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Il maestro di vita

Sul La Vita Scolastica n. 18 del 1993 Mario Lodi si interrogava sulla figura e sulla funzione dell’insegnante come elementi fondamentali della società civile. Riflessioni valide e vere, oggi più che mai

di Mario Lodi25 gennaio 20221 minuto di lettura
Il maestro di vita | Giunti Scuola

La figura e la funzione del docente sono sempre state collegate con gli eventi storici e con la società.

I giovani maestri degli anni ‘50 che hanno dato vita al Movimento di Cooperazione Educativa nel periodo del dopoguerra, caratterizzato dal passaggio al sistema democratico fondato sulla Costituzione, operarono una rottura con la vecchia scuola autoritaria accogliendo il bambino come un cittadino che aveva diritto di vivere nella pratica quotidiana le libertà e i valori sociali che la nuova legge affermava.

Il cambiamento didattico, che introduceva la conversazione, il testo libero, la ricerca, i linguaggi creativi, in un contesto organico che valorizzava le capacità dei bambini, rifletteva la tensione ideale che in quegli anni univa il popolo ai politici con l’obiettivo della ricostruzione materiale e morale. Dare la parola ai bambini, fare un giornale scolastico, progettare ricerche sul campo, inventare storie, scrivere insieme libri, tenere la contabilità della cassa comune, prendere periodicamente i conti, preparare i preventivi e analizzare i consuntivi, significava realizzare la comunità scolastica come una piccola società di diversi-uguali che fosse simile a ciò che si sperava nascesse sulle rovine del fascismo. Rifletteva quindi la rinascita della democrazia in Italia.

Oggi che vediamo come sono andate le cose e ci troviamo di fronte a problemi di ricostruzione morale, la figura e la funzione del docente sono importanti per recuperare valori e esperienze che il cambiamento radicale della nostra società civile richiede. Forse oggi, più che negli anni ‘50, i docenti possono diventare i protagonisti della svolta, cominciando con i bambini la riforma che non costa niente. Si tratta di sviluppare, nel tessuto della società attuale che propone come valori la competizione, l’individualismo e il benessere materiale, le tendenze positive dell’uomo: è la conoscenza e il rispetto della diversità, la collaborazione e la solidarietà, l’azione dei singoli per il bene della comunità. Sono valori che troviamo nella Costituzione e nei Programmi della scuola di base indicati con chiarezza nella premessa.

Il maestro che intende contribuire a realizzare questa riforma morale dichiarando le sue finalità educative e usando la sua professionalità per attuarla, ha la legge e i programmi dalla sua parte. Eventuali ostacoli possono venire dall’interpretazione restrittiva della burocrazia scolastica, o dalla “lottizzazione” del programma disciplinare, che usa male la presenza nelle classi di più docenti. Più docenti sono, in teoria, di grande utilità per realizzare i progetti comuni, vere ricerche che abituano i bambini osservare, riflettere, ragionare, sperimentare, dedurre, ipotizzare, creare.

Questo può avvenire sei docenti hanno capacità collaborativa e professionale, ma soprattutto se condividono obiettivi pedagogici e impostazione metodologica.

La scelta

Se i docenti non sono convinti che soggetto della educazione è il bambino come protagonista, con la sua esperienza e la sua cultura già organizzata, ogni docente si prepara il suo programma e lo trasmette. E il bambino con lo zaino pieno di quadernoni a misura di fotocopie e di libri di testo, passa da un docente all’altro eseguendo esercizi noiosi prefissati, senza liberare la sua fantasia e le sue capacità logiche. La sua esperienza non ha valore. E non c’è tempo per il gioco, la ricerca, l’invenzione di storie, la poesia, il teatro, la pittura come arte espressiva. Molti docenti stanno vivendo male il lavoro perché l’aggiornamento è stato realizzato soprattutto in funzione della conoscenza disciplinare (necessaria) staccata dall’impostazione metodologica. Un’altra causa è l’abbinamento, che spetta alla Direzione Didattica e, non sempre questa scelta viene avviene con criteri di funzionalità metodologica. Questo problema potrebbe essere risolto lasciando ai docenti la possibilità di scelta dei partner sulla base della professionalità commisurata con le finalità educative dichiarate. Infatti là dove, casualmente o per scelta motivata, i docenti condividono la scelta pedagogica, il programma lascia spazi a progetti comuni a cui tutti si dedicano, nell’ambito delle specifiche competenze. A volte sono progetti interessanti che meriterebbero di essere divulgati: sono queste esperienze collaborative, invece della didattica spicciola del giorno per giorno, che le riviste didattiche dovrebbero evidenziare, per offrire spunti e idee da sviluppare nelle diverse situazioni locali.

Il passaggio dalla programmazione formale ai progetti educativi comuni richiede una organizzazione del lavoro nello spazio nel tempo, alternando momenti collegiali a momenti di lavoro di gruppo e di attività individuale, secondo piani di lavoro periodici (mensili, quindicinali e settimanali) concordati con gli scolari, nel quadro di un piano annuale a grandi linee, anche esso concordato all’inizio dell’anno scolastico con la collaborazione dei bambini e dei genitori. Così impostato il lavoro scolastico darà importanza alla collaborazione fra i docenti, fra gli scolari che partecipano al lavoro dei gruppi e fra la scuola e le famiglie. È nella pratica del lavoro collegiale che l’uso della parola come espressione del proprio pensiero in rapporto a quello degli altri, porterà alla conoscenza delle diversità, alla capacità dialettica, al perfezionamento del linguaggio, all’autocontrollo, alla capacità di analisi dei problemi per conoscerne ogni dettaglio e risolverli a vantaggio di tutti. La scuola come comunità nascente offre tante occasioni per far sentire al bambino che il passaggio dall’esperienza diretta a quella scolastica non lo priva del gioco, anzi lo trasforma in interesse per la lettura ambientale, e lui rimane protagonista e gli altri sono accanto a lui come amici. Una vita di scuola carica di emozioni degna di essere rappresentata, raccontata, documentata, socializzata. Il Mce lo faceva con il giornale stampato a scuola dai bambini stessi (oggi si potrebbe usare il computer o la fotocopiatrice). Ed era nella messa a punto dei testi, con l’arricchimento del lessico, la collocazione delle parole (nomi, verbi, aggettivi, ecc.) in relazione fra loro in modo da ottenere effetti stilistici, che i bambini imparavano a scrivere, invece di compilare pagine e pagine di analisi grammaticale! I maestri unici riuscivano a realizzare attività con alti valori impliciti come: la cooperativa scolastica, lo schedario autocorrettivo mirato che lo scolaro stesso sceglieva, uso dei vari linguaggi dell’uomo in forme espressive e di comunicazione: il teatro, la musica, l’invenzione di storie ecc. Ora che i docenti sono più di uno, dovrebbe essere più facile dare al pensiero, alla fantasia e alla ragione del bambino il tempo necessario per esprimersi e realizzare a scuola l’ambiente più adatto per vivere giorno per giorno la democrazia intesa come valorizzazione del singolo nel contesto della comunità. Una comunità che abbia in sé i valori da recuperare per edificare una società veramente civile. Nel momento difficile che l’Italia sta vivendo, l’impegno di un coraggioso cambiamento della routine scolastica, per restituire felicità ai bambini e passioni professionale ai docenti, darebbe alla figura del docente e alla sua funzione un alto significato politico.

 

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