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Compiti a casa: una ricerca pedagogica
Che cosa succede quando genitori e figli si dedicano allo svolgimento dei compiti? Uno studio dell'Università di Bologna ha osservato le famiglie durante questa attività

Come vengono svolti i compiti a casa dai bambini? E quale ruolo viene assunto dai genitori?
Questi sono alcuni interrogativi di una ricerca pedagogica che ha avuto il principale scopo di osservare come genitori e figli collaborano durante questa attività scolastica svolta a casa.
Insegnanti e pedagogisti conoscono bene il dibattito esistente (compiti sì/compiti no) riguardo a questa pratica (Meireu, 2013; Parodi, 2016), ma in realtà, al di là delle diverse posizioni assunte, ben poco si conosce su cosa davvero avvenga in famiglia durante tale attività.
La ricerca pedagogica qui presentata ha la peculiarità di proporre dati osservativi di vita quotidiana familiare, quando genitori e figli si dedicano allo svolgimento dei compiti.
“Vieni che facciamo i compiti”: quando i genitori insegnano
Questa ricerca, grazie a videoregistrazioni svolte in un gruppo di famiglie, ha permesso di osservare e identificare interazioni verbali e strategie didattiche a cui adulti e bambini ricorrono per poter portare a termine questa attività scolastica (Caronia, Colla, 2024).
Dalle analisi dei filmati è emerso che genitori e figli realizzano insieme molteplici sotto-attività, tutte finalizzate alla realizzazione del compito, e tra queste vi sono:
- preparazione (tempo, spazio della casa scelto, lettura del diario, ecc.);
- spiegazione di parole sconosciute;
- interrogazione del genitore su cosa il figlio ha studiato;
- controllo finale degli esercizi svolti.
In questo articolo è considerata la sotto-attività della spiegazione che si verifica quando il bambino, non conoscendo una parola presente in un esercizio o nella lettura di un brano, chiede al genitore un aiuto per la sua comprensione. A seguito di questa richiesta il genitore mette in atto diverse abilità, tra cui: saper utilizzare i diversi oggetti scolastici (sussidiario, vocabolario, diario, ecc.) ed essere in grado di collegare il significato della parola a una esperienza di vita familiare.
Qui di seguito un breve esempio di interazione verbale tra madre e figlio (Valerio, 8 anni) in cui i libri scolastici, impiegati per la ricerca del significato di una parola, sono al centro del loro dialogo.
Valerio: Mamma che cos’è il foraggio?
Mamma: che cosa è il foraggio?
Valerio: dove si fanno i fori
Mamma: no va a vedere se lo trovi prima questo è il libro operativo (indica il libro)
Valerio: sì (guarda le pagine, ma non trova la definizione della parola)
Mamma: allora lo devi cercare sul libro vero
Valerio: l’ho lasciato a scuola
Mamma: quello della geografia
Valerio: sì
Mamma: no (alza alcuni libri sulla tavola)
Valerio: quello è l’atlante (tocca il libro)
(Bolognesi, Dalle Donne Vandini, 2020)
In questo esempio la madre dimostra non solo di conoscere i diversi testi utilizzati per lo studio della geografia, ma anche di saperli differenziare tra loro: ci sono libri per lo studio dei contenuti (libro vero, ovvero il sussidiario), libri per esercitarsi sui concetti appresi (libro operativo), libri che servono per acquisirne dei nuovi (atlante).
Nella successiva interazione verbale tra madre e figlia (Silvia, 8 anni) la spiegazione di una parola sconosciuta è invece fornita grazie al ricordo di una vacanza familiare.
Silvia: che vuol dire moli di attracco?
Mamma: cioè delle pensiline dove i battelli possono attraccare ti ricordi quando siamo andati al lago di Iseo che siamo andati a prendere il battello?
Silvia: sì
Mamma: quello è un molo
(Ibidem, 2020)
Questo ancoraggio all’esperienza personale, adottata anche a scuola, può essere considerato una strategia didattica rilevante almeno per due aspetti: il primo perché rappresenta un modo per consolidare gli apprendimenti tramite il legame a ricordi concreti di vita quotidiana; il secondo perché permette di valorizzare la cultura familiare che continua ad essere ricca di significato per ogni bambino.
Una pratica scolastica su cui riflettere
Dall’analisi dei filmati emerge che questo gruppo di genitori risulta essere “istituzionalmente competente”: ogni genitore è capace di accompagnare il proprio figlio nello svolgimento del compito non solo perché conosce contenuti e linguaggi disciplinari, ma anche perché sa assumere atteggiamenti e intenti didattici simili a quelli dell’insegnante.
Tuttavia, da ciò sorgono altri interrogativi: cosa può accadere al processo di apprendimento di un alunno quando un genitore, per diversità linguistica o scarso capitale economico e culturale, non riesce a comprendere le richieste della scuola? E, a seguito di ciò, cosa può accadere a questo alunno nel suo percorso scolastico?
Questi interrogativi possono costituire un primo importante tassello per riflettere su “perché e come” affidare ai compiti a casa il consolidamento degli apprendimenti avvenuti in classe.
La ricerca è stata condotta dal gruppo di lavoro coordinato dalla professoressa Letizia Caronia dell'Università di Bologna
Bolognesi, I., Dalledonne Vandini C. (2020). “Fare i compiti a casa. Uno studio etnografico di un’attività quotidiana svolta in famiglia”, in Rivista Italiana di Educazione Familiare, n.1, pp. 157-177.
Caronia, L., Colla V. (2014). I compiti a casa. Linguaggio e apprendimento quando la scuola entra in famiglia, Milano: Cortina.
Merieu, P. (2013). I compiti a casa. Genitori, figli, insegnanti: a ciascuno il suo ruolo. Milano: Feltrinelli.
Parodi, M. (2018), Così impari per una scuola senza compiti, Roma: Castelvecchi.