere che per ogni storia le avrei regalato una parola in più in classe.
Mi piaceva molto leggere e quell’armadietto era pieno di leccornie per una come me. C’erano sottomarini, tappeti volanti, dèi della mitologia, principesse dalla chioma di fuoco, cavalieri dai destrieri invisibili, bambine che inventavano meraviglie, maghetti sciocchi e fate imbranate. Morivo dalla voglia di conoscerli da vicino. A quei tempi solo nei libri trovavo degli amici. Promisi alla maestra tutte le parole del mondo.

E piano piano, storia dopo storia la mia lingua si scioglieva , tanto che in classe divenni da muta a molto loquace. E poi la maestra mi spingeva a raccontare nei temi quella Somalia delle mie origini. Dovevo spiegare come si viveva lì, i nostri riti, i nostri colori sgargianti. I miei compagni rimanevano tutti a bocca aperta. Avevo più successo del Mago Zurlì. E a poco a poco cominciai ad avere amici e a essere glamour.

Fu grazie alla maestra che capii per la prima volta che le parole hanno una forza incredibile e chi parla o scrive bene avrà più chance di non restare da solo . La maestra aiutò anche molto la mamma. Parlò di lei ai consigli dei genitori, le fece un po’ da chaperon e le procurò delle buone conoscenti tra le mamme. Come per incanto non fummo più fenomeni da baraccone, ma persone tra le persone. In un certo senso, la maestra aveva fatto un lavoro di mediazione culturale ante litteram .

E non scherzo quando dico che la mia maestra elementare, quella signora dai vaporosi capelli bianchi mi ha salvato la vita .

Igiaba Scego, La mia casa è dove sono , Rizzoli, Milano 2010


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