Contenuto riservato agli abbonati io+

Chi vuol venire in scena per primo?

Conosco i  bambini della V B della scuola Don Milani di Prato, una classe fortemente interculturale. Parliamo di teatro, di emozioni. Facciamo insieme il primo esercizio del nostro laboratorio: contare fino a dieci... con rabbia. 

di Giovanni Micoli30 gennaio 20156 minuti di lettura
Chi vuol venire in scena per primo? | Giunti Scuola

Conosci te stesso!

Iniziare un laboratorio di teatro in una nuova classe è sempre un momento emozionante; al varcare della soglia trovo sempre occhi sgranati, corpi ritti sui banchi, volti sorridenti, si respira nell’aria un’eccitazione da prima volta ed il silenzio quasi sovrumano viene rotto dal mio classico: “Buongiorno ragazzi, come state?”.

Così è stato anche mercoledì 14 gennaio quando sono entrato per la prima volta nella V B della scuola primaria Don Milani di Prato.

All'inizio ho parlato per circa dieci minuti, mentre i bambini ascoltavano; mi sono presentato, ho raccontato brevemente di me e poi molto sinteticamente ho parlato dell’origine del teatro o meglio dell’apice del teatro classico nella Grecia del V secolo a.C. Ho detto più o meno così:

In quel periodo gli spettacoli venivano messi in scena di giorno, alla luce del sole; attori e spettatori quindi erano illuminati alla stessa maniera e gli artisti indirizzavano la loro recitazione soprattutto verso il pubblico. La cosa è proseguita fino verso la fine dell’Ottocento quando, anche per il rischio d’incendio per le troppe candele accese, nei teatri successe una cosa che non era mai accaduta e che avrebbe rivoluzionato il modo di recitare per sempre: si sono spente le luci sul pubblico e l’attore per la prima volta si è trovato solo sul palcoscenico. In quel momento, non avendo più gli spettatori a cui dirigere le proprie “moine”, si è trovato a girare gli occhi nella scena verso la luce e lì ha trovato il suo compagno, l’altro attore, anch’egli sperso da questa sua nuova solitudine... I due per la prima volta si sono guardati realmente ed hanno incominciato a parlare davvero, a ridere davvero, ad arrabbiarsi davvero, a piangere davvero... ed è proprio così che la recitazione moderna ebbe il suo primo, timido inizio. Quindi l’attore si è trovato a dover non più fingere ma provare realmente ed organicamente le emozioni che il suo personaggio viveva.
Emozioni, quindi… ecco una delle parole chiave della recitazione: e m o z i o n i. Esistono cinque emozioni base: gioia, rabbia, dolore, paura e noia; la parola “emozione” deriva dal verbo latino
movere quindi se il nostro personaggio prova dolore o rabbia o altro noi dobbiamo muovere il nostro corpo nello stesso modo in cui lo muoviamo quando noi siamo addolorati, arrabbiati o quant’altro; se noi ci muoviamo bene in scena commuoviamo, ovvero facciamo muovere insieme a noi, il nostro pubblico. Ecco quindi un primo compito fondamentale dell’attore: conoscersi ovvero sapere come ci comportiamo quando siamo arrabbiati, tristi, felici, spaventati o annoiati. In questo modo potremo meglio riproporlo in scena; il problema è che la maggior parte della gente, grandi e piccini senza distinzione di età, non sa quello che prova nel momento in cui lo prova; molto spesso siamo arrabbiati e non lo sappiamo, altre volte ridiamo ma in realtà abbiamo paura e su questo argomento torneremo spesso!
Sapete qual era la massima scritta sul tempio di Apollo a Delfi nella Grecia antica? e che sintetizzava l’essere saggio per i greci antichi?
Γνῶθι σεαυτόν che in greco antico vuol dire…conosci te stesso! Ecco l’attore deve conoscere bene se stesso , deve riconoscere le emozioni nel momento in cui le prova per poterle poi meglio riproporre in scena, questo è il suo primo grande compito artistico.

“Un ultima cosa e poi non parlerò più e incomincerete voi a venire qua in scena” – a questa mia frase, gioia e paura si sono unite in un’atmosfera di eccitazione che si poteva quasi toccare – “La parola attore deriva dal verbo latino ago che vuol dire io faccio quindi 'l’attore è colui che fa' non dice ma fa ! In scena dovete sempre fare qualcosa, qualunque cosa, e se voi farete qualcosa condita con rabbia, gioia, dolore ecc… il pubblico si commuoverà con voi... Bene, avrei tante altre cose da dirvi ma non voglio risultare noioso quindi…chi vuol venire in scena per primo?”.

Presentazioni e piccole conte “rabbiose”

Come primo esercizio ho fatto venire ogni bambino in scena perché si presentasse dicendo nome, età, la propria passione nella vita e la cosa invece più detestata.
Questo primo momento è importantissimo perché nell’apparente semplicità dell’esercizio in cui ognuno deve parlare di sé si nasconde un primo e significativo momento di scoperta del sé scenico: i bambini, ma in generale direi tutti, se non abituati, in scena tendono a parlare piano, nascondere le mani dentro le maniche (in particolare le ragazze), dondolare, incrociare mani e dita davanti alle pudenda. Con grande delicatezza questo deve essere fatto notare non perché l’attore si debba “controllare”, termine brutto e pericoloso, ma perché semplicemente se ne renda conto, ne abbia consapevolezza e coscienza, inizi, in pratica, a conoscere se stesso.

Dopo la presentazione, ad ogni piccolo attore in scena ho chiesto di contare con rabbia da uno a dieci rivolto verso il suo pubblico e il risultato è stato più o meno uguale per tutti: corpo rigido, voce strozzata, sguardo verso il basso e soprattutto un sorriso smagliante… per contare con rabbia!

Finito ogni singolo esercizio prima di rimandare a posto con un applauso (gli applausi sono fondamentali sempre) ho chiesto agli altri che commentassero il lavoro fatto in scena; dicessero cosa avevano notato, cosa era loro piaciuto molto e cosa meno. Anche questo momento è importante perché tendenzialmente i commenti dei ragazzi vengono rivolti a me, mentre io voglio che si parlino fra loro quindi dico sempre: “non lo dire a me ma a lui o lei!”. È utile che tutti si sperimentino in scena ma anche che tutti esprimano un parere perché guardando attentamente gli altri, dovendo poi commentare, si comprende profondamente che le difficoltà recitative e gli ostacoli comunicativi ( parlare male, a bassa voce, mani decapitate dalle maniche o nervosamente irrequiete, sorriso stampato ecc.) sono normali e comuni.

Così sono volate due ore di lezione, con un mio discorso introduttivo ed un primo blando esercizio, in questa gioiosa quinta elementare pratese dove bambini di origine italiana, cinese, nord africana, est europea convivono , ridono e scherzano in modo così meravigliosamente normale che uscendo dalla classe mi son chiesto cosa potrà mai succedere nella loro vita per cui a diciotto, vent’anni forse non si parleranno nemmeno più.

Da un punto di vista teatrale sono molto soddisfatto, sono riuscito a rompere bene il ghiaccio e ho già capito che i miei giovani attori non vedono l’ora che io torni; bene! Perché la prossima lezione spiegherò loro che in scena si sorride per celare la paura di morire...

Scuola primaria

Potrebbero interessarti