Articoli
Don Lorenzo Milani e l'educazione alla parola
A cento anni dalla nascita di don Milani, l’esperienza di Barbiana ci ricorda che la scuola deve offrire a ciascuno la grande possibilità di diventare una persona migliore

Tra le letture obbligatorie per diventare docenti dovrebbe esserci Lettera a una professoressa (1967), scritta dai ragazzi della scuola di Barbiana insieme al loro priore, don Lorenzo Milani. A distanza di più di cinquant’anni quel testo resta di enorme attualità, una provocazione, uno sprone a riconoscere nell’educazione la grande possibilità per ciascuno di diventare una persona migliore.
Quella Lettera ci insegna che la postura dell’insegnante necessita di approfondimento, analisi, confronto, scelte e amore, per quello che si fa e per ciò in cui si crede. Quella Lettera fece discutere e appassionare e ancora oggi continua a farlo. Attraverso un minuzioso lavoro di scelta lessicale è riuscita a denunciare con forza la negazione sostanziale del diritto all’istruzione per i figli dei poveri, falcidiati dalle bocciature. Una delle più grandi ingiustizie sociali di quel tempo e del nostro.
“Stiamo lavorando da tre mesi a inguaiarci di nuovo. Un grande lavoro molto più sentito per noi e molto più lavorato che non la lettera ai giudici. Questa è una lettera a una professoressa (che aveva la vocazione mancata a fare il giudice e il boia come gran parte delle colleghe) che bocciò due miei ragazzi l'anno scorso. Penso che per gennaio sia pronta”.
[Dalla lettera all’avvocato Adolfo Gatti]
Per don Milani la scuola è un bene prezioso la cui finalità è essenzialmente evangelica. Questo spiega l’energia delle sue parole, ma anche il limite per coloro che vedono nell’educazione una forma di emancipazione dalla religione stessa.
“Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola e come faccio ad averla piena. Insistono perché io scriva per loro un metodo, che io precisi i programmi, le materie, la tecnica didattica. Sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter far scuola. Bisogna essere… Non si può spiegare in due parole come bisogna essere […]. Bisogna aver le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti, ma schierati. Bisogna ardere dell’ansia di elevare il povero a un livello superiore […]: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”.
[Milani, 1997]
Insiste, il priore, su uno degli aspetti più importanti e delicati di chi vuole fare l’insegnante. Lavorare su di sé, sul proprio essere persone con un’attenta e lucida visione sull’esistente, ma, al contempo, con un profetico sguardo aperto al futuro. Una buona scuola è fatta di insegnanti che sanno essere tali.
La scuola serale di San Donato, prima, e quella di Barbiana, poi, possono essere considerate esperienze irripetibili, data la loro specificità storica e sociale. Modelli con cui dialogare, dai quali lasciarsi interrogare per capire il senso e la forma che attribuiamo a quell’esercizio di apprendimento e insegnamento che chiamiamo scuola.
“Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. 12 ore al giorno, 365 giorni l'anno. Prima che arrivassi io i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Nessuno aveva da ridire. Ora che quell'orario glielo faccio fare a scuola dicono che li sacrifico. La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme”.
[Dalla lettera ai giudici del processo subito da don Milani per apologia di reato]
Scuola e vita si uniscono. Insegnare e apprendere è vivere, insieme. Insegnare è vivere per loro. Barbiana è la migliore alternativa possibile per quelle vite. La scuola dovrebbe essere percepita da tutti come un’alternativa vantaggiosa, qualcosa che possa fare la differenza, in meglio, per la propria e altrui vita. In quattordici anni di scuola, Barbiana fa cultura, innanzitutto mostrando come affinare il pensiero, grazie al lavoro sul linguaggio. Tutta la didattica di don Milani ruota attorno all’educazione alla parola, perché è ciò che permette a tutti di essere riconosciuti persone tra persone e “arma” attraverso cui lottare contro le ingiustizie per vedere riconosciuto il diritto di esistere come tali.
Il suo essere uomo e maestro erano inscindibili: questo è un aspetto illuminante che riscrive il perimetro di ciò che pensiamo sia la formazione per gli insegnanti. Crollano i muri tra l’essere insegnante o studente e l’essere persona. Crolla l’idea sterile dei muri tra le discipline. Crollano tutte le impalcature erette per frammentare l’esperienza, sterilizzandone gli effetti, per lasciare spazio solo alla vita, unica materia di studio.
“E poi te l’ho già detto, io vivo per loro, tutti gli altri son solo strumenti per far funzionare la nostra scuola. Anche le lettere ai cappellani e ai giudici son episodi della nostra vita e servono solo per insegnare ai ragazzi l’arte dello scrivere cioè di esprimersi cioè di amare il prossimo, cioè di far scuola”.
[Dalla lettera a Nadia Neri di Napoli]
È con don Milani che chiudo questa rubrica dedicata ai maestri, consapevole che molti altri ci sono compagni in questa splendida avventura che è l’essere insegnanti.
Gesualdi M. (1970), Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana. Milano: Mondadori.
MilaniI L. (1997), Esperienze pastorali. Firenze: LEF.